11 luglio – I problemi di chi non ha problemi. Mentre oggi la Caritas ha lanciato un grave allarme per la povertà assoluta che ormai interessa oltre milioni di italiani, la Boldrini, come sempre lontana dal popolo e dalla realtà italiana, si perde completamente nella vacuità del superfluo.
“La presidente e non il presidente. La ministra e non il ministro. Quando una donna ricopre un incarico pubblico è un dovere che la carica venga ufficialmente declinata al femminile.”
Lo spiega la donna più in alto nella gerarchia istituzionale, Laura Boldrini, terza carica dello Stato italiano: “Usare il linguaggio in un modo o in un altro è una scelta politica. Non trovo giusto che donne che svolgono un ruolo, di vertice o no, non debbano avere un riconoscimento di genere – ha detto la presidente della Camera, portando il suo saluto al convegno organizzato a Montecitorio dalla rete di giornaliste “Giulia” per presentare “Donne, grammatica e media, una guida realizzata ad uso delle redazioni” – perché è il segno che vengono considerate delle ‘comete’: passeranno, tutto tornerà come prima, tutto tornerà al maschile.”
“Il problema non è che sia cacofonico dirlo al femminile. In realtà non si vuole assorbire il concetto – ha aggiunto Boldrini – che se un mestiere è fatto da un uomo si declina al maschile, se è fatto da una donna si declina al femminile. Il lavoro dell’insegnante nella scuola primaria è svolto quasi sempre da donne, da maestre. Ma quando c’è un uomo a farlo nessuno lo chiamerebbe “maestra” solo perché è il genere di gran lunga prevalente nella categoria.”
“Questo lavoro è utile e importante – ha concluso la presidente della Camera – e mi auguro che possa rilanciare un dibattito pubblico, perché non accettare la declinazione al femminile vuol dire non riconoscere un dato di fatto: che i tempi cambiano, che anche la lingua cambia, che non ci sono più i tabù di un tempo, che certe posizioni di responsabilità oggi possono essere per uomini e per donne, e che la donna può anche “osare” di volerle raggiungerle”.