Sferico: ‘Gossip culturali’, rubrica “Liberi tutti”

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Circolo” 60cm. dipinto a olio su tela (photo by Atelier H7, Zürich)

Tutte le previsioni tracciate nelle opere con insistenza fin dall’adolescenza, su dipinti, sculture, scritti o canzoni, si erano avverate con una precisione micidiale.
Nemmeno tu ci avevi badato troppo, non fidandoti di te stesso e sperando ti sbagliassi sulla tempistica, invece proprio quella si era accumulata in un’impennata dovuta all’indifferenza causata dalla noncuranza di affari interiori, andati ormai in disuso. Il subconscio sapeva e spingeva sempre in una direzione precisa. Qualsiasi progetto iniziassi, possedeva un impianto costruttivo, direzionato verso un punto di fuga unico e coincidente all’intersezione assiale di una verticale con un orizzontale che, altro non era, che il cuore della croce.

Riunificazione nell’ascensione cristica all’orizzonte della terra. Realizzazione della profezia salvifica, intuita dopo la cacciata dal Eden, in una promessa strappata all’Assoluto.
I due assi erano il sigillo che avevano ridisegnato il mondo, in un riscatto pagato con il sangue sacrificale dell’Agnello. Diluvio d’amore inviato nel fuoco sublime del Santo Spirito. L’arte aveva perduto la Parola per un approccio cervellotico che si nutriva di concetti astratti espressi da colori disagiati e forme subliminali del brutto.

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Creazione” 58cm. scultura eseguita a mano in materiali minerali, patina brillantinata opaca (photo by Atelier H7, Zürich)

Sfregi kitsch offendevano l’intelligenza di ogni uomo. L’ambiguità era il metodo di lavoro in alleanze con un immaginario piatto.
Scherzi barocchi e insinuazioni anestetiche, giocati su un calcolo di rispondenza psicologica di massa, indotta dalla metodica somministrazione di cliché agnostici, era la messa in scena del vuoto, servito su prestigiosi palchi accessoriati di optionals a sette stelle.
Per questo si preferiva disquisire sulla brutalità di oggetti qualunque, assaporandone la delicatezza decadente in uno strascico di dolciastro liquore.

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Sferico dans l’église de Saint-Eustache, Paris (photo by S. Hilberer)

Salotti di velluto, imbottiti in comode sedute, erano arredati da una pasticceria francese superiore, garantendo il persistere del folk*, senza che nessuno lamentasse la verità. Sfregi di spray indelebili su monumenti denunciavano sentenze collettive di critica accessoriata di apparente filantropia e totalitarismo trash. Riempimento gossip di rotocalchi intellettuali, girato di spalle al pubblico.

Innalzato su piedistalli museali, il banale, fascinava con l’illusione si trattasse di proteste sociali autentiche. Operazioni culturali miravano ad esclusive manovre di sponsoring.
Così la cultura si era seduta nel gloriarsi di fatiche passate in copia-incolla e una vita di rendita.
L’inerzia creativa avrebbe spinto su precipizi suicidi in un tracollo esistenziale e un “nonsense” generale.

Avevi cercato in tutti i modi di allontanare il selvaggio che eri, cercando di assumere una compostezza ristretta, non avresti comunque potuto resistere molto a lungo, infatti di lì a poco era giunto il momento di dire a cosa il mondo era avviato.
Ancora un po’ e la realtà si sarebbe scissa, separando ogni cosa in luce od ombra.
Un’intensificazione produttiva, in una fornitura derivata da un esubero energetico, ti teneva desto e operativo per diciassette ore giornaliere, alla fine perdevi il controllo, dando in affidamento alla presenza geniale del Nazareno che non si era stancato di aspettare i tuoi ritardi.

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