Mafia, trema l’Emilia: troppa omertà sulla ‘ndrangheta

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Ndrangheta, mafia e camorra sono presenti e radicate in Emilia almeno dagli anni ‘80, se non da prima. Peccato che nessuno le abbia viste, se non di recente

di Antonio Amorosi – (www.affaritaliani.it) –  Qualche mese fa l’ex magistrato Roberto Pennisi ha rivelato a Il Giornale che nel frangente del processo Aemilia gli fu impedito di indagare sui legami tra quella criminalità organizzata e il potere politico della sinistra in Emilia Romagna. Non è possibile una tale penetrazione del territorio senza sfiorare i gangli politici che da sempre “comandano” nella terra fiore all’occhiello della sinistra italiana. Sul tema vi sarebbe una relazione dello stesso Pennisi in cui il magistrato racconterebbe che alcuni colleghi non avrebbero voluto indagare.

Qualche giorno fa il deputato e avvocato di Reggio Emilia Gianluca Vinci (FdI) ha interrogato il governo e il ministero della Giustizia sull’esistenza della relazione e su quali interventi intenda intraprendere sulla vicenda il dicastero presieduto da Carlo Nordio. Vinci ha anche ricordato lo scioglimento per mafia del Comune di Brescello, il paese di Don Camillo e Peppone di Guareschi da sempre amministrato dalla sinistra, in seguito alle coraggiose denunce, in solitaria, della consigliera Catia Silva.

Il ministero, in aula temporaneamente rappresentato dal sottosegretario Claudio Durigon, ha confermato che la relazione del dottor Pennisi “è stata “trasmessa in data 3 aprile 2023” alla Procura generale della Corte di Cassazione. In più il ministero della Giustizia ha comunicato che sulla vicenda sollevata da Pennisi “è stato aperta da questo dicastero un’indagine conoscitiva di natura ispettiva che al momento risulta ancora coperta da segreto”.

La fretta con la quale i gruppi dirigenti emiliani vorrebbero archiviare anche il processo Aemilia ha lasciato una coda. Le stesse vertebre che hanno fatto saltare i nervi a qualcuno dopo la presa di posizione dell’Ordine degli avvocati di Reggio Emilia che in un comunicato firmato dal presidente l’avvocato Enrico Della Capanna “auspica che le rivelazioni del dottor Pennisi non restino lettera morta e che inducano a fare chiarezza affinché ogni dubbio possa essere opportunamente fugato”.

“Apprendere da siffatta autorevole fonte”, scrivono ancora i legali, “che le indagini più delicate che sono state condotte nel nostro territorio in tema di infiltrazioni mafiose risulterebbero viziate da mancate verifiche delle segnalazioni degli organi investigativi rispetto a soggetti appartenenti alle istituzioni e ad una parte del mondo politico, non può che provocare una reazione di cauto disappunto. Quanto si legge in questi giorni induce ad una seria riflessione sulle cause di una simile violazione dei principi di imparzialità, autonomia e indipendenza della magistratura, che debbono essere il fondamento della società civile”.

Cosa c’è nella relazione di Pennisi? Basta leggere il pregresso per capirlo. ‘Ndrangheta, mafia e camorra sono presenti e radicate in Emilia almeno dagli anni ‘80, se non da prima. Peccato che nessuno le abbia viste, se non di recente. Negli anni ogni intreccio con la politica che davvero “comandava” il territorio è stato cassato e opacizzato.

Il processo Aemilia non è nient’altro che una rivisitazione, con le intercettazioni del clan di ‘ndrangheta vincente, Grande Aracri, di altre inchieste passate nel silenzio come Grande Drago, Edilpiovra, Scacco Matto, Pandora. Fu sempre Pennisi, quando era sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia (Dna) a spiegare come istituzioni e politica locale “non comprendono il pericolo esistente in una zona infiltrata dal crimine organizzato ben al di là di quanto possa immaginarsi. Infiltrazione che ha riguardato, più che il territorio in quanto tale con una occupazione ‘militare’, i cittadini e le loro menti; con un condizionamento, quindi, ancor più grave”.

La penetrazione si intreccia con la cattiva gestione della cosa pubblica che ha prodotto un notevole incremento delle pendenze penali attraversi i reati-spia, indicatori di dinamiche più profonde. Fenomeni che non interessa indagare e che sono saltati agli occhi anche a Pennisi che solo nel frangente di Aemilia si è occupato dell’Emilia Romagna. Come confermano anche le motivazioni della Cassazione sul processo Aemilia: la ‘ndrangheta è “vissuta” in Emilia come un affidabile “fornitore di servizi”. E questo è avvenuto “grazie a pezzi di società conniventi” che nei decenni si sono alternati, ma facendo vivere nell’immaginario della collettività l’idea di un territorio cristallizzato al secondo dopoguerra.

Invece la presenza di organizzazioni criminali, in parte imprenditoriali e in parte militari, si è sviluppata negli anni con intrecci profondi, penetrando sul territorio e costruendo un’omertà fuori dal comune. Non a caso tutti coloro che hanno ricevuto intimidazioni e sono stati raccontati nel processo Aemilia (si citano 124 eventi recenti) quando sono stati interrogati hanno negato gli accadimenti. In Campania, Calabria e Sicilia non c’è riscontro di uno stesso livello di omertà. Il parlamentare Vinci si è detto soddisfatto della risposta del governo.

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