Carcere, ONU: isolamento per più di 15 giorni è tortura

Una detenzione in isolamento che duri più di 15 giorni è da considerarsi una vera e propria tortura. Ad affermarlo è l’ONU, nella fattispecie Juan Mendez, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura.

In occasione  dell’Assemblea Generale Mendez, professore di diritto presso l’American  University di Washington, ha illustrato alla commissione per i diritti  umani i risultati di studi eseguiti soggetti in isolamento.

“I lunghi periodi di detenzione in isolamento possono provocare gravi danni fisici e mentali e pertanto costituire una forma di tortura” ha dichiarato il professore durante la seduta. Gli effetti di questa pratica diffusissima – basti pensare che negli Usa sono circa 25.000 i detenuti in isolamento – già dannosa nel breve periodo, si rivelano devastanti per gli individui che devono subirla a lungo, tanto che pur ammettendola  in piccole dosi per la protezione dei prigionieri, l’ONU la bandirebbe nella forma superiore ai 15 giorni.

“Considerato il grave danno o la sofferenza mentale che può produrre – ha spiegato Mendez – l’isolamento può costituire tortura o trattamento crudele, disumano o degradante se usato come punizione durante la detenzione processuale, a tempo indefinito o per un periodo di tempo protratto, per persone con deficit mentali o giovani”.

Un rapporto questo che richiama l’attenzione su una realtà a volte drammatica come quella carceraria, celata alla nostra vista e per questo troppe volte relegata nel dimenticatoio. La crisi che come si sa sta mettendo in ginocchio il nostro Paese, si fa sentire anche dietro le sbarre, con il risultato che qui i tagli di budget si traducono in condizioni di vita a dir poco disumane.

Un complessivo e generale peggioramento della qualità della vita di cui fanno le spese carcerati e personale penitenziario, vittime silenti di un sistema che fa ormai acqua da tutte le parti. L’ultima  Sergio, ispettore della polizia penitenziaria 47enne in servizio nel carcere di Regina Coeli, uccisosi con un colpo di pistola, La versione ufficiale attribuisce il gesto a motivi familiari.

Come dimenticare poi la situazione ai confini del realtà del carcere di Trieste, già denunciata a settembre da Maria Grazia Cogliatti Dezza, consigliera comunale del Pd. Muri scrostati, scarafaggi e zanzare, caldo soffocante e una capienza al limite: 270 detenuti invece dei 155 previsti. E come se non bastasse ora alle finestre ci sono dei cartoni. Mancano i fondi per riparare i vetri rotti.

“Siamo tutti a conoscenza delle condizioni in cui versa il carcere triestino e quelle di vita dei detenuti che visoni ospitati – ha spiegato l’avvocato Roberto Gambel Benussi presidente degli Ordine della sua città – Sono condizioni al limite, se no oltre il limite, come sostanzialmente in tutte le carceri d’Italia“. E le istituzioni fanno finta di non vedere.

VALENTINA VITALETTI

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