Dagli Hobbit ad Avalon ad Atreju

hobbit

L’uso necessario di metafore mitologiche per una politica fantasy e senza vision

di Giuseppe Romeo – Ci sono momenti nei quali allorquando crollano le idee, o le politiche si infrangono in un mondo di cui si ha timore del cambiamento, la credibilitĂ  di una leadership sembra affidare se stessa alla costruzione di un mito o, qual ora non realizzabile per tempo e contenuti, lo si cerca nella memoria collettiva piegando ai propri desideri personaggi improbabili ma che provocano emozioni meglio se pronto consumo. Ovvero, propri di una memoria per la quale il mito diventa la esemplificazione di un sĂ© esistenziale, una rappresentazione di una necessitĂ  di esistenza cui attribuire un significato.

La ricerca di un mito è anche la ricerca di un racconto fantastico, quasi religioso se non immagine sottesa a una dimensione teleologica cui una politica orfana di idee e di pensieri si abbandona. Una necessità di potersi avvalere di un mito/simbolo che, nei valori che lo contraddistinguerebbero, dovrebbe poter avallare le ragioni di un potere, di un’autorità giustificando se stessa agli occhi di un popolo alla deriva e, per questo, alla costante ricerca del condottiero del momento.

Ecco, allora, che raccontato in una visione eroica in una scrittura epica di una Terra di Mezzo che sembra essere l’Europa trasfigurata nel confronto mai definitivo tra Bene e Male – risultato tolkeniano di un vissuto dei campi di battaglia della Grande Guerra – dopo aver rivisto per la quarta volta Il Signore degli Anelli e dopo una immersione alla mostra su Tolkien a Trieste la riflessione è spontanea e disarmante. Sembra esservi oggi una necessitĂ  per una destra non destra di voler affermare, quasi toccata dal monopolio negli anni della cultura di sinistra e abbandonato l’eroismo dei Campi Hobbit della gioventĂą piĂą istruita, che esiste una cultura di una nuova destra. Una cultura di destra che ritorna all’uso di miti però meglio se fantastici, cioè non vincolati a tradizioni complesse.

Vi è l’impressione, insomma, che per trovarsi una legittimazione ideologico-culturale plasticamente e populisticamente spendibile nel far proprio il personaggio di Atreju – prescindendo dalla possibile volontà di un Michael Ende cui si riconoscono valori pacifisti oltre che inclusivi del protagonista de La Storia Infinita – lo si è piegato alle ragioni di una kermesse a uso e consumo di chi forse non ha compreso a pieno il messaggio del film, se non del libro e che probabilmente, ha ritenuto che si potesse adeguare il personaggio alla necessità di essere testimonial di un promo per una destra oggi non destra che rimpiange lontane esperienze militanti e post-eroiche.

Atreju sembra quasi, in altri termini, una sorta di rivisitazione, ovviamente adeguata alla dignità di governo e non più di sezione, di un Campo Hobbit ma esclusivo. Una sovrapposizione necessaria di Ende a Tolkien. Una sorta di celebrazione di un sovranismo smarrito rispetto a ciò che resta del ricordo di una destra europeista e nazionalpopolare di un tempo. Atreju, quindi, non è Frodo meno che mai Aragorn, dove leggendo e contestualizzando la sua figura di protagonista ne La storia infinita, erroneamente si vorrebbero richiamare valori conservatori e post-eroici propri di una dimenticata destra intellettualmente militante.

Insomma, nel tentativo di non dare ricordi alle esperienze dei Campi Hobbit, ma restando nel tema di una necessaria cultura di destra rivolgendosi alla ricerca di miti spendibili di eroismo, identità e spiritualità che non vanno oltre, si poteva fare meglio di Atreju, magari scegliendo gli Elfi se nostalgici di Tolkien, o riprendere i miti europei di Avalon o Camelot. Ma, questi ultimi, sono miti troppo nobili e impegnativi e meno popolari rispetto a quella Storia Infinita che forse a qualcuno è rimasta viva per emozione cinematografica della prima maturità.

Atreju è e resta, insomma, non solo un personaggio fantasy come altri, ma destra o non destra, Atreju è, per debito narrativo, un figlio di tutti e di nessuno. E’ colui che incarna un dubbio senso di identità (di chi?) e di orgoglio (per cosa?) dove il senso non biologico della vita dovrebbe ammantare di spiritualità una figura prodotto di quel Nulla che poi pretenderebbe di combattere. Certo, sarebbe stato più complicato, e forse più impegnativo, doversi spostare sul piano del ciclo arturiano utilizzato dalla destra post-eroica europeista; di quella Europa dei popoli e delle nazioni che probabilmente leggerebbe ben diversamente anche la politica estera italiana e la stessa crisi russo-ucraina. Avalon e Camelot sono due luoghi dotati di una propria spiritualità pur avvolti nella leggenda e nel mistero di quell’origine di un’Europa eroica dal sapore da primo Medio Evo.

Simbolo di forza, di gloria, di eroismo generoso riferirsi a Camelot diventa troppo impegnativo per una politica che di eroico ha ben poco così come, nella trasfigurazione del significato dell’Isola delle mele, Avalon, l’idea stessa che possa tornare da quell’altrove delle nebbie un Artù implica una consapevolezza di purezza di ideali e di scopi che in fondo non si vedono nell’orizzonte dell’Europa dell’oggi. Un’Europa che non vede Dame del Lago pronte a sostenerne una rinascita.

RenĂ© GuĂ©non, alla ricerca di quel «centro spirituale supremo» e di quel Re del Mondo che non sembra nascondersi in Europa, e Julius Evola non mancarono di indicare che la validitĂ  di un mito è sottesa alla possibilitĂ  che esso sia ben presente in una condivisione iniziatica; ovvero, prodotto di una visione metafisica oggettiva e verticale. Ma, come mi ha ricordato un puntuale giovane studioso, Atreju non rientra in tali canoni mentre, per certi versi – come, in fondo anche per un Frodo della saga di Tolkien – rischia di restare ai margini non essendo il prodotto di una tradizione eroica che possa andare oltre la necessitĂ  narrativa perchĂ© non è un mito fondante e non crea un ordine sovra-individuale, pur sforzandosi di farlo, ma non andando oltre una versione orizzontale della storia.

Insomma, non vi sono dubbi che Atreju sia stato adottato, finalmente, ma solo per cercare di mettere in campo un’operazione sentimentale che leghi il personaggio e il mito alla narrazione di una destra salvatrice ed eroica in tempi oscuri. Ma, pur apprezzando l’originalità dello sforzo, è evidente che il risultato nel tempo, ponendoci al di fuori della trasfigurazione del mito nelle ragioni e negli scopi di una vita, è quello che nel perdere la tradizione, come l’ha persa l’Europa di oggi, ogni mito possibile diventa solo una allegoria, l’appartenenza politica diventa semplice narrazione e lo stesso pseudo-mito si riduce a essere solo una occasione per intrattenere animi in cerca di un sé personale.

In altre parole, come ricorda sempre l’attento giovane studioso, Atreju non è altro che il surrogato spirituale per uomini disancorati dalla realtà. Ed è proprio per questo, proprio quel combattere il “Nulla” con un personaggio nato dal Nulla dovrebbe dimostrare come il Nulla non si affronta sul piano morale o narrativo, ma su quello della comprensione quanto della trascendenza perché senza forma, senza principio, ciò che rimane è solo l’illusione di un’esistenza…politica. Ecco perché Atreju e non Hobbit o Camelot o Avalon.

Se il primo tenta lo sforzo eroico della salvezza di una Terra di Mezzo che segue il suo destino nell’essere un ennesimo epico spazio di confronto tra il Bene e il Male, Avalon e Camelot invece segnano, contengono, custodiscono un mito fondante, Quel mito e quell’idea di Europa eroica possibile solo se il ciclo arturiano riuscirà a rendersi tangibile, a rendere coerente ogni sforzo attraverso l’affermarsi di valori di regalità sacra, di gerarchia condivisa e di sacrificio che si concretizzeranno in quel Rex Pater Europae riconosciuto al sovrano carolingio.

Ma, ovviamente, e lo sapeva bene la destra dei popoli, Avalon, Camelot e i cavalieri sono simboli esigenti. D’altra parte, è difficile credere che vi siano figure tali da poter interpretare, nelle nazioni di Europa come nelle istituzioni dell’Unione, un Artù o una Ginevra o nobiltà d’animo cui affidare il destino del continente, a un Parsifal o a un Galahad. E’ rimasto Atreju: un prodotto del nuovo tempo, inclusivo, magari globalista o inconsapevolmente neoliberista. Eroe senza confini e senza popoli distinti, espressione di quell’indistinto mondo cui sembra rivolgersi paradossalmente una destra-non-destra in cerca di identità e cultura. Una destra-non-destra che, alla fine, cerca consenso restando molto distante dal cuore di quell’Europa eroica che resta tale, ancora una volta, nei mai soddisfatti, e per questo messi da parte, miti arturiani.
https://giusepperomeo.eu

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