Oltre gli stereotipi, un appello all’inclusività nella Tutela delle Vittime
A proposito dei due fatti di cronaca il primo caso, avvenuto a Maracalagonis, nel Cagliaritano, che vede un uomo di 62 anni accoltellato dalla compagna durante una lite casalinga e il secondo, a Tolentino, in cui una donna viene accoltellata a morte dall’ex marito, interviene la psicoterapeuta Antonella Baiocchi, autrice del saggio “la violenza non ha sesso” (Alpes Italia Editori 2019) che si sta battendo da anni per far capire che la Violenza Relazionale e domestica non va legata solo al Genere Maschile ma riguarda tutti i Generi quindi anche le donne (la cosiddetta “prospettiva Bidirezionale della violenza inclusiva di tutte le vittime”).
“La cronaca di questi giorni ci restituisce un quadro drammatico e, al contempo, illuminante sulla natura multiforme della violenza che si consuma tra le mura domestiche e nelle relazioni affettive. Due episodi recenti, ravvicinati e complementari, egualmente laceranti, scuotono l’opinione pubblica e impongono una riflessione profonda, lontano da schemi interpretativi ormai obsoleti e dannosi. Questi due drammi, mettono in evidenza la complessità del fenomeno della violenza domestica, che non può essere ridotto a una dinamica unidirezionale. Al contrario, essi dimostrano che, al di là di quanto il politicamente corretto si intestardisce ad imporre, la violenza non è un’esclusiva di genere (il maschio) e né le vittime né i carnefici possono essere confinati in categorie basate sul sesso.
Per troppo tempo, la narrazione dominante ha dipinto la violenza come un fenomeno Unidirezionale, dove l’uomo è per definizione il prevaricatore e la donna la vittima. Questa visione Unidirezionale non è solo parziale, ma pericolosamente fuorviante. Essa genera “falle ideologiche” che impediscono una reale comprensione e, di conseguenza, un efficace contrasto al fenomeno.
Il caso di Maracalagonis, con una donna che assume il ruolo di aggressore e un uomo quello di vittima, scardina l’assioma del “politicamente corretto” che, ancora oggi, tende a demonizzare il genere maschile e a santificare quello femminile in ogni contesto di violenza. Moltissimi altri casi di cronaca di cui noi donne ci macchiamo (cui il sistema regolarmente dà poco risalto) sono raccolti su www.lafionda.com : non si tratta di minimizzare la violenza contro le donne, che resta una grave piaga sociale, ma di riconoscere che la matrice della violenza è più complessa e radicata in dinamiche psicologiche e relazionali che trascendono il sesso degli individui coinvolti.
Il vero nemico non è il genere della persona, ma un profondo “analfabetismo psicologico e relazionale” che affligge la nostra società. Questo analfabetismo si manifesta nel “pensiero dicotomico” – la tendenza a ragionare in termini di bianco o nero, giusto o sbagliato, carnefice o vittima assoluta – che impedisce di riconoscere la complessità delle relazioni e la possibilità che la violenza sia “bidirezionale”, agita e subita da chiunque.
La conseguenza più devastante di questa prospettiva unidirezionale è la discriminazione anticostituzionale verso le vittime di sesso maschile (Centri di aiuto, numeri di emergenza e finanziamenti restano esclusivi per le donne, lasciando gli uomini in un vuoto di tutela) e paradossalmente anche verso le donne autrici di violenza, per le quali non sono previsti centri rieducativi: i CUAV centri uomini autori di violenza, accolgono infatti solo uomini lasciando le donne violente, escluse dalla possibilità di rieducarsi: a tal proposito da tre anni, ho posto un rimedio a questa lacuna, istituendo il primo e ancora unico centro in Italia per la rieducazione maltrattanti, che accoglie anche le donne (www.centrorieducativopersonemaltrattanti.it ).
Casi come quello di Maracalagonis, o di altre vittime maschili spesso invisibili ai media, come gli uomini sfregiati con l’acido citati nell’analisi più ampia, dimostrano la necessità impellente di estendere la rete di supporto e riconoscimento a tutte le persone colpite dalla violenza, senza pregiudizi di genere.
L’episodio di Tolentino, pur rientrando nella tragica casistica della violenza perpetrata da un ex marito, non contraddice, ma anzi rafforza, l’appello per un approccio inclusivo. Non si tratta di contrapporre le sofferenze, ma di comprendere che la violenza scaturisce da una “cultura tossica” – fatta di orgoglio, pretese, invidie e vendette – che può annidarsi in qualsiasi individuo, indipendentemente dal genere.
Il “debolicidio”, ovvero la prevaricazione di chi è in posizione di vulnerabilità da parte di chi detiene un potere (fisico, psicologico, economico, di ruolo), è il vero denominatore comune di tutte le violenze, a prescindere dal genere della vittima o dell’aggressore.
È tempo di abbandonare i pregiudizi e le categorizzazioni limitanti. La lotta contro la violenza richiede un cambio di mentalità radicale: riconoscere che uomini e donne sono molto più simili che diversi nelle loro fragilità e nei loro bisogni. Solo abbracciando una “prospettiva inclusiva”, che metta la persona al centro e riconosca la violenza come un fenomeno che non ha genere, potremo costruire un futuro dove la tutela è garantita a ogni vittima e la prevenzione mira alle radici profonde di un disagio che è universale, non di genere. È solo alleandosi, “fianco a fianco, contro la cultura tossica della violenza”, che uomini e donne potranno realmente sconfiggerla.