Coop trasformate in banche d’affari: gli oligarchi rossi giocano in Borsa con i soldi dei soci

coop1

15 ott – Potremmo parlare di banca clandestina, se non fosse tutto alla luce del sole. Basta entrare in un supermercato Coop e diventare socio (che è come fare la tessera sconto in qualsiasi catena) per depositare i propri risparmi. Le nove grandi cooperative del consumo raccolgono ben 10,4 miliardi di euro. Sarebbe vietato: non è che un giorno uno si sveglia di buon umore, apre una banca e comincia a farsi affidare i risparmi dei passanti. La Coop infatti lo chiama “prestito soci”, senza però spiegare al popolo che il prestito soci è un capitale messo a rischio nell’impresa che, sia essa una coop o una societĂ  di capitali, lo usa per la sua attivitĂ , come aprire un supermercato.

Infatti accadono sotto gli occhi di tutti, comprese le autorità di vigilanza, due cose strane. La prima è che le Coop utilizzano i risparmi dei loro soci non per mettere scaffali nuovi, ma per dedicarsi alla speculazione finanziaria. Esempio: l’Unicoop Firenze, la maggiore per fatturato (ben 3 miliardi di euro), ha in bilancio immobilizzazioni tecniche (ciò che serve per funzionare) per 2 miliardi e debiti verso i soci per 2,3 miliardi. Ma il debito complessivo è di 3 miliardi. Che ci fa la Coop con tutti quei soldi? Unicoop Firenze ha in bilancio 644 milioni di immobilizzazioni finanziarie: una vera merchant bank.

I conti in rosso degli uomini al potere da decenni. La seconda stranezza è che queste banche d’affari a marchio Coop non sono sottoposte ad alcuna vigilanza. La Banca d’Italia controlla le banche propriamente dette, ma le Coop non se le fila nessuno, punto e basta. Negli ultimi anni, complice la crisi e nella disattenzione generale, si sono messe nei guai. L’anno scorso le “nove sorelle” (oltre 12 miliardi di fatturato, con 50 mila dipendenti e sette milioni di soci in tutto) hanno chiuso i loro bilanci in rosso per complessivi 135 milioni di euro, e proprio per colpa della finanza.

Ma prima di entrare nei dettagli di un disastro annunciato è bene spiegare il peculiare sistema di potere che consente ai boss delle coop di non rendere conto a nessuno. Il mondo delle cooperative cosiddette rosse ha seguito nel Dopoguerra uno schema sensato: le aziende sono cresciute sotto l’ombrello del Pci, che le governava attraverso la Legacoop, nominalmente un sindacato d’impresa, come la Confindustria, di fatto una sorta di holding attraverso la quale i vertici di Botteghe Oscure sceglievano strategie e manager.

Le Coop impiegano gli oltre 10 miliardi del prestito dei soci in operazioni finanziarie, dai Bot alla Borsa. Nel 2012 erano immobilizzati in partecipazioni azionarie 2,2 miliardi di euro. Siccome è buona regola non investire in Borsa i soldi presi in prestito (perché se crollano i listini fai la fine di Romain Zaleski), se la Banca d’Italia vigilasse sull’uso del pubblico risparmio fatto in casa Coop controllerebbe il rapporto tra partecipazioni azionarie e patrimonio netto (che è la somma di capitale sociale e riserve, cioè il vero patrimonio che fa da garanzia per gli investimenti a rischio).

Consorte ha tracciato il solco e gli Stefanini lo difendono. Ebbene, le nove Coop hanno partecipazioni azionarie per 2,2 miliardi e un patrimonio netto di 6 miliardi. Mediobanca ha lo stesso rapporto: 2,6 miliardi su un patrimonio netto di 7. Solo che Mediobanca è una banca d’affari, la Coop una catena di supermercati.

Leggi seguito su ilfatto