Il tormentone dei moralizzatori e l’indignazione dei cittadini

Il tormentone della lotta ai cosiddetti privilegi della casta non sembra attenuarsi. Parallelamente alle più importanti questioni nazionali, legate in questo frangente ai sacrifici richiesti al Paese reale, il settore trasversale dei moralizzatori della politica viaggia veloce verso l’obiettivo di trasformare la moltitudine dei nostri amministratori pubblici in una sorta di sacerdoti senza macchia, dediti unicamente al bene comune.

La mano pubblica controlla il 53% della ricchezza annuale

Non c’è dibattito televisivo in cui non si affronti la citata questione, spesso con la presenza di autorevoli professionisti dediti a denunciare questo o quel privilegio di casta. Sotto questo profilo appare incessante l’attivismo in tal senso dei vari Stella, Rizzo, Giordano e compagnia cantante i quali, attraverso libri e articoli denuncia, ritengono evidentemente di combattere le ricche prerogative della nostra nomenclatura mettendone alla berlina gli ingiusti privilegi. Ci possono riuscire? Francamente penso proprio di no.

In realtà il tema dei vantaggi che i ceti di potere godono nei confronti del resto dell’umanità è vecchio come il mondo, così come il tentativo di affrontarlo sul piano di una diffusa denuncia popolare. Il problema è che, soprattutto in Italia, lo sdegno che si suscita elencando liste infinite di personaggi beneficiati da una sorta di manna politica risulta quanto mai sterile nei risultati concreti. I giornalisti moralizzatori scrivono, i cittadini leggono e si indignano, ma le cose continuano a restare come prima. Ovvero la casta e tutte le sue infinite derivazioni mantengono molto stretti i loro privilegi, riuscendo addirittura ad accrescerli.

Ed il motivo è molto semplice, questa gente non spende i propri soldi bensì quelli dei cittadini comuni. E sotto tale profilo fare i signori con il portafoglio altrui è la cosa più facile del mondo. In Italia, per chi non lo sapesse, la mano pubblica controlla, quindi spende, oltre il 53% della ricchezza prodotta in un anno. Una cifra colossale che oramai supera gli 800 miliardi di euro. Ciò significa, in soldoni, che oltre metà del Pil viene gestito attraverso decisioni di natura politico-burocratica.

Ebbene, come si può escludere che almeno una parte di un così enorme fiume di danaro non dia adito a scelte che beneficino il consenso politico e, soprattutto, sulla quale chi la spenda non sia tentato di farci la classica cresta, spesso sotto forma di privilegi ottenuti in forza di una leggina compiacente? In Italia ci sono milioni di individui che vivono di politica o grazie alla politica prosperano, utilizzando risorse prodotte da altri. Quindi il problema, a mio avviso, non sta tanto nel chiedere a chi spende di limitarsi nei suoi privilegi sull’onda di una rinnovata indignazione popolare, quanto nel ridurre drasticamente ciò che gli stessi gestori dei soldi pubblici controllano.

In sostanza, dovrebbe valere l’equazione meno risorse sotto il diretto controllo della politica= meno privilegi della casta. Solo affamando la bestia pubblica è possibile riportare il nostro sistema politico nei limiti di quella decenza nell’uso dei beni collettivi che tutti si auspicano. Tutto il resto appartiene ad un inutile bigottismo che non modifica di una virgola l’andazzo generale.

Claudio Romiti

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