Giuseppe Romeo, “La Nato dopo la Nato”

Perché l’Alleanza rischierà di implodere – L’ordine euroatlantico in un mondo multipolare

Giuseppe Romeo, "La Nato dopo la Nato"

“A essere onesti devo dire che mi dispiaceva che l’Urss stesse perdendo le sue posizioni in Europa. […] Però capivo che una posizione costruita sulle divisioni e sui muri non poteva durare.”
Vladimir Putin

“Quando vi parleranno di guerra preventiva, dite loro di andare a combatterla da soli. In seguito alla mia esperienza, sono giunto a odiare la guerra. La guerra non risolve nulla.”
Dwight David Eisenhower

Nota dell’Autore Giuseppe Romeo

Gli ostacoli alla pace non sono ostacoli nella materia, nella natura inanimata, nelle montagne che trafiggiamo, nei mari attraverso i quali voliamo. Gli ostacoli alla pace sono nelle menti e nei cuori degli uomini.
Norman Angell

Giuseppe Romeo
Giuseppe Romeo

Ci sono diverse prospettive dalle quali guardare alla Nato, alla sua ragione di esistere ancora oggi, al ruolo e ai rischi che la sua esistenza comporta in un quadro complessivo di sicurezza continentale. Si può discutere sulla sua utilità – la più che inflazionata domanda: a che cosa serve la Nato? O approdare a considerazioni più profonde per le quali, ammessa la necessità di assicurare condizioni di equilibrio e stabilità condivise in Europa, non sia necessario rinegoziare la stessa Alleanza senza deprivarla di una sua utilità purché condivisa e discussa da tutti i protagonisti della storia dell’Europa del nuovo millennio: Federazione Russa compresa. O anche valutare con obiettività la realtà geopolitica del momento e l’esistenza o mancata garanzia di idonei equilibri continentali garantiti da attori che si  sovrappongono su piani comuni, come quelli della sicurezza e difesa, che si guardano solo in un orizzonte comune atlantico e, se così fosse, non sarebbe certo un esercizio di scuola, né potrebbe sembrare una vanità accademica.

L’idea che ancora oggi, a proliferazione data, si possa replicare una sorta di bipolarismo nucleare perfetto è ormai una condizione non percorribile per la diffusione non solo delle disponibilità e per la versatilità raggiunta dai sistemi d’arma quanto per la diffusione dei centri di potere che la stessa grande potenza sopravvissuta alla Guerra Fredda, gli Stati Uniti, non riuscirà a governare con puntualità se non affidandosi al rilancio della Nato per obiettivi politici e per interessi nazionali. Interessi, questi, sottesi alla politica mondiale di Washington, e alla rivisitazione del peso riconosciuto agli stessi alleati europei e alla sostenibilità dei costi.

Ma vi è anche un’altra prospettiva alla quale guardare. Ed è proprio la possibilità di rinegoziare il trattato dell’Atlantico del Nord soprattutto al termine della crisi russo-ucraina. Una necessità e non un lusso né, tantomeno, una concessione fatta al vincitore o al perdente di una crisi non certo imprevista o imprevedibile, se non voluta o auspicata che muterà nel tempo breve non solo gli equilibri, ma gli stessi rapporti di forza tra le potenze e le relazioni fiduciarie tra gli alleati euroatlantici.

La Nato si è trasformata dopo aver buttato alle ortiche quel Paris consensus che avrebbe segnato un’epoca e dato una ragione alla fine di un’Europa divisa tra fratelli, in un braccio politico piuttosto che militare prestandosi a presidiare rendite geopolitiche che non avranno longevità se non ad alti costi o insidiando culture e valori in nome di un’idea di impero neoliberale che nulla ha a che fare con un impero europeo. Un’idea di impero, quella neoliberale, che nel suo radicalismo consumistico e nella sua affermazione nell’omologazione delle culture all’egemone d’oltreatlantico si porta sulla stessa via della propria nemesi, quella comunista, omologante e normalizzante. Una strada già giudicata dalla storia e che farà sì che lo sforzo del mercato universale a prezzo unico rischierà di implodere nelle crisi economiche dei prossimi anni e sulle macerie dell’azzardo testato con la farsa pandemica e giocato in Ucraina.

La sicurezza non è uno slogan né un piatto da servire al commensale europeo quando serve dalla parte degli Stati Uniti ed è per questo che le scelte non sembrano di poco conto e che il futuro della crisi russo-ucraina presenterà all’Europa intera un conto importante. Valutare una razionalizzazione delle politiche di difesa e sicurezza europee, ridefinendo e riorganizzando il trattato atlantico attraverso un partenariato inclusivo ma paritario non è una metafora ma una necessità. La stessa idea di una cooperazione strutturata a quattro nata all’interno della Eu-Global Strategy e ridisegnata per gioco con la Eu-Strategic Compass rischia di trasformarsi in un’assurdità strategica.

La cooperazione rafforzata rappresentava un’opportunità per far andare avanti le politiche dell’Unione ponendo la necessità che esistessero dei criteri di convergenza e che tale cooperazione rafforzata fosse approvata con maggioranza qualificata. Ma se si tratta di difesa il discorso è diverso e non c’è Pesco che tenga.1 Così come pensare che solo alcuni ci mettano le forze e gli altri paghino è la negazione della stessa idea di Europa. Barattare la difesa e sicurezza alla stessa stregua di una politica commerciale diventa non solo inutile, ma definisce in termini molto chiari la debolezza concettuale dell’idea stessa di difesa e sicurezza europea che, per il solo fatto di dover garantire la sopravvivenza fisica ed economica di un attore, va condivisa e le responsabilità assunte proporzionalmente alle proprie capacità.

Ma non basta. Nell’azzardo dell’azzardo ci sarebbe anche da risolvere e con chiarezza un altro problema che si porrà quale risultato di un affrettato vertice atlantico di Madrid (28-29 giugno 2022). Un vertice nel quale, oltre a celebrare l’ipocrisia democratica nel cedere alle ambiguità della Turchia e alla sua capacità di ricattare la Nato sulla pelle dei curdi in barba a ogni declaratoria in materia di diritti umani, oltre a indicare Russia e Cina come avversari, prescindendo da ogni ragionevole prudenza, si è rivista anche l’operatività dell’art. 5 nel riconoscere come caso utile per ricorrere all’intervento diretto anche l’attacco informatico a un paese Pesco: «Permanent Structured Cooperation»; Cooperazione strutturata permanente. Formula coniata all’interno della Psdc (Politica di sicurezza e di difesa comune) rivolta a favorire un’integrazione strutturale delle forze armate di 25 dei 27 Stati membri. Il fondamento giuridico è dato dall’articolo 42.6 Tue (Trattato sull’Unione Europea) e dal protocollo 10 del medesimo trattato. Una condizione che pone molte riserve e che apre le porte a rischi di escalation senza definire un quadro preciso di aggressione se non in termini di condotte non necessariamente di impiego fisico e diretto della forza, ma riconoscendo come utile anche solo la forza ritenuta tale nell’ambito di attacchi alle architetture digitali di governance di un alleato aprendo le porte a un’ipotesi di conflitto. Magari, attribuendo una bandiera di comodo a ogni attacco informatico che venga condotto da organizzazioni  ecentrate di cui si dovrebbe avere la certezza di individuarne non solo la provenienza, ma la bandiera dietro o per conto della quale esse agiscono.

Riportare sotto l’ombrello dell’art. 5 anche gli attacchi da remoto come sufficienti a determinare le condizioni di reazione della Nato, senza una certezza della provenienza e senza la pregiudiziale di una proporzionalità di risposta, rischia di mettere in campo un’escalation militare che molto facilmente potrebbe sfuggire di mano e difficilmente permettere di porvi rimedio una volta avviati i piani militari. Ma anche questo, come il resto, sembra scivolare addosso a chi non sembra valutare i rischi di un futuro incerto per un Occidente troppo miope per vedere il limite del precipizio che rischia di raggiungere da solo.

In uno studio pubblicato dal Cemiss nel 2004 non si nasconde come e in che misura, a conti fatti e a condizioni geopolitiche date, la possibilità che la Russia potesse essere organicamente partner della Nato non era da scartare come ipotesi di lavoro facendo sì che il Nato-Russia Council dimostrasse una valenza operativamente concreta e ogni stato-partner della Nato orientasse la propria politica estera nel favorire tale dialogo allargato.2 Ma nella rinuncia a un ruolo cooperativo e di compositore di crisi e non di provocatore, nel declino dell’Impero, la Nato rischia di perdere di aderenza con la sua storia e di significato mentre potrebbe, ridisegnando le proprie alleanze su princìpi condivisi e in termini paritari, sperare di avere ancora una sua ragione a condizione che si ricollochi la Russia in uno spazio di cooperazione e di condivisione oltre che di codecisione strategica relativamente alla sicurezza continentale.

La nuova Nato, insomma, non potrà che essere paritaria, non espressione di leadership assunte a priori. Le ricette sono molte, ma soprattutto è la comune volontà di negoziare che, in qualche misura, dovrebbe coinvolgere tutti. Credere che la Nato possa essere una sorta di contro-garanzia porterebbe a una rappresentazione dei vecchi trattati di contro-assicurazione che a furia di contro-assicurare l’uno verso l’altro e l’altro verso l’uno finirono per trascinare l’Europa intera nel baratro della Grande Guerra.

Gli argomenti trattati nelle pagine che seguiranno segnano più di venti anni di analisi e riflessioni sulla necessità che un modello difensivo come quello offerto dalla Nato possa, ancora oggi, rappresentare un valore aggiunto nel garantire condizioni di stabilità e di dialogo oltre che di sicurezza nel continente europeo considerando, in particolar modo, la “valenza” politica assunta dal 1992 in poi dall’Alleanza atlantica.
Anni, nei quali chi scrive ha cercato di comprendere se i mutamenti che hanno ridisegnato alcune regioni e Stati europei richiedessero ancora un modello di difesa sbilanciato sull’alleato più forte, dominus dell’Organizzazione, ovvero gli Stati Uniti.
O se, al contrario, fosse possibile una rivisitazione del valore della sicurezza e della difesa visto concretamente, e non solo auspicabilmente, quale risultato di un vero e non solo dichiarato comprehensive approach che non marginalizzasse nessuno degli attori europei, da quelli storicamente parte dell’esperienza euroatlantica ai nuovi Stati costituiti o quelle ex repubbliche sovietiche cui si è riconosciuta la piena indipendenza come nel 1919-1920 fu per gli Stati baltici se non con la partecipazione della stessa Federazione Russa in qualche modo non esclusa nel 1997.

Per questo motivo il volume, riconoscendo l’attualità degli interrogativi che sottendono sia la politica atlantica che quella eurounionista, riprende anche riflessioni che furono parte di saggi e altri contributi presenti in Eurosicurezza. La sfida continentale. Dal disordine mondiale ad un ordine europeo (2001) come in La Russia Postimperiale. La tentazione di potenza, scritto con Alessandro Vitale, (2009) e altri esercizi di analisi apparsi tra riviste e webzine, ivi compresi gli ultimi eventi relativi alla crisi russo-ucraina, la cui resa dei conti sul campo di un’Europa sorniona ha
aperto le nuove drammatiche danze dal febbraio 2022.

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