Perquisizioni a Bologna, Camorra sanità

camorra sanità

di Antonio Amorosi – Se non sei proprio fesso, quando come prassi in qualche grande ospedale pubblico di Bologna ti fanno trovare sul comodino, con tanto di scontrino della sanitaria di zona, le panciere per le partorienti o le calze contenitive per i moribondi, capisci che qualcosa nell’aria non torna. E non torna da un pezzo. Ma questo lo sente chi ha gli occhi per vedere che poi si interroga sul perché l’Emilia Romagna a Nord sia da sempre, come scrivono le relazioni della Dna Antimafia, dopo la Lombardia la regione con più alto rischio di riciclaggio. La zona grigia che tiene in piedi prassi poco chiare, investimenti improvvisi, ardite operazioni finanziarie e voci incontrollate sono un pezzo dello stesso mosaico.

Ma c’è chi coltiva la retorica dei buoni sentimenti, chi si impegna a mandare al Sud i trattorini per arare le terre sottratte alle mafie (perché la mafia è un problema del Sud), chi approfitta dei ciechi e chi a distanza di anni resta pure sorpreso. C’è però anche chi, come i magistrati della Dda di Napoli, segue nell’assoluta riservatezza, i percorsi del denaro per vedere dove portino.

Dopo la segnalazione di un imprenditore casertano, una di queste tracce ha condotto dalla provincia campana, alcuni giorni fa, alla perquisizione di alcune società un tempo riconducibili all’ex gruppo Rizzoli ortopedica di Budrio in provincia di Bologna, un gioiellino della sanità locale, dichiarato fallito dal Tribunale di Bologna nel 2013. Il tracollo dovuto, secondo la proprietà, anche ai crediti non pagati dalle aziende sanitarie di altre regioni.

A quel tempo, visti i quasi duecento lavoratori a rischio, si sperava in un compratore, per continuare a tenere aperta le attività d’eccellenza che spedivano protesi e apparecchi ortopedici in tutto il mondo. Un’indagine riservata e un blitz di chiaro interesse pubblico, eseguito dai Carabinieri del comando provinciale di Napoli, guidati dal comandante Canio Giuseppe La Gala e dalla Guardia di Finanza di Aversa.

L’operazione sarebbe partita dal fallimento di un gruppo sanitario casertano molto grande, riattivato, secondo gli inquirenti con capitali di dubbia provenienza. Secondo gli inquirenti in un meccanismo di attività illecite, società schermo e attraverso prestanome, si sarebbe arrivati alle società di Bologna, ad aziende specializzate nel settore sanitario e precisamente nella produzione di presidi ortopedici.

Le perquisizioni sono state eseguite sia a Bologna che a Udine e un imprenditore è stato colpito da un’informazione di garanzia firmata dalla Dda del capoluogo campano. L’indagine è stata condotta dal pm anticamorra Graziella Arlomede, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Rosa Volpe. Le accuse, molto pesanti, sono di associazione camorristica e intestazione fittizia di beni.

Secondo il quotidiano Il Mattino, l’accelerazione a questi processi di analisi della “zona grigia” è stata facilitata dalle rivelazioni del collaborazione di giustizia Nicola Schiavone, detto “o Barbone”, figlio di Francesco Schiavone detto Sandokan, capo del clan dei Casalesi. Sembra che proprio grazie a lui, arrestato nel 2010, gli inquirenti siano riusciti a comprendere meglio alcuni filoni interessanti per il clan, come nel caso degli appalti della RFI, Rete delle ferrovie italiane, e appunto nel settore ortopedico e sanitario che con la pandemia garantiscono profitti più consistenti che in passato.

Ovvio è ricordare che fino a una sentenza definitiva le persone coinvolte nella perquisizione vanno considerate innocenti, estranee ai fatti e in grado di dimostrare la loro estraneità. Né i fatti raccontati all’inizio, dei presidi trovati negli ospedali pubblici, sono in qualche modo riconducibili a costoro.  www.affaritaliani.it

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