A 80 anni dall’armistizio dell’8 settembre 1943

armistizio Cassibile

di Emanuela Lari – Il maresciallo Badoglio annuncia con voce lenta, al microfono dell’EIAR, le poche righe del comunicato che sancisce l’entrata in vigore dell’armistizio di Cassibile: la firma della resa agli angloamericani. Le lancette segnano le 19.42. Un’ammissione di sconfitta così forte nella sua fragilità che getta il Paese in una confusione impregnata di tragedia che durerà altri 2 anni.
Il re e Badoglio lasciano le forze armate senza ordini chiari su come reagire alla vendetta tedesca. No, la guerra non è finita: l’Italia è allo sbando, lo Stato è sfasciato.

Tra parti secretate e altre male interpretate, gli italiani scoprono di non essere più alleati con i nazisti e si illudono che sia finalmente pace, in realtà si ritrovano invischiati in un lungo periodo di stenti, bombardamenti, rappresaglie, guerra civile, migliaia e migliaia di morti.

Dagli archivi de “La Civiltà Cattolica” emerge che Pio XII avrebbe affermato che peggio di così l’armistizio non avrebbe potuto essere gestito: si rimaneva esposti contemporaneamente alla violenza dei tedeschi e al cinismo degli angloamericani, a cui si aggiunsero le “marocchinate” francesi autorizzate dal lungimirante Generale Alphonse Juin, quasi mai nominato nelle cronache ufficiali: a lui sono riconducibili le leggendarie 50 ore di libertà consentite ai mercenari nordafricani per sfogarsi in saccheggi e violenze sessuali, non solo sulle donne. Dettagli di cui si stenta a trovare cenno, perché in guerra (anche se ormai terminata) si dice che “tutto è lecito”: De Sica ne realizzò un film, ma l’aberrante realtà è umanamente inimmaginabile.

Ci vorranno ancora oltre 18 mesi di stragi e bombardamenti per arrivare alla cosiddetta “pace”.
2.735 caduti, 6.521 feriti, 5.000 deportati, episodi eroici come il martirio di Salvo D’Acquisto e l’esecuzione dell’Ufficiale degli Alpini “Capitano Bolla” De Gregori (omonimo del più famoso nipote musicista Francesco), freddato da partigiani garibaldini insieme ad altri 16 combattenti delle Brigate Osoppo, e varie altre stragi più o meno a sorpresa: eccidio di Sant’Anna di Stazzema e del Padule di Fucecchio – agosto 1944, eccidio di Figline di Prato e di Marzabotto – settembre 1944, tra le meno ricordate, oltre a razzie, stupri “legittimati” e relative conseguenze (malattie veneree, aborti, suicidi, infantici, abbandoni negli orfanotrofi dei superstiti nati “meticciati”, ecc.).

Tutte stime a ribasso, per i dati delle effettive vittime: soltanto per stupri e suicidi ci fu una vera ecatombe, di cui si hanno notizie solo nelle memorie di parroci e sindaci dei singoli Comuni.
Si vorrebbe solo un po’ più di verità, per rispetto a quei morti lasciati soli a combattere per“liberare” l’Italia, vittima dell’abbandono totale dovuto all’armistizio siglato da quei graduati che non erano riusciti nello stesso obiettivo.

Oggi come 80 anni fa, quell’obbligo di memoria calendarizzato dal 27 gennaio al 25 aprile, e altre targhe datate in tante piazze e strade, ancora tarda a produrre un sano rigurgito di dignità, soprattutto Istituzionale.
Per quanto taciuti o secretati, quegli “accordi” hanno superato l’inevitabile data di scadenza non utilmente prorogabile: visti gli effetti, rappresentano solo l’esempio di ciò che ormai NON DEVE più avere nessun valore né essere ripetuto. Il “sed perseverare” ben si sa che di umano niente ha.

Nei libri di storia scolastici si fa fatica a riscontrare la giusta narrazione dei fatti con le dovute correlazioni, dunque l’invito ad un’onesta esposizione è rivolto a tutti gli insegnanti di buona volontà che si adoperino per colmare le specifiche lacune.
Emanuela Lari

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