Amministratori di sostegno, Barbara Pavarotti: lettera al compagno

PIAZZA LIBERTA', intervento di Barbara Pavarotti

DORMI AMORE, NON TI SVEGLIARE: E’ MEGLIO CHE TU NON CAPISCA COSA TI HANNO FATTO.

Questa è la storia di Barbara e C. , di una coppia divisa a forza da quando lui – sofferente di una demenza del tutto gestibile a domicilio – è stato ricoverato contro la sua volontà in una struttura per vecchi (privata e a caro prezzo) dal suo amministratore di sostegno. Barbara ha implorato che lui tornasse da lei. Ha pregato di poterlo assistere lei, gratis, come ha fatto fino al 15 gennaio 2022. Nulla. Barbara è anche la sua compagna legale, in base alla legge Cirinnà, ma questo non ha spostato di una virgola il divieto dell’amministratore di sostegno di vederlo. Divieto mai autorizzato dal giudice tutelare di Roma che, dopo 11 mesi di istanze senza risposta, ha decretato che ogni potere spetta all’amministratore: compreso quello di decidere su ogni incontro e contatto col ricoverato-amministrato.

Questa è la storia di una legge, la numero 6 del 2004, nata bene e che, in troppi casi, sta finendo male perché amministratori e giudici non fanno il loro dovere e infrangono la legge stessa, talmente vaga da consentire ogni deriva liberticida.

Ecco la lettera che Barbara Pavarotti, 67 anni, ha scritto a C. che di anni ne ha 78 e che implorava “VOGLIO MORIRE A CASA MIA, NON RINCHIUDETEMI”.

—————————————————————————————————————-

C., povero tesoro invecchiato in 18 mesi di 20 anni, scrivo questa lettera, che forse mai leggerai, al vento. Nessuno te la consegnerà mai, perché, da quando sei stato portato via da casa, non so più nulla di te. Quella casa che ti eri comprato con tanta fatica, che conteneva il tuo passato, ormai smantellato, mentre tu sei ancora in vita e per fortuna che non lo sai.

Giurami, mi avevi detto ad aprile, di non permettere a nessuno di portarmi via ”.

Ti chiedo scusa, non ce l’ho fatta. Sei stato messo in quelle strutture per anziani che odiavi, perché tu non ci volevi stare con chi sta peggio di te. Tu volevi stare con persone più giovani. Invece no, sei vecchio. Devi stare nelle strutture per vecchi. E sei demente. Ma non lo eri così tanto quando ti ci hanno portato, lo so. So che hai chiesto per mesi di andartene, ma non ne sei più uscito, mai ti è stato concesso di poter tornare a casa almeno a scegliere da solo le cose che volevi portarti in struttura, come tu stesso hai chiesto al tuo amministratore di sostegno, che è tua figlia. Non hai più rivisto casa tua nemmeno in fotografia. E questo non ti ha fatto bene, tutti gli esperti di demenza del mondo dicono che bisogna conservare i propri riferimenti , le proprie abitudini, ma qui in Italia giudici e amministratori di sostegno non ci vanno tanto per il sottile. Sradicano, rinchiudono, vietano, proibiscono e finisce lì.

Non so dove sei, cosa fai, se parli, se cammini, che farmaci ti fanno prendere. Se questi farmaci ti fanno bene o male.

Se ti danno la cioccolata che ti piaceva tanto. Se ti friggono i supplì , come facevo io. Credo di no, ti daranno il cibo per vecchi. E’ per questo che sei dimagrito tanto?

Non sai quanto ti ho cercato, quanto ho implorato che fosse ascoltata la tua volontà. Nessuno l’ha mai fatto. I carabinieri me l’avevano promesso, invece ci hanno preso in giro. La tua volontà valeva meno di zero.

Sai che un pomeriggio di luglio, dopo aver finalmente scoperto dove stavi, mi sono presentata alla struttura per chiedere di vederti e i gestori mi hanno picchiata urlando “criminale, assassina, ti facciamo carcerare a vita?”. Tu eri lì dietro, oltre le sbarre, non so se hai sentito qualcosa. Ho implorato anche la polizia, intervenuta, di farti sapere che ero lì, con te. Nulla, non ha voluto farlo. Sono finita all’ospedale, con un dito fratturato e contusioni multiple, solo perché il tuo amministratore di sostegno aveva dato ordine di cacciarmi.

Poi a fine agosto sei stato spostato di struttura perché lì – dove hai vegetato per 4 mesi senza fare assolutamente nulla, impazzendo – c’erano troppe ispezioni. Si è rivelata irregolare, senza nemmeno le cartelle cliniche e personali dei ricoverati. Senza alcun piano di assistenza. Ti ho visto, in qualche foto mandatami dalla tua stessa amministratore di sostegno, in carrozzella, legato, dopo appena due mesi dal ricovero. Ma tu camminavi, quando sei stato ricoverato. Ma l’amministratrice si è arrabbiata perché a me non sembrava che stessi così bene, e ha chiuso ogni contatto.

Da quella struttura sei stato spostato come un pacco, solo perché lì la situazione era diventata tesa. Altrimenti ti ci avrebbero tenuto a vita. E comunque a vita ora sei sempre in un’altra struttura privata, ti stai pagando (anche se non lo sai) la tua morte a 2000 euro al mese. Coi tuoi soldi, che non bastano, per questo hanno affittato e forse venderanno casa tua. Per poterti tenere rinchiuso ancora e sempre. Fino alla morte.

Ora, forse, non hai più una volontà, forse non sai più chi sei, dove stai, perché. Io sapevo che ogni giorno che passavi là dentro sarebbe stato fatale. Sapevo che in pochi mesi ci sarebbe stato il tracollo. Non ti è stato concesso di vivere “da libero” i tuoi ultimi mesi di lucidità. Non ti è stato più concesso di vedermi o vedere chi voleva venirti a trovare. Nel tuo ultimo messaggio telefonico mi hai detto: “Sono bloccato su tutto, spero che le cose cambino, chiamami per piacere”. Scusa se non sono mai riuscita a farlo. Già dopo questo messaggio il tuo telefono non era più tuo, te l’hanno tolto subito.

Sai che ai tanti che ti mandavano whats app per sapere dove stavi, il tuo amministratore di sostegno ha risposto fingendo che fossi tu: “Sono con la mia famiglia”. Non era vero. Eri in struttura. Sai che quelli che ti hanno cercato sono stati minacciati? A un tuo amico la struttura ha detto: “ Abbiamo il suo telefono, la denunciamo”. Esiste il reato di telefonata, secondo costoro.

Sai quanta gente ti ha cercato e sempre si è sentita rispondere: “NO, NON E’ POSSIBILE VEDERLO. Lui deve stare in pace, dimenticare tutto”. Perché hanno voluto che tu dimenticassi a forza il tuo passato non facendoti più frequentare il mondo di prima?

E io posso solo ricordare tutto quello che abbiamo fatto insieme, quando nessuno ci vietava di farlo. La nostra complicità, perché ci dicevamo tutto, il nostro amore, i nostri battibecchi, la tv guardata abbracciati, le notti in cui ci si addormentava tenendoci per mano.

Tu ora non ricordi, ma io sì. E questo basta. Ma mi è vietato anche farti una carezza. “Per il tuo bene, dicono, per non turbarti”. Ma quanto può essere pericolosa una carezza per chi sta nel mondo dell’oblio?

Ora non guardo più nemmeno il cielo. A chi dovrei mostrare i tramonti? Mi sono persa, ho smarrito il senso. Come te.

Passo davanti al negozio dove siamo andati a scegliere il tuo ultimo regalo di compleanno, quel maglioncino lilla che ti piaceva tanto e distolgo lo sguardo, non ce la faccio. Ce l’hai ancora? Te l’hanno portato in struttura o stai sempre con la tuta? Anche quella te la regalai io, ma era per la palestra. So che nelle strutture è come in ospedale, non è che poi si guardi tanto all’abbigliamento. Dove si deve andare, in fin dei conti, chi si deve vedere? Sempre le solite facce.

Tu hai detto che stai in ospedale, col lettino con le sbarre, hai parlato di “gente orribile, pipì, dolore”, ma dicono che definisci la struttura così perché sei demente. Che invece è meravigliosa. Ma come può essere meraviglioso un mondo con le sbarre e non solo ai letti? Come può essere meraviglioso un mondo dove tutti ti comandano? A me sembra che questo mondo sia fatto di detenuti che non hanno commesso alcun reato, dove è sancita “la fine pena mai”. Se non con la morte. Detenuti che hanno l’unica colpa di essere fragili, anziani e quindi non degni di vivere diversamente.

Sai, ho chiesto di vederti per il tuo compleanno. Non mi hanno nemmeno risposto. Non mi hanno risposto quando ho chiesto di vederti per Natale, per il mio compleanno. Non è bello che tu in struttura non possa vedere nessuno, so che è una bugia quando dicono che sei tu a volerlo.

Sai che il tuo giudice, quello che deve decidere il tuo destino ( e nessuno ti ha spiegato che sarebbe andata così) non si interessa a te e a come stai, perché ha tanto altro da fare? Nemmeno ti conosce, non ti ha mai visto.

Può un giudice tutelare fregarsene di una vita umana? Sì, lo può fare. I giudici hanno tanto potere e non sempre lo esercitano bene.

Questo giudice mi ha concesso un incontro a fine settembre 2022 e in udienza ha esordito così: “Non ho letto nulla e non intendo leggere nulla”. Io sono rimasta raggelata. Al mio avvocato ha intimato di ritirare immediatamente tutte le istanze, altrimenti non mi avrebbe concesso di vederti. A me ha detto: “Lei è una giornalista. Se solo osa scrivere o parlare pubblicamente di questa storia, non le farò mai più vedere in vita sua C. “.

Per questo ti chiamo C. non posso dire il tuo nome che ho nel cuore impresso a fuoco.

Ti ho visto, sì, anche se tu non lo ricordi, a fine settembre 2022, a casa dell’amministratrice di sostegno. Un incontro filmato integralmente come da disposizione del giudice, roba che neanche per le visite ai carcerati viene imposta. Ti ho ritrovato, ma tu eri ormai perso. Mi hai detto cose bellissime, per quel che potevi: “ Sono rimasto angosciato che non ci si poteva più vedere. E’ stata una cosa che mi è mancata, guardavo il calendario, ero preoccupato perché mi rendevo conto che stava passando troppo tempo”.

Ma l’amministratrice di sostegno ci interrompeva sempre, voleva che parlassimo d’altro, non di noi due.

E il giudice che doveva decidere, in base a questo incontro se io “sono pericolosa per te”, non si è mai pronunciato. Anzi, ha dato ogni potere al tuo amministratore di sostegno. Come posso io essere pericolosa per l’uomo che volevo accudire per tutta la vita? Ce l’eravamo giurato, scusa se non ho potuto rispettare questo giuramento.

C., tu non sai nemmeno che significa avere un amministratore di sostegno, non te l’ha spiegato nessuno quando a marzo 2022, all’udienza in cui sei stato trascinato (e tu non volevi, avevi paura) l’avresti capito. Ti hanno chiesto se avevi bisogno di assistenza e tu hai risposto: “Sì, grazie”. Non sapevi che saresti diventato un prigioniero. Nemmeno io lo sapevo. Tutto – la nomina di un amministratore di sostegno, il tuo ricovero- è stato fatto di nascosto da me. Altrimenti avrebbero dovuto passare sul mio cadavere per farti questo. E a tua insaputa, mentre tu avevi il diritto di sapere cosa ti aspettava. Invece ti hanno tradito nascondendoti la verità. Il ricorso per l’amministrazione di sostegno è stato depositato quando tu ed io si viveva insieme, non lo sapevamo. Poi ho letto che, in questo ricorso, io sono definita “l’estranea”. Io che ti stavo accanto e ti allargavo le mutande strette.

Ma il giudice non ha MAI voluto verificare nulla. Come ci si può affidare a una giustizia tanto indifferente?

C., ogni mio pensiero, ogni istante, è rivolto a te. Ogni lacrima è per te, mio compagno di viaggio per 13 anni. Non doveva finire così. Spero che non finisca così. Ma ho una brutta sensazione, gli incubi arrivano nella notte insonne.

Com’è difficile morire da solo, da sola. Possibile che proprio a noi tocchi questo destino? Tu l’hai forse meritato? Io non so nulla. Eppure so tutto e vedo con esattezza cosa accadrà. Come l’ho visto dal primo giorno della tua scomparsa, quando ho implorato mezzo mondo di ascoltare cosa volevi veramente. E nessuno, pur potendolo e dovendolo fare, ci ha aiutato. Sapevo tutto, mi rifiutavo solo di crederci perché mi sembrava impossibile che tu dovessi rinunciare, per ordine di altri, a tutto quello a cui tenevi.

Sei arrivato in sogno. Io continuavo a chiederti cosa fosse successo e tu non rispondevi. Scuotevi la testa con un sorriso triste.

Ti sogno senza braccia, fai il gesto di abbracciarmi e non puoi. Ti sogno fuggito dalla struttura (impossibile) di nuovo con me e con gli amici, ma il tuo amministratore di sostegno sempre ti riprende e ti riporta nella tua nuova casa, fatta di una stanza.

Ieri ho comprato tutte le cose che preferivi mangiare e poi le ho regalate al mendicante fuori dal supermercato, perché non so dove portarle, non so dove tu sia.

Non ho fatto in tempo a dirti per bene quanto sei stato importante in 13 anni. Quanto hai fatto per me. Perché hai fatto tanto. Soprattutto c’eri sempre, di notte e di giorno, in qualunque momento c’eri per me. E io non sono nemmeno riuscita a salvarti.

Puoi ascoltarmi? Sono io, Barbara. Dove sei? So ormai che questa lettera è un addio. Un addio deciso da altri, da giudici, dalla tua amministratrice di sostegno. Non da te e da me. E’ crudele. Un addio imposto da una legge , la numero 6 del 2004, interpretata con cattiveria e con cinismo. Nemmeno agli ergastolani al 41 bis è vietato a vita di vedere qualcuno. Agli amministrati sottoposti a questa legge sì.

Tesoro, non è normale. Mi sembra di stare non in uno Stato democratico, ma nell’Argentina dei desaparecidos. Sei scomparso e alla “giustizia” non gliene frega nulla se tu all’inizio hai sofferto come un cane e sono state spezzate due vite, la tua e la mia. Ti avranno detto, all’inizio, che ti ho abbandonato. Non è vero. Ma non posso più fartelo capire.

Dormi, amore, non ti svegliare. Questo mondo , questa legge malsana sono troppo brutti per noi due. Qualche politico mi ascolta? Sono certa di no. Dormi, amore.

SOSTIENI IMOLAOGGI
il sito di informazione libera diretto da Armando Manocchia

IBAN: IT59R0538721000000003468037 BIC BPMOIT22XXX
Postepay 5333 1711 3273 2534
Codice Fiscale: MNCRND56A30F717K