Spese militari, nel 2024 l’Italia ha sborsato 33,4 miliardi di euro

Crosetto e Meloni

Prima di addentrarsi nei numeri, è importante capire cosa rientra nelle spese militari secondo i parametri Nato. Non si tratta solo di carri armati e missili. Il nuovo target del 5% sarà suddiviso in 3,5% per la spesa militare classica (truppe, equipaggiamenti, munizioni) e 1,5% per investimenti in sicurezza allargata: cyber-difesa, tecnologie a doppio uso civile e militare, resilienza della società contro attacchi ibridi.

Nel calcolo rientrano stipendi e pensioni del personale militare, ricerca e sviluppo nel settore difesa, infrastrutture militari, operazioni di peacekeeping e persino alcune spese della Guardia Costiera e della Protezione Civile.

La spesa dell’Italia: dal 2% di oggi al 5% richiesto dalla Nato

L’Italia occupa il quattordicesimo posto mondiale per spesa militare con 33,4 miliardi di euro nel 2024, pari all’1,6% del Pil. Questa cifra, calcolata secondo la metodologia internazionale del Stockholm International Peace Research Institute, include non solo il bilancio del Ministero della Difesa (circa 29 miliardi), ma anche le spese militari distribuite in altri dicasteri: fondi del Mimit per l’industria degli armamenti, risorse del Mef per le missioni all’estero, quote della Guardia Costiera e della Protezione Civile, oltre ai costi per basi militari e partecipazioni Nato e Ue.

Secondo il Burdensharing Index elaborato dalla Rand Corporation per il Pentagono, l’Italia è il terzo contributore assoluto tra tutti gli alleati Nato con un valore pari a 4,75. Solo Stati Uniti e Giappone si collocano più in alto. Ancora più significativo è il Burdensharing Ratio: l’Italia registra un valore di 1,12, superiore all’unità, il che significa che il paese sta già contribuendo alla sicurezza Nato oltre le proprie possibilità economiche.

Il governo Meloni è riuscito quest’anno a raggiungere il target Nato del 2% attraverso un “ricalcolo contabile”: senza aumentare realmente gli investimenti, ha incluso nel bilancio della difesa voci precedentemente conteggiate altrove, come le pensioni militari dell’Inps e alcune spese della Guardia Costiera.

Ma ora arriva la vera sfida. Per raggiungere il 5% del Pil entro il 2035, l’Italia dovrà praticamente triplicare la propria spesa militare. Secondo l’Osservatorio Mil€x, questo significa arrivare a spendere, nell’anno 2035, 145 miliardi di euro, 100 miliardi in più degli attuali 33,4. Il cammino verso questo obiettivo comporterebbe una spesa militare decennale superiore di almeno 400 miliardi a quella che ci sarebbe mantenendo fermo il parametro del 2%.

Il conto salato per gli italiani

Tradotto in termini concreti, raggiungere il 5% comporterebbe per l’Italia un costo aggiuntivo di circa 40 miliardi di euro all’anno rispetto alla proiezione con il livello attuale del 2%. Appunto 400 miliardi di differenziale in dieci anni, una cifra che supera l’intero Pil di paesi come il Belgio o l’Irlanda.

In termini pro capite, ogni italiano dovrebbe contribuire con circa 650 euro in più all’anno per la difesa. Per una famiglia di quattro persone si tratterebbe di oltre 2.600 euro annui aggiuntivi, che si tradurrebbero inevitabilmente in maggiori tasse o tagli ad altre voci di spesa pubblica.

Le conseguenze sui servizi pubblici potrebbero essere forti. I 40 miliardi annui aggiuntivi equivalgono al budget combinato di diversi ministeri: più di quanto l’Italia spende oggi per l’università e la ricerca, quasi quanto destina all’istruzione o pari all’intero fondo sanitario nazionale di alcune regioni del Sud. Per avere un altro ordine di grandezza: l’ultima Legge di Bilancio valeva 30 miliardi di euro.
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