Certificazioni sanitarie digitali, il governo Meloni e la sua maggioranza sono ambigui

Certificazioni sanitarie digitali

Si utilizza una formulazione talmente vaga e generica che può essere riempita in futuro di qualunque contenuto inclusa, in ipotesi, la famigerata certificazione verde

a cura di Daniele Trabucco (*)Il Governo della Repubblica, con il decreto-legge 02 marzo 2024, n. 19, contente ulteriori disposizioni normative per l’attuazione del Piano nazionale di Ripartenza e Resilienza, prevede (il testo è ancora in vigore), nell’art. 43, sia per far fronte a future ed eventuali emergenze sanitarie, sia per agevolare il rilascio e la verifica delle certificazioni sanitarie digitali utilizzabili in tutti gli Stati aderenti alla rete globale di certificazione sanitaria digitale dell’Organizzazione mondiale della sanitaria (OMS), l’utilizzo della nota Piattaforma nazionale «digital green certificate» di cui all’ art. 9, comma 1, lett. e) del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 convertito, con modificazioni, nella legge ordinaria dello Stato 17 giugno 2021, n. 87.

​In sede di conversione in legge formale da parte del Parlamento italiano, entro il termine perentorio di sessanta giorni previsto dall’art. 77, comma 3, della Costituzione, è stato presentato in Commissione parlamentare permanente Bilancio della Camera dei Deputati un emendamento modificativo dell’art. 43 (annunciato, peraltro, dal Ministro della Salute pro tempore subito dopo l’entrata in vigore del decreto): vengono tolti i riferimenti alle possibili emergenze sanitarie, alle certificazioni sanitarie digitali dell’OMS ed alla Piattaforma nazionale e si stabilisce, in attuazione dei progetti della Missione 6 del PNRR, l’aggiornamento del fascicolo sanitario elettronico (istituito nel 2012).

In particolare, il testo riformulato dell’art. 43, comma 1, prevede, a decorrere dall’entrata in vigore della legge di conversione (gli emendamenti modificativi non operano mai, di norma, retroattivamente), che, con decreto del Ministero della Salute, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e sentito il parere dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, siano individuate «le modalità tecnologiche idonee a garantire il rilascio e la verifica delle certificazioni sanitarie digitali, in conformità alle specifiche tecniche europee ed internazionali».

Ora, è vero, da un lato, che la nuova versione non fa più alcun riferimento alle future emergenze sanitarie e al sistema del c.d. «green pass globale» proposto dall’Organizzazione mondiale della sanità la cui adesione, da parte degli Stati, è su base volontaria, ma dall’altro non solo non viene meno la volontà della maggioranza parlamentare di emettere certificazioni digitali conformi alle specifiche tecniche europee ed internazionali (il richiamo, anche se è stato tolto dall’emendamento, è la decisione di esecuzione UE n. 1073/2021 della Commissione europea sulle caratteristiche tecniche inerenti al certificato digitale COVID), ma si utilizza anche una formulazione talmente vaga e generica che può essere riempita in futuro di qualunque contenuto inclusa, in ipotesi, la famigerata certificazione verde che abbiamo tutti ben conosciuto durante l’emergenza sanitaria.

Restano, infine, irrisolti alcuni aspetti: quale piattaforma emetterà queste certificazioni? Con quali modalità? Quali sono le tipologie (l’art. 43, comma 1, nella sua versione riformulata manca, sul punto, di tassatività). Forse, un testo più chiaro avrebbe aiutato a fugare i dubbi che tutt’ora permangono.

(*) Professore strutturato di Diritto Costituzionale presso SSML/Istituto di grado universitario «san Domenico» di Roma

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