Che cosa c’è dietro le dimissioni dei cardinali Sarah e Comastri

cardinali Sarah e Comastri

di Andrea Cionci – Sabato scorso, Francesco ha accettato le dimissioni dei cardinali Robert Sarah, (75 anni), ormai ex-prefetto della Congregazione per il Culto divino e Angelo Comastri (77) ex-vicario per la Città del Vaticano e arciprete di San Pietro.

Due baluardi dell’ortodossia cattolica – almeno così sono stati ritenuti –  escono di scena per limiti di età, anche se Sua Eminenza Beniamino Stella, creato cardinale da Bergoglio, a 80 anni è ancora prefetto della Congregazione per il Clero (non di rado la carriera dei cardinali prosegue oltre i 75).

Il tweet del porporato guineano lascia, tuttavia, perplessi: “… Sono nelle mani di Dio. L’unica roccia è Cristo. Ci rivedremo molto presto a Roma e altrove”.

Perché questa angoscia e il vago tono  del genere “ci rivedremo a Filippi”? Dubbio lecito, dato che il rapporto di Sarah con Bergoglio è stato conflittuale fin dal 2013, quando dovette modificare le rubriche del messale per consentire a Francesco la lavanda dei piedi a un’islamica. L’ultima, fra le correzioni pubbliche subite dal card. Sarah è stata sul libro “Dal profondo del nostro cuore”, firmato a quattro mani con Benedetto XVI, a difesa del celibato sacerdotale: una vicenda piena di smentite e retromarce, culminata col siluramento di Mons. Gänswein, che era segretario al tempo stesso di Benedetto XVI e di Francesco.

I successori dei cardinali

Se il successore del card. Sarah non è stato ancora indicato, il suo vice, l’arcivescovo Arthur Roche, in un recente documento appena rilanciato da siti conservatori, si mostra piuttosto critico con la liturgia antica ed entusiasta di quella postconciliare.

Sulla messa in latino (“vetus ordo”- forma originale) sarà GUERRA TOTALE fra chiesa tradizionalista  e modernista, ormai del tutto agli antipodi. Fu, infatti, il motu proprio Summorum pontificum del 2007, con cui papa Benedetto XVI liberalizzò la celebrazione della messa in latino, a scatenargli definitivamente contro i modernisti, tanto – secondo molti – da costringerlo alle dimissioni. All’antica liturgia, oggi, ricorrono sempre più fedeli (anche giovani) stanchi delle trovate moderniste, dei minimalismi luteraneggianti e dei cambiamenti politicamente corretti nel messale operati da Francesco.

Tra coloro che vi partecipano, molti dubitano perfino della liceità di una messa normale celebrata “una cum papa Francisco” (in comunione con lui), sebbene anche quella vetus ordo contempli questa formula. Ne abbiamo scritto qui.

Anche detta “tridentina”, dal Concilio di Trento (1545-’63) in cui fu definita, questa messa è molto diversa da quella di Paolo VI normalmente celebrata. Permeata da un’intensa atmosfera sacra e  “sacrificale”, è lontana da quell’impostazione di “cena” che strizza l’occhio al mondo protestante voluta da una chiesa postconciliare largamente infiltrata dal modernismo. (Sulla riscoperta della messa antica è stato da poco pubblicato un agile volumetto di Massimo Cicero “Tutto ma … il Latino no. La Verità e la bellezza del Rito romano” di cui riportiamo in fondo una nota).

I cardinali modernisti – Comunque, tornando a bomba, secondo La Nuova Bussola quotidiana, un “papabile” per la successione del card. Sarah potrebbe essere Mons. Vittorio Viola, un francescano molto lontano dalle sue ispirazioni tradizionaliste.

Anzi, Viola è legato a Mons. Luca Brandolini, vescovo modernista, per il quale il motu proprio con cui Benedetto XVI “ripristinò”, nel 2007,  la messa in latino fu il “giorno più triste della sua vita”. Francescano è anche il 55enne neo-cardinale Mauro Gambetti,  già custode del Convento di Assisi che ha sostituito il card. Comastri il quale, nel 2018, aveva pur accettato (non si sa quanto volentieri) che si celebrasse nella “sua” basilica di San Pietro l’intronizzazione della Pachamama, la Madre Terra andina, divinità pagana e, per alcuni, schiettamente satanica.

In sostanza, la vecchia guardia della Chiesa cattolica, dopo aver ingoiato parecchi “rospi”, è fuori gioco; contemporaneamente, si assiste a un’accelerazione progressista-modernista della Chiesa, oltre che a una personalizzazione e “francescanizzazione della Curia, se pensiamo anche alla berretta cardinalizia conferita a padre Raniero Cantalamessa, frate e predicatore della Casa pontificia, per il quale, addirittura,  “papa Francesco E’ GESU’”  come egli ha dichiarato in un’intervista a TV 2000. Al minuto 28.50. 

L’Ordine dei Frati minori si mostra docile e viene premiato: non ha reclamato quando un francescano si è prostrato adorando la Pachamama nei Giardini vaticani, (le fotografie tolgono ogni dubbio), né quando Bergoglio ha presentato San Francesco, nell’enciclica “Fratelli tutti”, come un campione del dialogo interreligioso e della sottomissione all’Islam, addirittura tagliando dalle “Fonti francescane” la frase del Santo “I SARACENI DEVONO BATTEZZARSI, FARSI CRISTIANI”. Una vera mistificazione – a detta di molti commentatori –  dato che il Poverello di Assisi era andato a convertire il sultano e a cercare il martirio, non certo a “dialogare”.

La strumentalizzazione di San Francesco sarebbe, del resto, perfettamente funzionale alla mutazione del Cattolicesimo in una nuova religione ecologista, sincretista e massonica, obiettivo che da vari osservatori è dato, ormai, per acquisito.

A coronamento del quadro, non mancano alcuni contatti – se non altro storici e tutti da indagare – tra mondo francescano e massoneria forse proprio in relazione al mondo naturale. Scriveva, nel 1744, il massone conte di Marsciano: “La rugiada è la materia nostra celeste,  è insieme celeste spermatica, rugiadosa, elettrica, verginale” (si tratta infatti di un elementale alchemico-esoterico fondamentale per la Massoneria).Il conte possedeva la Scarzuola, antico convento di S. Francesco poi trasformato in città ideale massonica nel 1957 dall’architetto massone Tomaso Buzzi. E la “rugiada” è stata appena inserita nella II preghiera eucaristica del messale.

La giustificazione è stata quella di ripristinare un uso del III secolo, quando però non esisteva ancora una teologia dello Spirito Santo e i primi cristiani avevano individuato con questa metafora naturalistica la terza persona della Trinità. Quindi, perché ora tornare a un simbolo antico dato che lo Spirito Santo venne sancito già nel IV secolo?

Insomma, dopo le dimissioni dei due cardinali Sarah e Comastri il mondo cattolico ortodosso è ancora più confuso, tranne quella parte (il cosiddetto “Piccolo resto”) che ritiene Benedetto l’unico vero papa – spodestato da un usurpatore – e che quindi non si stupisce più di nulla, se non dell’inerzia di vescovi e cardinali.

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Di Massimo Cicero: “Tutto ma … il Latino no” La Verità e la bellezza del Rito romano”

Un freddo pomeriggio di una domenica di un anno fa. La Messa in una parrocchia romana. Il sacerdote, invece di parlare di cose del Cielo, dedica la predica a denigrare la Messa in Rito Antico e l’incomprensibile latino. Perché questo viene in mente a chi sente parlare, senza conoscerla, della Messa in Rito Antico o Vetus Ordo o Rito Romano. Ma il latino non è né l’unica né la principale differenza tra la Messa Cattolica, celebrata per secoli da Santa Madre Chiesa, e quella di oggi inventata 50 anni fa nel post Concilio Vaticano II. C’è molto di altro e di più profondo. E allora mi sono convinto che bisognava far qualcosa e ho fatto mie le parole di Papa Pio VII rivolte al generale napoleonico Radet quando il 5 luglio 1809, sotto la minaccia di essere arrestato, come successe poi per non aver voluto cedere alla Francia i territori dello stato pontificio, disse: NON DEBENUS, NON POSSUM, NON VOLUMUS. E anche noi non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo cedere agli attacchi del modernismo ecclesiale, verso la Verità e verso il Cristo, non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo cedere alla sciatteria liturgica che ormai è così tristemente diffusa nelle nostre Chiese, alla deformazione della fede che ha raggiunto il culmine in questi ultimi anni ma che ha radici profonde negli anni del Concilio Vaticano II e del post Concilio. D’altronde come scrisse il futuro Papa Benedetto XVI nel 1997: “Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia”. E il mio piccolo contributo è la scrittura di questo piccolo libro con un titolo volutamente ironico ”Tutto ma..il Latino no!” che ricorda le reazioni delle persone a cui “confesso” che da oltre due anni frequento la Santa Messa in Rito Antico. Il libro non ha nessun intento teologico: vuol essere semplicemente un atto d’amore verso la Messa di sempre, di San Francesco, di Padre Pio, dei Santi del cielo, un atto d’amore per far riscoprire il profondo significato della Messa Cattolica, tanto snaturato oggi, la profondità del suo Rito, la sua storia, il ruolo del Concilio di Trento e di San Pio V in tutto ciò; e poi le vicende che l’hanno travolta nel Concilio Vaticano II e nel post Concilio tanto da essere rinchiusa, da sedicenti cattolici, nelle segrete del castello postconciliare quando, poco più di 50 anni fa, qualcuno in maniera improvvida decise che quella celebrazione ricca di millenni di storia e di Celeste tradizione non era più in linea con il mondo moderno  e andava  sostituta con una Messa ex novo studiata a tavolino con la partecipazione di sei consulenti teologi protestanti. E poi finalmente la sua riabilitazione nel 2007 grazie al Motu Proprio Summorum Pontificum di Papa Benedetto XVI che ha di fatto salvato il Cattolicesimo Romano dalla devastazione modernista. Questo libro è, infine, un contributo per far conoscere la Verità della Liturgia della Messa Cattolica, l’universalità del latino, la profondità del canto gregoriano, la bellezza del silenzio fino a arrivare con degli schemi semplici e intuitivi alle differenze profonde e concettuali con la nuova Messa di oggi tutte spiegate con un linguaggio semplice e diretto.

E in questo periodo di intronizzazioni di Pachamama in Vaticano, di blasfemi documenti di fratellanza universale, di esaltazione di Lutero, di rifiuto della Croce di Cristo per inseguire la gaiezza frivola del mondo, di smarrimento di tante anime per colpa di pastori che rincorrono il mondo come ci si salva, in attesa della vittoria finale di Cristo in cui crediamo ? Illuminanti le parole che quel genio di Giovannino Guareschi fa pronunciare al Cristo crocifisso quando Don Camillo alle prese con il nuovo prete modernista Don Chichì arrivato in paese a “praticare il Concilio Vaticano II”, chiede: «Signore cosa possiamo fare noi?»

Il Cristo sorrise e rispose con una frase meravigliosa:

«Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campo: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza”.

E il seme si salva ancorati alla millenaria tradizione di Santa Madre Chiesa perché la Tradizione, come scrisse il compositore austriaco Gustav Mahler, non è l’adorazione della cenere, ma è la custodia del fuoco

Massimo Cicero

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