Caso Alcoa. La Corte UE ancora contro l’Italia: recuperare gli aiuti di Stato

corte-ue17 ott –  “L’Italia è venuta meno al proprio obbligo di recuperare gli aiuti di Stato concessi all’Alcoa sotto forma di tariffa agevolata per l’elettricità”. A dichiararlo è la Corte di giustizia dell’Ue nella sentenza della causa C-344/12 (Commissione/Italia) riferendosi ai 295 milioni di aiuti (38 sono d’interessi) erogati al gruppo dell’alluminio sottoforma di sconti sulla bolletta elettrica.

(E’ praticamente impossibile non leggere questi commenti con una certa sorpresa. Tanto per fare un esempio, il FT si riportava la notizia del possibile investimento del governo francese in Peugeot-Citroen per 1,5 miliardi di euro per preservare la francesità del gruppo e i 100 mila lavoratori d’Oltralpe con il gruppo cinese Dongfeng Motor che entrerebbe, in accordo col governo di Parigi, per un identico importo. Ricordiamo che all’inizio del 2009 il governo francese concesse a Renault e Peugeot 3 miliardi di euro ciascuna di finanziamenti agevolati come contropartita al mantenimento dei livelli occupazionali su suolo francese durante la crisi.)

L’Alcoa Trasformazioni, società di diritto italiano appartenente al gruppo Alcoa, si legge nella sentenza, ”dal 1996 ha beneficiato di una tariffa agevolata per l’elettricità destinata a due stabilimenti di produzione, uno in Sardegna (Portovesme) e l’altro in Veneto (Fusina), grazie a un contratto con il fornitore di energia elettrica Enel. Tale tariffa, inizialmente fissata per un periodo di dieci anni, era stata autorizzata dalla Commissione, la quale aveva ravvisato l’insussistenza di un aiuto di Stato in quanto, all’epoca, si trattava di un’operazione commerciale ordinaria conclusa alle condizioni di mercato”. La tariffa, si rileva, ”è stata prorogata a due riprese, dapprima fino al giugno 2007, poi fino al 2010, senza essere adattata all’evoluzione del mercato. Nel 2009, la tariffa era sovvenzionata da una tassa imposta ai consumatori di elettricità e non corrispondeva più alle condizioni del mercato”.

L’importo equivaleva, sottolinea la Corte Ue, ”alla differenza tra il prezzo contrattuale pattuito con il fornitore di energia elettrica (Enel) e il prezzo agevolato. Nel 2009 la Commissione ha ritenuto che tali proroghe fossero volte a ridurre i costi operativi dell’Alcoa, procurandole quindi un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti. Dette proroghe costituivano pertanto aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune, che l’Italia doveva recuperare, interessi compresi”

Inoltre, rileva la Corte Ue, ”l’Italia doveva annullare tutti i pagamenti futuri e comunicare l’importo complessivo dell’aiuto da recuperare, le misure già adottate per conformarsi alla decisione nonché i documenti attestanti che era stato imposto al beneficiario di provvedere al rimborso dell’aiuto. Secondo l’Italia, l’importo da recuperare ammontava all’incirca a 295 milioni di euro, di cui 38 mln di interessi. La Commissione, ritenendo che l’Italia non avesse rispettato né l’obbligo d’informazione né l’obbligo di recupero, ha proposto ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia”.

Nella sentenza di oggi la Corte Ue ricorda anzitutto che lo ”Stato membro destinatario di una decisione che gli impone di recuperare aiuti illegali è tenuto ad adottare ogni misura idonea ad assicurarne l’esecuzione e deve giungere a un effettivo recupero delle somme dovute”.

Nella sentenza oggi la Corte Ue ribadisce che lo Stato membro, l’Italia in questo caso, avrebbe dovuto “adottare ogni misura idonea” a recuperare aiuti illegali. Nel caso Alcoa, “poiché la decisione 2010/460 è stata notificata il 20 novembre 2009, il termine scadeva pertanto il 20 marzo 2010. Orbene, a tale data, non era stato recuperato l’intero aiuto. Al contrario, il procedimento di recupero era ancora aperto dopo la proposizione del suddetto ricorso, ossia più di due anni e mezzo dopo la notifica della decisione”.

Secondo costante giurisprudenza, il solo mezzo di difesa che uno Stato membro può opporre ad un ricorso per inadempimento promosso dalla Commissione, sottolinea la Corte Ue, ”è quello dell’impossibilità assoluta di dare correttamente esecuzione alla decisione di cui trattasi. Tanto nei suoi contatti con la Commissione prima della proposizione del suddetto ricorso quanto nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte, l’Italia non ha mai fatto valere un’impossibilità assoluta di esecuzione della decisione. Essa si è limitata a comunicare alla Commissione difficoltà giuridiche o pratiche, nonché la propria intenzione di giungere a una soluzione negoziata con l’Alcoa”.

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