Le contorte radici del conflitto arabo-israeliano

conflitto arabo-palestinese

di Vittorio Zedda –  La questione della nascita di uno stato ebraico nelle terre dell’antica Giudea, ribattezzata dai romani Palestina, che però comprendeva in epoca romana un territorio assai più vasto dell’attuale, ha radici storiche di molto precedenti all’infamia dell’Olocausto e alle sue conseguenze politiche. Anzi, dovremmo dire, parlando di “radici”, che esse risalgono addirittura alla distruzione del tempio di Gerusalemme ad opera dell’imperatore Tito nel 70 d.C. Ogni esodo forzato comporta per gli esiliati l’aspirazione ad un futuro vagheggiato ritorno, e ciò ha avuto riscontro anche nella dispersione del popolo ebraico avvenuta sotto il dominio babilonese e sotto l’impero romano.

La storia della diaspora ebraica, per la sua ampia disseminazione, interferisce e si fonde con la storia di molti popoli e paesi di Europa, Asia e Africa. E molti fra noi possono trovare nella storia della propria famiglia o dei propri luoghi d’origine qualche connessione con la “diaspora ebraica” pur non avendo antenati noti e accertati di origine giudea.

La storia e la questione ebraica

La storia e la questione ebraica entrarono a far parte delle mie curiosità, quando, poco più che ventenne, scoprii che certi paesi della Sardegna in cui radicavano le origini della famiglia Zedda, con “voce popolare” venivano chiamati “paesi di ebrei”. Seppi così che già i romani avevano deportato ebrei in Sardegna, quasi due millenni fa. Sopravvivono nell’idioma sardo alcune parole legate ad un’antica presenza ebraica nell’isola. Un esempio: “venerdì” in sardo si dice “cenapura- chenabura- cenapurena” , con varianti locali ma tutte riferite all’usanza della cena (pura, in senso religioso) del venerdì sera, in preparazione del sabato ebraico.

Un ramo della mia famiglia, e discendenti con altro nome, risiede in terra iberica e così nei miei viaggi dai parenti in Spagna appresi qualcosa sui “sefarditi” e sulla cacciata degli ebrei dalla Spagna, al tempo di Isabella di Castiglia (1492). Girando anche l’Italia da nord a sud ho incontrato tracce e testimonianze della presenza storica e della cultura ebraica in varie regioni. Lo ricordo qui per rimarcare quanto il rapporto con l’ebraismo riguardi noi quanto altri popoli e paesi, ma non approfondisco la questione perché mi porterebbe lontano da due nodi tematici, focalizzati sulla nascita di Israele e sui rapporti degli ebrei col mondo arabo musulmano, sui quali vorrei invece soffermarmi.

A questo proposito nel corso di tre miei soggiorni in Marocco, ho colà appreso della locale presenza storica, antecedente al 1950, di due delle maggiori comunità ebraiche esistenti nel mondo islamico: una di origini berbere (con specifico rito) e l’altra “sefardita” di origine e rito iberico. Una convivenza accettabile, quella fra ebrei e musulmani nel Magreb, seppure segnata da qualche limitazione, peraltro meno rilevante rispetto a quelle imposte ai non musulmani in altri paesi arabi, sulla base del “patto di Omar”.

L’esodo degli ebrei

Particolarmente difficile e tormentata la storia della comunità ebraica di Mashad, nel nord-est dell’Iran sciita, su cui già scrissi un articolo, che riproporrò. Nell’arco di 2000 anni, le storie di ebrei perseguitati e cacciati in varie parti d’Europa, d’Africa e Asia sono molteplici e reiteratamente nei secoli una parte di coloro che vennero cacciati scelsero di inseguire il sogno del ritorno nella terra dei padri. E proprio dal Marocco, dopo la costituzione dello stato di Israele, l'”esodo di ritorno” degli ebrei, dal 1950 in poi, fu particolarmente impressionante, visto che all’epoca gli ebrei marocchini erano circa 250.000, raggruppati nelle varie “mellah”, ed oggi pare ne siano rimasti circa 5.000.

Sembra che la cacciata o l’esodo degli ebrei, da qualsiasi terra, non abbia mai portato in quei paesi nulla di buono, poiché gli ebrei hanno generalmente costituito ovunque una componente sociale di rilievo. L’esodo degli ebrei ha spesso nuociuto alle comunità e all’economia delle terre che avevano dovuto lasciare. E’ quasi un luogo comune (udito anche in Marocco) la qualità attribuita agli ebrei come persone “intelligenti”, che può voler dire tante cose, ma che è comunque un apprezzamento.

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