Di Pietro condannato per diffamazione non vuole risarcire Cuffaro

Taccagno Di Pietro, che non vuole dare 6000 euro a Totò Cuffaro…
Prendete i popcorn, cari lettori, e leggete questa storia che sembra provenire dall’aldilà della politica. Quando i giustizialisti randellavano la politica e sbattevano i malcapitati in galera. Era quando i Torquemada tuonavano contro l’immunità parlamentare, “rifugio della criminalità politica”. Accadeva quando il popolo esaltava i magistrati in politica.
Ebbene, cambia tutto. Agli atti della giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei Deputati c’è un’implorazione firmata Tonino Di Pietro. Ragazzi, ero deputato pure io e ora mi hanno condannato ad elargire un risarcimento di seimila euro a Cuffaro. Impeditelo, voi che ne avete il potere, dice l’ex piemme al Parlamento. Ora, tra i due, il condannato per fatti di mafia e il magistrato senza macchia e senza paura, è il secondo a pregare per l’immunità. Non vuole cacciare un euro.

Totò non aveva screditato Falcone – – La gustosa storia che vede Cuffaro dalla parte della giustizia e Di Pietro in quella del condannato riguarda una diffamazione piuttosto pesante. Che si trascina sostanzialmente (anche se non formalmente) dalla bellezza di 28 anni, per la gioia del ministro Bonafede. Nel 1991 Cuffaro partecipò alla trasmissione Samarcanda di Michele Santoro.
Tanti anni dopo, nel 2009, Di Pietro scrisse un articolo sul proprio sito “Vi difendiamo tutti da Cuffaro“. Questi era accusato di aver screditato la memoria del giudice Giovanni Falcone, presente alla trasmissione che era stata straordinariamente gestita in comune da Rai e Mediaset.
L’ex pm milanese ripubblicò da YouTube tre video caricati da ignoti nel 2007 per sostenere che Cuffaro l’aveva fatta grossa. Ci furono un mare di commenti e l’ex presidente della Sicilia citò in tribunale civile Di Pietro. Che venne condannato, nel 2013 (!), a risarcire la somma di seimila euro per quel “vi difendiamo tutti”.

Ora che la causa è arrivata in Corte d’appello, Tonino torna alla carica e non ne vuole proprio sapere di dare soldi a Cuffaro. E ha quindi chiesto al giudice civile l’immunità parlamentare, in quanto deputato all’epoca dei fatti. E adesso sarà la Camera a dover decidere il da farsi, previa istruttoria della giunta per le autorizzazioni a procedere.
I precedenti sono contro Tonino

La vicenda è davvero significativa. Anche perché con l’immunità parlamentare c’entra come i cavoli a merenda. La giurisprudenza costituzionale ha escluso da tempo che sia sufficiente essere “onorevole” per non pagare mai se c’è una condanna. Perché l’eventuale immunità deve essere “appoggiata” ad un atto parlamentare che preceda il fatto in sé, e non era questo il caso.
Se i precedenti valgono, Di Pietro potrebbe essere obbligato a versare sull’unghia i quattrini rivendicati da Cuffaro. E magari con l’aggiunta del costo dei lavori parlamentari che in fondo sono a carico della collettività.
Una condanna, anche per un reato grave, non è ragione sufficiente per svillaneggiare una persona, esporla al pubblico ludibrio. E’ una lezione, se sarà confermata, per chi pensa di poter insultare il prossimo dalla mattina alla sera o aizzare il popolo contro l’avversario.
Con quei quattrini, l’ex governatore siciliano non si arricchirà di certo e chissà se non gli venga l’idea di festeggiare un verdetto finalmente favorevole a lui a base di buoni cannoli palermitani. Crepi l’avarizia.

Francesco Storace

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