Indonesia:la più vasta popolazione musulmana del mondo e la persecuzione dei Cristiani

Formata da 17.000 isole, l’Indonesia vanta la più vasta popolazione musulmana del mondo, oltre 200 milioni. Nel 2010, secondo il Jakarta Christian Communication Forum, 47 chiese cristiane e cattoliche sono state fatte chiudere e nei primi 4 mesi del 2011 almeno altri 9 luoghi di culto hanno subito la stessa sorte, demoliti dalle autorità o da folle inferocite di fondamentalisti.

Dal 2008, anno di formazione del gruppo al quale apparteneva il terrorista suicida di Solo, la tensione è notevolmente aumentata rispetto al passato.
Nello stesso anno a Bogor, una città indonesiana a 60 chilometri da Giakarta, le autorità locali concessero l’autorizzazione per costruire una nuova chiesa della Taman Yasmin Indonesia. Qui – dove iniziava l’antico regno induista di Sunda – i cristiani sono poco più del 5 per cento ma la presenza dei loro luoghi di culto è piuttosto cospicua, anche se spesso si tratta di piccoli
appartamenti per le messe della domenica.

Nel solo 2010 a Bogor ci sono stati 64 incidenti, dagli scontri fisici alle case dei devoti bruciate, un record per lo stesso arcipelago. Il caso della Taman Yasmin Indonesia è tra i più particolari perché il sindaco cittadino, per giustificare l’ennesimo rifiuto di concedere il permesso, ha decretato che nessuna chiesa di altre fedi può sorgere in una strada con un nome islamico.

A poco è servito l’appello di un maulvi locale, Muhammad Mustofa, che si è detto tranquillamente d’accordo con l’idea di autorizzare l’apertura di un centro cristiano nella strada che porta il nome di suo padre, Jalan Abdullah bin Nuh, un leader islamico di temperamento ecumenico, probabilmente Sufi. “L’Islam era una religione di pace – ha detto Mustofa – e problemi simili c’erano anche ai tempi del Profeta Maometto, quando la Mecca era un esempio di pluralismo.”

Figure come Moustofa e suo padre risentono dei grandi e diversi influssi religiosi che nei secoli hanno attraversato la storia dell’arcipelago oggi sotto il dominio di Giava e della sua capitale Giakarta. Ma uno spirito di intolleranza e di “difesa” della visione di un Islam più radicale sembra aver ripreso a soffiare ovunque, anche dove le tensioni sembravano assopite come ad
Ambon, capitale della provincia delle isole Molucche.

Qui il 13 settembre scorso sei persone sono state uccise nei violenti scontri tra musulmani (il 55 per cento della popolazione) e cristiani (il 45), dopo che sms e messaggi twitter avevano divulgato una notizia poi risultata falsa. Qualcuno aveva accusato membri della comunità cristiana locale di aver ucciso un guidatore di motorisho, deceduto invece a causa di un incidente stradale. Le cronache di questa nuova tragedia subdolamente alimentata dopo anni di relativa calma, hanno riportato indietro Ambon e le Molucche al ricordo degli anni tra il 1999 e il 2002, quando indicibili violenze costarono oltre 5,000 morti e mezzo milione di profughi.

LA DENUNCIA DELVESCOVO

Ma come nel caso della guerra alle nuove chiese cristiane, molti si domandano se la vera matrice del rigurgito di intolleranza in Indonesia (e forse anche in Egitto) possa essere attribuita interamente a qualche gruppo di fondamentalisti locali. Parlando ieri durante un convegno a Francoforte contro le persecuzioni dei cristiani nel suo Paese, un vescovo indonesiano, Hubertus Leteng di Ruteng, ha espresso grande preoccupazione per la crescita del potere politico degli integralisti a ogni livello dell’amministrazione pubblica. Ad esempio – ha detto – il governo ha deciso di nominare maestri di scuola musulmani anche nelle scuole cristiane. E’ una “tendenza all’islamizzazione” – ha spiegato – guidata da gruppi radicali di Giava alla quale si cerca di resistere nella sua diocesi di Flores, una delle isole più cattoliche dell’arcipelago, ma che è già in atto da tempo in gran parte delle altre province.

Il vescovo ha però aggiunto che questo processo sta generando tensioni tra le stesse popolazioni musulmane locali che rifiutano “l’arabizzazione” e la “radicalizzazione” della propria fede in Allah. Per questo l’alto prelato ha esplicitamente puntato il dito contro “militanti del Medio Oriente”, un’accusa chiaramente rivolta a potenti gruppi che finanziano in tutto il mondo la Jihad wahabita e la diffusione di madrasse e moschee dove si insegna una visione estrema della religione islamica. Ma il vescovo ha sottolineato anche un altro
fattore delicatissimo. Le differenze fra i musulmani e i non-musulmani nel paese – ha detto – “sono caratterizzate più dalla segmentazione economica e dalle rivalità etniche”, ed ha a che fare “più con il sistema politico che con la natura dell’Islam in sé”.

TRANSMIGRAZIA

Vale la pena ricordare che fin dagli anni ’50, poco dopo l’indipendenza dai colonizzatori cattolici olandesi, il governo indonesiano decise di usare il metodo di “ripopolazione” (applicato peraltro dai predecessori europei) per trasferire milioni di musulmani, specialmente da Giava e Madura, nelle isole meno densamente abitate. La cosiddetta “transmigrazia” ha già coinvolto oltre 4 milioni e mezzo di persone, con un un picco tra il 79 e l’84, quando anche le Molucche hanno dovuto assorbire in pochi anni il grosso dell’immigrazione giavanese. Le rivolte delle popolazioni locali, diventate in pochi anni minoranza, furono di fatto favorite dalla gravissima crisi economica asiatica del ’97 e dallo sfruttamento massiccio delle risorse da parte di compagnie giavanesi protette o gestite direttamente dall’esercito e da partiti del governo.

E’ successo a Timor come nella parte indonesiana di Papua, e ora sembra avvenire anche nell’induista Bali. Ma è successo anche tra gli animisti Dayak del Kalimantan nel 2001, quando centinaia di islamici maduresi immigrati vennero decapitati da popolazioni locali esacerbate dal dominio economico dei nuovi arrivati.

Da tempo il governo indonesiano e il suo presidente, l’ex generale Susilo Bambang Yudhoyono, condannano ufficialmente la tendenza radicale dei gruppi islamici. Ma nella realtà restano seri dubbi su una pericolosa forma di tolleranza nazionale ai limiti della compiacenza. Come quando il ministro della Religione, Suryadharma Ali, ha proposto di mettere al bando la sètta islamica
Ahmadiyya (presente in Indonesia già prima che diventasse Repubblica), “colpevole” di credere in un altro profeta oltre a Maometto, e di inserire forme di sincretismo religioso più tollerante.

E’ ancora a disposizione di tutti online il terribile video del massacro dal vivo di membri della Ahmadiyya nel villaggio di Cikeusik, nella remota provincia di Banten. Quelle sequenze che sconvolsero il mondo sono già state dimenticate. Ma la loro visione è consigliabile solo ad adulti che possono sopportare immagini di tali atrocità.


http://www.answeringmuslims.com/2011/02/indonesian-muslim-mob-beats-three.html

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