Islam, “il miglior mercato per i prodotti ‘halal’ è l’Europa”

BARI – “Accessibile per prezzi e procedura”, non è obbligatoria in tutti i Paesi a maggioranza musulmana, ma averla “apre a un mercato grandissimo” che ha clienti anche in Europa: è la certificazione ‘halal’, che in arabo vuol dire lecito, con cui si stabilisce se i prodotti, ad esempio il cibo ma anche cosmetici e farmaci, sono realizzati secondo gli standard prescritti dall’Islam. Se n’è parlato a Bari in occasione della Borsa internazionale delle imprese italo-arabe, con la presidente dell’ente certificatore ‘Whad-World halal development’, Annamaria Aisha Tiozzo.

“Avere la certificazione halal – ha spiegato – aiuta ad allargare moltissimo il proprio mercato, ma non dobbiamo dimenticare che se è vero che la consumatrice saudita è quella che nel mondo ha la maggiore spesa pro capite per cosmetica, che può arrivare a 40mila euro l’anno con una media di 30mila per l’uomo, è anche vero che il miglior mercato per i prodotti certificati ‘halal’ rimane sempre l’Europa”. Un’azienda che voglia esportare un cosmetico, al momento, non ha un obbligo di certificarlo ‘halal’ se non in pochissimi Paesi. “Però – sottolinea Tiozzo – ha una grande opportunità perché le statistiche ci dicono che il cosmetico certificato ‘halal’ cresce a una velocità del +15% costante da dieci anni, e che il 30% di chi compra il cosmetico halal non è musulmano”.

Inoltre, precisa, “mettere il certificato ‘halal’ sul prodotto permette di incrementare il prezzo, perché il consumatore è disposto a sopportare un lieve aumento se ciò che compra è certificato”. A rilasciare il certificato ‘halal’, comunque, dev’essere un ente che rispetta gli standard dei Paesi di esportazione per i quali, in alcuni casi, deve richiedere un apposito accreditamento.

Nata dalle prescrizioni alimentari islamiche, la certificazione ‘halal’ non riguarda solo il cibo, ma anche tutto ciò che entra nel corpo, ad esempio per contatto con i pori della pelle, come nel caso di un cosmetico; sia per iniezione come può accadere con i farmaci. L’unico caso in cui la certificazione riguarda anche ciò che si indossa, è quello della pelle delle scarpe o dei vestiti che non dev’essere di maiale, animale considerato sia ‘haram’, cioè proibito, sia ‘nagis’, cioè impuro. Gli standard da rispettare per la certificazione non riguardano solo il prodotto in sè ma anche la logistica, cioè tutta la filiera di produzione. Si deve certificare che non c’è contaminazione o errore umano nel maneggiare le merci.

“Si hanno infatti due certificazioni – conclude Tiozzo – quella di processo, e quindi anche del sito di produzione; e quella che riguarda il prodotto e che stabilisce che tutti gli ingredienti siano ‘halal'”.

ANSAMED

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