Il ritorno dei Guerrieri di Riace – un racconto

Il ritorno dei Guerrieri di Riace di  Mario Aloe
(da un lampo discutendo con il mio amico Pino)

bronzi-riace

Dopo una lunga attesa a Reggio in una mattinata di un dicembre dolcissimo.  L’inverno del sud ha i colori dell’incanto con un miscuglio di armonie che solo il cielo e il mare del Tirreno calabrese sa dipingere.  Finalmente il museo e la visita agognata ai Bronzi. Sono ritornati nella loro casa e stranamente l’evento ti ha preso, come se due amici fossero rientrati da un lungo viaggio. L’ansia di rivederli ha segnato le giornate mentre un intoppo, un ritardo ha impedito di raggiungerli, di sentirne la voce raccontare le storie dell’assenza.

Nella sala le statue ti guardano assenti, sono imponenti nel loro distacco, incutono timore riuscendo a trasmetterti il furore della battaglia; una battaglia antica in cui immagini lo scontro a corpo a corpo, lo scudo che si alza e la spada che scintilla al sole di una mattina altrettanto tersa di duemilacinquecento anni fa. Lentamente avverti che le distanze tra te e i Guerrieri si annullano, la tua presenza li riporta in una dimensione nuova e domestica. Chiudi gli occhi e ne senti il respiro, sono loro, i bronzi che sono divenuti animati. Un battito veloce delle palpebre e il tuo sguardo si posa, di nuovo, su di loro e intravvedi sulle loro labbra un sorriso d’invito, un cenno di amicizia: vogliono parlarti. Puoi chiedere nella tua lingua, nella lingua universale delle emozioni, che non ha bisogno di traduttori automatici o d’interpreti umani, le parole partono dal tuo animo e attraversano lo spazio e il tempo e il loro muto suono ritorna come risposta. Puoi parlare e chiedere a questi due guerrieri di bronzo emersi, per caso, dal mare di Riace.                                                                                                                                                                                                                     La magia è compiuta e non riesci a tirarti indietro, sebbene il timore che altri leggendo sulle tue labbra il sussurro delle domande che farai scambino questo trasporto per follia. Forse hanno ragione loro, è la follia luminosa di Apollo* che si è impossessata della tua mente rendendo possibile interrogare le statue. Potresti, nello stesso identico istante,  essere a Delfi nell’antro dell’oracolo mentre la voce della Pizia attraversa lo spazio per predire il futuro.                                                                                                                                   “Ditemi chi siete?
Raccontatemi di voi indicandomi da dove venite?
Forse è meglio che vi chieda chi è stato il vostro costruttore, chi vi ha reso immortali in queste forme perfette?
Sembrate non ascoltarmi e osservate questo sciocco parlarvi in una lingua a voi sconosciuta, ma prima si avvertiva che pure voi parlaste le parole del cuore e diceste suoni che qualsiasi umano può udire e conoscere.”

 I volti dei Guerrieri, di nuovo, appaiono animati da una luce somigliante a un sorriso, a un cenno d’intesa; sembrano pronti e discorrere, a raccontarti la loro storia. La sala è avvolta nel silenzio e gli altri visitatori, che sono con te,  appaiono sospesi nel vuoto della nuova dimensione spazio-temporale, anche loro, forse, sono partecipi di quello che sta accadendo.  A te non importa, intento come sei a godere del miracolo che ti circonda e avvolge. Chiederai poi o forse il pudore t’impedirà di farlo e di raccontare del portento che ti fa partecipe del mondo delle ombre. Ti senti come Ulisse che scende agli inferi o Enea che varca le porte dell’Ade, mentre ti rendi conto che sei solo un piccolo essere umano, in silenzio, nella sala del museo archeologico di Reggio Calabria.

“Anch’io come te sono figlio di questa terra, mi sono nutrito del grano che fa il tuo pane e riscaldato al sole che accarezza la tua pelle.-  Con meraviglia sentì il Guerriero più anziano rispondere, articolare parole in discorso. Ci fece Pitagora da Reggio, sì proprio di questa Reggio che oggi ci accoglie.  Ci diede vita quest’alunno di Efesto utilizzando l’arte che il maestro divino gli insegnò nella fucina di Vulcano, l’isola tuonante dove il fuoco degli dei arde perenne. Puoi ammirare la sua maestria nei riccioli dei nostri capelli, nel rilievo delle vene che attraversano le nostre braccia e dalla perfezione dei nostri corpi.  Efesto, il dio deforme, maestro nell’arte del bronzo trasmise a Pitagora la stessa scintilla che donò a Fidia e Mirone. In tutta l’Ellade altri non poterono rivaleggiare con loro nel dare vita a Eroi e Dei e noi siamo sue creature. La sua fama fu annotata dai posteri e Plinio il Vecchio ne parla come il solo capace di rendere come nessun altro i riccioli di barba e capelli, e per fare “respirare” le statue, cioè rendere perfetta l’anatomia dei vasi sanguigni.”              

“ E tu chi sei Tu?- Chiesi alla Statua più giovane .-  Anche tu fosti fatto da Pitagora?  o altri furono i tuoi artefici e sei giunto da noi attraversando il mare?” 

  “Sono Eutimo e anch’io devo l’immortalità a Pitagora, alunno del fabbro divino, che ci fece per celebrare l’Eroe di Locri Epizeferi.
Guardi con stupore?
Sì, siamo la stessa persona: Eutimo, vincitore di tre giochi a Olimpia e pugile insuperabile nel mondo degli uomini.
Io fui fermato, nel bronzo, nel pieno della gioventù e del vigore, mentre nell’altro furono impressi i tratti della maturità.  Nella mia patria, a pochi chilometri da qua, fui celebrato come un Eroe, degno già in vita di essere esposto a Olimpia tra coloro che erano destinati all’immortalità. Pitagora ci fece in anni diversi e destinati a luoghi differenti:  Eutimo maturo era affiancato agli dei nel Santuario di Delfi.”

Nella sala i visitatori si spostavano per osservare le statue da una diversa angolazione. Riprese a raccontare Eutimo maturo: “ Non solo vinsi le olimpiadi, ma grande fu il mio valore nella battaglia del fiume Sagra quando il nostro esercito, con l’aiuto di Anassilao di Reggio, fermò l’avanzata delle schiere di Crotone. Riuscimmo in poche migliaia a sconfiggere un esercito di oltre dodicimila soldati fermando l’avanzata dei crotonesi prima di Kaulon e strappando a essi l’influenza sulle colonie di Terina e Temesa, città fiorenti poste sull’altro mare. Proprio qui, a Temesa,  fui mandato dal consiglio dei Mille**  in soccorso della città. Un demone terrorizzava gli umani pretendendo ogni anno una giovane vergine in dono per lasciare liberi i luoghi dalla sua presenza devastante. L’anima di Polite, amico d’Ulisse glorioso, si era trasformata in un mostro dalle sembianze di animale e dalla carnagione scura e pelosa. Alibante, così si chiamava, coperto di pelle di bue, aveva imposto a Temesa il tributo dopo che Polite, ubriaco e blasfemo avendo profanato una vergine del luogo, era stato lapidato.              

Scavi del tempio di Imbelli in Campora San Giovanni-Comune di Amantea-forse dedicato ad un Eroe di Temesa-frequentazione molto attiva intorno al 480-460 a.C.(epoca della nostra storia)

 Nessuno si era misurato col mostro, da nessuna parte era sorto un eroe o un semidio, quale Eracle, per sfidare il demone.  Il mio amico Timeo di ritorno da Temesa, m’implorò di intervenire. Ascolto ancora la sua supplica: “Possente Eutimo, vincitore di uomini, aiutami. La mia Dafne, incontrata sul Tirreno, una vergine stupenda sta per essere consegnata a un demone, che tiene in ostaggio la città.  Alle Tesmoforie in onore di Demetra, prima dell’aratura, la mia promessa sposa sarà consegnata al mostro. Aiutami, solo tu puoi salvarmi.” 

Non potei ignorare la richiesta. Da Timeo avevo appreso l’arte del canto, con lui avevo condiviso i riti del passaggio dalla pubertà all’età adulta, da lui avevo imparato gli arcana di Pitagora da Crotone e con lui avevo condiviso i misteri di Eleusi.***  Partimmo su una nave dai remi robusti e dalle vele immacolate; partimmo insieme a un nutrito gruppo di giovani alla volta di Temesa.  Ci aspettava per mare il passaggio tra i mostri di Scilla e Cariddi  e soltanto il volere propizio di Nettuno, signore dei flutti, poteva consentirci una navigazione sicura. Offrimmo al dio un montone dalle corna ricurve e bruciammo le carni su un altare eretto sulla spiaggia.” 

Immobile, come se un dio degli antichi mi avesse rapito, il mio sguardo era arrivato alle foci del Savuto, in prossimità delle mura di Temesa. Tante volte avevo ascoltato il canto dei grilli e delle cicale tra gli ulivi seguendo la vecchia Statale 18. Ora ero là, a guardare Eutimo , Timeo  e gli altri  locresi arrivare. Gli amici con cui ero giunto al museo stavano avviandosi verso l’uscita, ma io non potevo andare, volevo ascoltare la storia fino alla fine.

“Godemmo dell’accoglienza dei temesini e fummo ospiti venerati nelle giornate che prepararono le Tesmoforie****. Incontrai la vergine destinata al demone e con grande gioia di Timeo non si trattava di Dafne. Kore, bella come la dea Persefone, era stata sorteggiata e aspettava di essere condotta in processione al recinto sacro dove dimorava Alibante . 

Kore, trecce d’oro, aveva scavato nel mio animo colpendolo, con l’aiuto di Cupido, con dardi d’amore. Non avevo più dubbi avrei sfidato il demone e lottato fino a sacrificare la vita pur di salvarla.
I giochi contemplavano anche una gara di lotta nella quale come sai, eccellevo tra i greci.
La processione raggiunse l’heraion di Imbelli e ad attenderli trovarono Alibante, assiso su un trono di vimini. Il mostro pregustava l’offerta che gli abitanti del luogo stavano per fargli per placarne l’ira. Spaventevole era il suo aspetto e un ghigno feroce era impresso sul suo volto. Le potenze degli inferi scaturivano dai suoi occhi fiammeggianti. Avrebbe assistito alle gare sfidando il vincitore del torneo. Nessuno finora aveva accettato di gareggiare con lui temendo di divenire vittima della ferocia dell’anima di Polite.

Compiute le offerte alla dea e innaffiate di latte candido le zolle iniziò la gara che mi vide vincitore di valenti lottatori. Il demone alzatosi dal trono lanciò la sfida,  sicuro del rifiuto e godendo del panico che il suo urlo incuteva negli animi degli umani.           

Non aspettavo altro per dichiararmi pronto alla lotta. La sapienza di Timeo aveva escogitato la trappola in maniera da costringere il demone allo scontro.

Alibante chiese: –Chi sei tu mortale che sfidi il fato divino inconsapevole della fine che incontrerai? Il tuo corpo giacerà senza sepoltura nel recinto e le tue ossa, spolpate dai cani, biancheggeranno al sole.-    Una risata agghiacciante riempì l’aria mentre il demone si avventava contro di me. Ermes, il dio della guerra, trasferì nei miei muscoli la sua furia belluina mentre schivavo i colpi di Alibante. Con uno scatto cinsi il suo collo in una morsa di ferro. Le mie braccia divennero tenaglie forgiate da Efesto

Correva per la campagna il demone senza riuscire a scrollarsi di dosso il mio corpo. Ululava come un lupo affamato mentre il suo respiro diveniva affannoso. Il dio incoraggiava il mio sforzo e sul fare della sera Alibante si arrese, sconfitto e implorante. Lo liberai dopo avergli fatto giurare alla presenza dei numi e del padre Zeus che avrebbe abbandonato quei luoghi e sarebbe sprofondato nel Tirreno abissoso. 

Kore, trecce di grano, era salva e con lei la città. La fanciulla divenne mia sposa e i greci di Temesa dedicarono un tempio a Eutimo nell’heraion di Imbelli.”

Uscendo dalla sala sentii chiamarmi: “Ritorna a trovarci, ti racconteremo di quando sotto le mura di Tebe lasciammo i nostri corpi mortali e Fidia, il sommo, ci imprigionò nel bronzo.”

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 *Apollo è il dio della luce e di una conoscenza misteriosa che rasenta la follia, ma, allo stesso tempo, consente  di avere un sapere delle cose, della loro essenza. La ragione dei greci ha l’espressione massima nella figura di Ulisse.             

**L’assemblea delle famiglie aristocratiche di Locri Epizeferi. A loro apparteneva la terra e loro fornivano i guerrieri.             

***Antica città greca dove nel tempio di Demetra si celebravano di misteri della terra. Attraverso i riti di purificazione si scende agli inferi per ritornare nuovo alla vita. Il ciclo della natura dopo la lunga notte invernale ritorna sempre con i germogli della primavera                                                                                                                                  

****Serie di feste in onore di Demetra, dea della terra. Si tenevano in tutto il mondo greco prima dell’aratura. Durante le feste si svolgevano anche dei giochi.