Verità con due facce: la polizia in mezzo al gioco delle parti

scontri Pisa

Il problema è credere che la verità stia solo da una parte, e chi sta dall’altra parte sta dalla parte del torto. È solo uno che la pensa diversamente

di Emiliano Scappatura – Nel primo dopoguerra, nel suo Candido portato avanti in mezzo ai fumi non diradati e alle tensioni ancora cariche della guerra civile Guareschi s’era inventato la rubrica “visto da destra–visto da sinistra”, a indicare come la realtà può cambiare a seconda di come la si guarda o magari anche solo da come la si descrive. E talvolta a cambiare la prospettiva può anche succedere che alla fine un episodio che credevamo così granitico ci si dissolva improvvisamente davanti agli occhi.

Adesso è trascorso più di mezzo secolo ma ben poche tra le cose che sommandosi hanno fatto la storia di questo paese, che non vive di alto respiro ma solo di cronaca spicciola, sfuggono a questa doppia verità interpretativa. È inutile quindi chiedersi ogni volta chi abbia ragione: è più facile chiedere a chi strepita da che punto osserva la realtà. Di solito quando ci sono scontri c’è un mondo che vede nello Stato il tutore dell’ordine e un mondo che ci vede solo un pericoloso guardiano della repressione. Naturalmente spesso a seconda di chi sta seduto sugli scranni dell’esecutivo. E la polizia si trova sempre in mezzo a questo gioco delle parti (solo una volta si trovarono tutti d’accordo contro la protesta: quando a manifestare furono i cosiddetti no vax, perché quella volta il governo non aveva il fastidio di una opposizione parlamentare).

In Italia basta aspettare e qualche scontro tra studenti e polizia arriva sempre

È una vecchia tradizione di una nazione in cui tutti detestano lo Stato ma nessuno ne saprebbe fare a meno. Di solito a provocare sono i primi e, se la polizia si oppone o contrattacca, nei giornali si legge di repressione del dissenso, di divieto di parlare e di democrazia in pericolo.

Gli scontri di questi giorni mi hanno riportato alla memoria storica quelli del sessantotto, quando prese avvio questo modo di pensare che Prezzolini definì una ubriacatura di democrazia. Gli scontri più cruenti si ebbero a Villa Giulia, davanti alla facoltà di architettura romana, e naturalmente l’intellighenzia italiana, la cui paura più grande è quella di sembrare vecchia, si schierò con i giovani studenti e le loro rivendicazioni. Solo Pasolini, a cui non potevano certo essere addebitate simpatie reazionarie, sorprese tutti in una celebre poesia dicendo invece che in questa battaglia di classe in realtà i veri proletari erano i poliziotti, figli di povera gente che si stavano solo guadagnando il pane perché la vita non gli aveva dato molta altra scelta e dall’altra parte c’erano solo dei capricciosi privilegiati che poi, tra qualche anno, di quello Stato che stavano combattendo se ne sarebbero serviti bene, e si sarebbero anche serviti dei servizi di quei poliziotti che adesso stavano prendendo a pietrate. Pagò queste parole con la marginalizzazione all’interno del partito a cui sarebbe presto seguita l’espulsione.

Ma non c’è nulla di nuovo: Longanesi diceva che tutte le rivoluzioni nascono per la strada e finiscono al ristorante. Solo che alcune in strada ci vanno proprio tra una portata e l’altra, tanto per smaltire le portate.
E anche l’ultimo scontro non rifugge dal solito brusio.

Forze dell’ordine e contestatori vengono alle mani e non cambia il modo di interpretarlo

Un certa cultura progressista si indigna scandalizzata che la polizia osi bloccare con violenza i sogni e le aspirazioni di una gioventù che in fondo vuole solo un mondo migliore di quello in cui si trova adesso. E una certa cultura conservatrice ribatte che per migliorare il mondo non è necessario infrangere le leggi e che c’è una profonda differenza tra la libertà e l’anarchia, altrimenti rispetto al mondo che questi vorrebbero costruire è meglio che ci teniamo questo, pur con tutti i suoi difetti.

A leggere certi intellettuali di sinistra saremmo sull’orlo del colpo di Stato, e si rievocano i fatti del G8, e un morto che per alcuni fu un martire e per altri un esagitato che un martire lo stava provocando. A destra ci si difende spiegando che la folla ha violato gli sbarramenti e rifiutato ogni mediazione, si parla di “figli del popolo attaccati da radical chic”, ed è pericoloso dipingere come vittime chi ha compiuto queste cose.

Tra queste interpretazioni non credo che ci sia un giusto e uno sbagliato. Come diceva Guareschi, la realtà cambia se la dipingi da destra o da sinistra, e tutti hanno torto o ragione. Ma la democrazia esiste appunto per questo: proprio perché non tutti possono pensarla nello stesso modo e si vota proprio per non venire alle mani e qualcuno alla fine deve pur decidere. In questo momento la metà che deve scegliere cosa fare crede che magari se un corteo non è autorizzato è lecito bloccarlo. Si può pensarla diversamente, come chi ha voluto vedere il voto sardo come “la risposta ai manganelli”.

L’importante, appunto, è capire che se si blocca un corteo non si sta fermando la verità

Nessuno mette in dubbio il diritto di manifestare e di farsi ascoltare, ma solo di farlo secondo le regole. E semmai la democrazia trema non quando non ti consentono di dimostrare, ma quando, appunto, credi che quello che dici va detto in ogni caso e in ogni modo, e nessuno ha il diritto di fermarti. Quando non accetti di trasferire lo scontro dalla piazza a una dimensione dialettica. Il problema è credere che la verità stia solo da una parte, e chi sta dall’altra parte sta dalla parte del torto. È solo uno che la pensa diversamente. Perché la democrazia, diceva Kelsen è figlia dell’ignoranza, e muore quando qualcuno pretende di sostituirla con la verità.

Prof. Emiliano Scappatura

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