La nuova indagine sull’omicidio di Chiara Poggi rischia di arenarsi ancora prima di iniziare davvero
A denunciarlo è un’inchiesta del quotidiano Il Messaggero, che ha rivelato la scomparsa di reperti chiave: tra questi, frammenti di intonaco con impronte, il pigiama della vittima con tracce rilevanti e, soprattutto, il materiale genetico rinvenuto sotto le unghie di Chiara. Proprio quel Dna – secondo i genetisti incaricati dalla Procura – sarebbe fino a 2.153 volte più compatibile con il profilo di Andrea Sempio rispetto a un individuo ignoto. Ma ora quel reperto non esiste più. Probabilmente è stato distrutto dopo la condanna definitiva di Alberto Stasi, già giudicato colpevole per l’omicidio nel 2015. Con la sparizione della “prova regina”, il nuovo procedimento parte monco e rischia seriamente di bloccarsi sul nascere.
I reperti scomparsi: cosa manca oggi all’indagine
Secondo quanto ricostruito da Il Messaggero, i reperti più importanti per l’inchiesta non sono più disponibili. Tra questi, il frammento di intonaco con l’impronta numero 33, attribuita all’allora amico di Marco Poggi, e il pigiama indossato dalla vittima, su cui era presente un’impronta documentata solo fotograficamente. Ma l’assenza più pesante è quella del Dna rinvenuto sotto le unghie di Chiara, considerato un elemento potenzialmente decisivo. Si tratta di un residuo biologico che, oggi, non esiste più nei laboratori forensi, rendendo impossibile qualsiasi nuovo esame comparativo. Secondo l’inchiesta giornalistica, questi elementi sarebbero stati distrutti dopo la sentenza definitiva a carico di Stasi, quando nessuno ipotizzava una possibile riapertura del caso.
La perizia sul Dna: le percentuali e i dubbi degli esperti
Nonostante l’assenza del materiale originale, i periti della Procura di Pavia hanno rianalizzato i dati raccolti nei primi esami forensi. Utilizzando strumenti statistici e software di ultima generazione come Y-Str Mixture Calculation, hanno stabilito che è da 476 a 2.153 volte più probabile che il Dna in questione appartenga ad Andrea Sempio rispetto a un soggetto ignoto. Gli stessi genetisti – tra cui Carlo Previderé e Pierangela Grignani, noti anche per il caso Yara Gambirasio – specificano però che, in mancanza del campione originale, non è possibile escludere l’ipotesi di contaminazione. Il nuovo accertamento, in programma dal 17 giugno, si baserà quindi unicamente su dati preesistenti.
L’elemento ignoto e il nodo della contaminazione
Dalla nuova perizia emerge anche un altro dettaglio rilevante: sull’anulare sinistro di Chiara era presente un ulteriore profilo genetico maschile, non riconducibile né ad Andrea Sempio né ad Alberto Stasi. Questo elemento apre alla possibilità che la giovane sia entrata in contatto con una terza persona poco prima della morte. Proprio per escludere qualsiasi rischio di contaminazione dei reperti – tema ricorrente in molte delle fasi investigative – la nuova indagine prevede anche l’analisi del Dna di alcuni dei carabinieri intervenuti sulla scena del delitto, avvenuto nella villetta di via Pascoli a Garlasco il 13 agosto 2007.
La posizione della famiglia Poggi e i rischi futuri
Gian Luigi Tizzoni, storico avvocato della famiglia Poggi, ha espresso forti perplessità sulla riapertura del caso. In un’udienza recente ha ricordato che su Stasi esiste una sentenza definitiva e che la famiglia, pur disponibile a ogni verifica, teme un nuovo processo fondato su prove inconsistenti. Tizzoni ha anche invitato la Procura a estendere la platea dei soggetti da sottoporre al test del Dna, per evitare in futuro “di inseguire l’Ignoto 7, 8 o 9”, come ha dichiarato. Una misura precauzionale per evitare ulteriori depistaggi e per cercare, dopo quasi vent’anni, di chiudere definitivamente un caso che continua a riempire le cronache.
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