Scuola, islam in classe: i consigli del ministro Giannini

La sindrome dello scontro culturale Islam-Occidente si vince soprattutto a scuola. Il ministro Giannini ha invitato i docenti ad affrontare i temi d’attualità: ma cosa fare quando in classe c’è un alunno musulmano? Tuttoscuola pubblica i consigli agli insegnanti per una didattica multiculturale.

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La sindrome dello scontro Islam-Occidente si vince a scuola

La sindrome dello scontro culturale Islam-Occidente si vince soprattutto a scuola. Troveranno gli insegnanti italiani le parole giuste per spiegare ai loro alunni marocchini, siriani, pakistani, che la risposta dell’Europa agli attentati terroristici non è la guerra dell’Occidente contro la cultura dei propri genitori che ogni venerdì vanno a pregare in Moschea?

Mentre i mass media parlano di ‘scontro di civiltà’ e di guerra contro l’estremismo islamico, gli insegnanti sono stati invitati dal ministro dell’istruzione Stefania Giannini a dedicare un minuto di silenzio alle vittime della strage parigina e almeno un’ora alla riflessione sui fatti accaduti: come evitare che allievi di cultura islamica siano isolati e guardati con sospetto dai loro compagni italiani? Che la sindrome dello scontro culturale Islam-Occidente si sviluppi proprio in aula?

Si tratta di un problema educativo non da poco, se si calcola che il numero di alunni di fede islamica nelle scuole italiane raggiunge più o meno quello di tutti gli alunni di una Regione di medie dimensioni come la Calabria. E che solo a scuola si possono mettere le basi per una corretta convivenza tra le culture del pianeta.

Sono almeno 300.000 i bambini e i ragazzi provenienti da Paesi di religione musulmana che frequentano la scuola italiana, tra questi, ad esempio, ci sono 1.073 siriani, 403 libici, 339 iracheni.

E sono in crescita tumultuosa. L’11 settembre 2001 gli alunni musulmani nelle nostre classi erano 81 mila: da allora si sono incrementati del 371%, arrivando a 302 mila. Nel 2013 (ultimo dato disponibile) vi erano 33 alunni musulmani ogni 1000 alunni italiani (3,3%).

Parigi 2015. Barbarie o scontro di civiltà?

Ciò che è avvenuto a Parigi venerdì 13 novembre 2015, una vera e propria operazione militare di quelle che non si erano viste nell’Europa occidentale dai tempi della seconda guerra mondiale, va esaminato non solo sotto il profilo della politica internazionale, militare e della sicurezza, ma anche del significato che occorre attribuirle dal punto di vista culturale e della ricaduta che potrebbe avere in contesti come quello dei sistemi educativi europei, sempre più multietnici e multiculturali.

Perché un conto è ritenere che ci si trovi di fronte a un’azione che, per quanto sanguinosa e condotta in modo organizzato, resta su un terreno politico-militare, che si tratti insomma di un episodio di terrorismo, reso ancora più barbaro dal fatto di aver fatto vittime assolutamente incolpevoli.

Altro è, e su questo va fatta un’approfondita riflessione, giungere alla conclusione che la strage di Parigi restituisca attualità e attendibilità alla teoria dello ‘scontro di civiltà’, proposta tra molte polemiche negli anni novanta dello scorso secolo da Samuel Huntington, secondo il quale, a seguito della crescita economica e demografica di altre civiltà, come quella islamica (o quella cinese, indiana ecc.), il modello di civiltà occidentale, fondato su pluralismo, tolleranza e libertà individuale, sarebbe destinato a entrare in conflitto con altri, come quello islamico, ove prevalgono tendenze integraliste, assolutiste e teocratiche.

Bisogna capire se è questo che sta avvenendo, e se davvero il mondo occidentale deve rassegnarsi ad abbandonare il progetto (che ha radici giudaico-cristiane e percorre tutta la cultura euro-americana, da Kant a Dewey) di una universalizzazione dei diritti e dei valori della sua tradizione politica, filosofica e anche pedagogica, centrata sull’incommensurabile importanza, dignità e valore della persona e della sua vita: quella vita, a partire dalla propria, che i kamikaze islamici di Parigi hanno mostrato di non tenere in alcun conto.

Noi ci auguriamo che quanto accaduto a Parigi non induca il mondo occidentale ad arroccarsi e a rinunciare al dialogo con altre culture, che è l’unica strada che può portare a recidere le radici del fanatismo e dell’ideologia della ‘bella morte’.

Come trattare l’argomento a scuola

Che cosa succederà lunedì mattina nelle scuole italiane, dopo un week-end di cronache e immagini, una più drammatica dell’altra, provenienti da Parigi? Se ne parlerà? Chi ne parlerà? Cambierà il rapporto tra gli studenti italiani e quelli stranieri di religione musulmana?

Sarebbe grave e preoccupante che dietro il velo di una studentessa o nell’abbigliamento di uno studente qualcuno scorgesse un potenziale terrorista da guardare con sospetto e standone lontani. La ricaduta scolastica degli eventi parigini va governata dal punto di vista educativo e didattico.

Opportunamente il ministro Stefania Giannini ha subito invitato – tramite Facebook e il sito del Miur – “le scuole, le università, le istituzioni dell’Alta formazione artistica e musicale a dedicare, nella giornata di lunedì, un minuto di silenzio alle vittime della strage parigina e almeno un’ora alla riflessione sui fatti accaduti”.

A nostro avviso dovrà essere un’ora di riflessione e dialogo che muova dal fatto che gran parte dei musulmani che vivono in Europa condivide sostanzialmente i valori e le regole che si sono dati i Paesi nei quali vivono e studiano.

Ma dovrà essere fatta chiarezza, per prenderne le distanze in modo totale, sulla visione del mondo dell’Islam integralista, che si pone in radicale antitesi con i valori, a partire da quello della vita e della libertà individuale, che caratterizzano l’Occidente da diversi punti di vista: economico, politico, culturale e anche pedagogico.

Islam e Occidente, una tematica da approfondire

È proprio sul versante pedagogico, a ben vedere, che si manifesta la massima distanza tra il monismo chiuso e teocratico del fondamentalismo islamico, che indottrina i maschi nelle ‘madrasse’ (scuole coraniche) e nega il diritto all’istruzione delle donne, e il modello educativo aperto e pluralista delle liberal e social-democrazie occidentali.

Dopo il 7 gennaio 2015, il giorno di un’altra strage parigina, quella che ha colpito i vignettisti di ‘Charlie Hebdo’, si è aperto in Francia, con qualche eco (fievole, purtroppo) anche in Italia, un dibattito interessante – ora destinato a riaccendersi alla luce di quanto accaduto il 13 novembre – tra i sostenitori, come lo scrittore e regista Emmanuel Carrère, della compatibilità tra la religione islamica e la concezione occidentale e illuministica della libertà individuale, e coloro che, come l’altro famoso scrittore Michel Houellebecq, autore del best seller ‘Sottomissione’ (traduzione letterale della parola araba Islam), ritengono che questa compatibilità possa darsi al massimo tra l’Islam e “qualcosa che è veramente radicato in Occidente, il Cristianesimo”, insomma tra religioni, ma non con il “razionalismo illuminista” e quindi con il pluralismo culturale della tradizione democratica occidentale.

Ecco una tematica che meriterebbe di essere approfondita anche in Italia, con la convinzione che Houellebecq trovi da noi pochi seguaci, e la speranza che non ne trovi neanche uno.

I consigli per una didattica multiculturale

L’inserimento dei ragazzi stranieri nella scuola rappresenta ormai un dato strutturale per l’Italia. Occorre predisporre una strategia mirata anche sotto l’aspetto didattico. Ecco le proposte di Marco Braghero, PhD Researcher presso University of Jyväskylä in Finlandia e presidente di PeaceWaves International Network (www.peacewaves.org ) impegnata in progetti di educazione interculturale:

– sviluppare programmi di formazione e Azione-Ricerca almeno per i coordinatori di classe sull’approccio dialogico e di cooperazione aperta e preventiva sulle preoccupazioni dei processi di integrazione, con il coinvolgimento, oltreché dei docenti, di studenti e famiglie;

– predisporre i documenti scolastici e il sito nelle lingue presenti nella comunità scolastica, coinvolgendo in questo lavoro gli studenti e le famiglie straniere già integrate e presenti a scuola da almeno due anni;

– formare in ogni scuola almeno un gruppo preparatorio per i bambini e ragazzi che arrivano a lingua 0 e/o poco alfabetizzati. Il gruppo, sull’esempio di altri Paesi soprattutto del nord Europa, dovrebbe essere di massimo 12/15 studenti. All’interno del gruppo i ragazzi svolgono una parte del curricolo per imparare Italiano lingua 2, principi di cittadinanza attiva (regole, diritti, doveri, etc) e life skills. Il processo di integrazione con il resto del gruppo classe è graduale e costante;

– permettere agli studenti di imparare anche la loro lingua madre con gruppi, anche qui flessibili negli orari e nei tempi, di minimo 6 studenti;

– un forum permanente sulle esperienze interculturali presenti in Italia, per realizzare una banca dati sulle esperienze didattiche a disposizione dei docenti;

– formare i docenti esperti di mediazione culturale (almeno due docenti per istituto – e/o lavorare con i coordinatori): almeno 40 ore all’anno proponendo piste didattiche per l’insegnamento interculturale;

– formazione giovani studenti stranieri già inseriti nelle scuole e ragazzi italiani disponibili per diventare team leader ‘misti’ della ‘mediazione e culturale’, con l’obiettivo di occuparsi dell’accoglienza e del processo di integrazione dei nuovi stranieri. Tali profili potrebbero essere d’interesse anche per la comunità territoriali, le municipalità, enti e associazioni;

– contratti di formazione lavoro per gli studenti stranieri per consentire sia frequenza scolastica sia il lavoro. Si eviterebbe l’abbandono degli studi di molti ragazzi stranieri;

– apertura della scuola al territorio: generare relazioni stabili e produttive con le associazioni in rappresentanza delle varie etnie presenti a scuola. In questo caso sarebbe opportuno istituire un incontro permanente con questi rappresentanti (es. un incontro ogni due mesi) coinvolgendoli nella progettazione e nella realizzazione di eventi interculturali;

– incontri periodici con testimoni delle varie comunità;

– affrontare attraverso le varie discipline in modo dialogico i contributi che le diverse culture e religioni hanno apportato nella storia dell’umanità.

Ed ecco altri consigli per promuovere in classe una didattica multiculturale:

– la ridefinizione di nuovo profilo professionale dei docenti che ricombini i nuovi elementi che compongono la società. Un nuovo profilo che va definito individuando un percorso per promuovere l’inclusione di tutti i ragazzi appartenenti a religioni, valori e tradizioni diverse che sia sintesi alta tra ciò che abbiamo di meglio e il nuovo ciclo che si è aperto tra le filiere culturali;

– dedicare un’ora settimanale (o un tempo complessivo equivalente), tra quelle riservate alle materie opzionali, al quarto dei grandi obiettivi formativi indicati dall’UNESCO, quello del “saper vivere insieme”, che integra i tre tradizionali “saperi” – sapere, saper fare, saper essere – aggiornandoli alla luce della crescente complessità multietnica e multiculturale delle odierne società ad elevato sviluppo economico.

Occorre integrare le attività curricolari legate alla transdisciplina “educazione alla convivenza civile” con una azione formativa supplementare, mirata specificamente alla conoscenza, non teorica e libresca, ma concreta ed esperienziale, della cultura, della storia e della fede dell’”altro”. Il saper convivere, l’integrazione passano per una reciproca conoscenza, che deve riguardare dunque in primo luogo i nostri ragazzi.

Concludiamo il nostro speciale con una frase suggestiva e ricca di significato, che potrebbe anche essere proposta come titolo di un tema in classe:

Non può essere straniero

Se il tuo Cristo è ebreo,
se la tua democrazia è greca,
se la tua scrittura è latina,
se i tuoi numeri sono arabi,
se la tua maglietta è cinese,
se le tue vacanza sono slave,
allora
il tuo vicino non può essere straniero.

Scritta sui muri della metropolitana di Monaco di Baviera.

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