Perché la Chiesa Cattolica oggi fa di tutto per rovesciare il quadro demografico e religioso d’Europa?

Perché la Chiesa Cattolica oggi fa di tutto per rovesciare il quadro demografico e religioso d’Europa?

Per affrontare le sfide dell’immigrazione la Chiesa Cattolica dispone di un mezzo molto potente e sviluppato: la propria dottrina sociale. Si tratta di un frutto prodotto e maturato con il lavoro di una serie di generazioni dei teologi, cominciando con l’enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII che, alla lotta di classe e al presunto dualismo tra il lavoro ed il capitale, opponeva l’idea di collaborazione e della loro complementarietà naturale ed organica.

Il contenuto dottrinario della Rerum Novarum era confermato ed arricchito con l’enciclica Quadragesimo anno (1929) di Papa Pio XI, che si rivolge direttamente allo Stato per invitarlo a riprendere le funzioni che gli nega o, addirittura, proibisce di svolgere l’ideologia del capitalismo liberale; per incitarlo ad aiutare o sostenere gli elementi portanti della comunità e del mondo di lavoro.

Questi elementi erano individuati secondo l’ottica tradizionale ed europea, applicata anche da Hegel per la definizione della comunità, dove l’individuo è riconosciuto come essere politico solo in virtù della propria partecipazione negli ordini, da quello della famiglia, fino alle associazioni corporative.
Questa dottrina della Chiesa era confermata ulteriormente da molte altre encicliche, fino al Laborem excercens (1981), Sollecitutudo rei socialis (1988) e Centesimus annus (1993) di Papa Giovanni Paolo II. Basato sull’insegnamento evangelico, l’asse della dottrina sociale della Chiesa Cattolica è composto dal principio di bene comune che raccomanda la creazione delle condizioni che permettono all’uomo e alla comunità di realizzarsi compiutamente, dunque non solo economicamente, ma anche esistenzialmente, socialmente e spiritualmente.

Altrettanto sono importanti il dovere della sussidiarietà – messo in rilievo particolarmente con l’enciclica Quadragesimo anno – e della solidarietà, compresi anche come i principi formativi ed informativi della comunità, dunque molto al di sopra della pura compassione moralistica e sentimentale.
E’ importante far notare che il generale De Gaulle – proprio lo statista che più risolutamente si opponeva all’invadenza del Leviatano atlantico, difendendo fieramente l’indipendenza della Francia ed impegnandosi per l’unità europea dall’Atlantico fino agli Urali – ha accolto pienamente questa dottrina, insieme con il sistema della partecipazione degli operai agli utili e nella gestione delle imprese. Aveva l’intenzione di realizzare queste idee e questa tradizione in alternativa al liberalismo capitalista, per superare i mali immanenti a quell’ideologia angloamericana, profondamente estranea all’anima europea.
Purtroppo, al referendum del 1969, che conteneva troppi quesiti, questa rivoluzione dall’alto fu respinta, insieme ad altre proposte, con una maggioranza di no di appena il due o tre per cento in più rispetto ai sì.

Detto ciò, però, rimane una domanda fondamentale: perché la Chiesa Cattolica oggi fa di tutto per rovesciare il quadro demografico e religioso d’Europa?
Le risposte a questo quesito sono diverse: dal sospetto che per gli elementi corrotti della Chiesa le attività caritative servono per lucro ed arricchimento personale fino all’opinione che, in fondo, si tratta di un’aspettativa ingenua che gli immigrati riconoscenti chiederanno la propria conversione, ingrandendo così il gregge dei cattolici, oramai divenuto misero come quello protestante, dopo l’autoeviramento commesso con il nefasto “aggiornamento”, che implicava, non solo le proscrizioni delle tradizioni, ma anche le censure dei testi sacri.

Le spiegazioni ufficiali – ad esempio quella offerta dal (l’ex, n.d.R.) presidente della Conferenza dei vescovi, il cardinale Camillo Ruini, accompagnata con la raccomandazione che bisogna scoraggiare “l’immigrazione illegale” – riducono tutto ad “un imperativo morale, prima che giuridico, accogliere chi si trova effettivamente nelle condizioni del profugo in cerca di rifugio” .
Dunque, qui siamo molto al di sotto del principio di solidarietà, immanente alla dottrina sociale della Chiesa; siamo a livello di un moralismo piagnucoloso ed impotente.

Sebbene detto “l’imperativo morale” sia perfettamente conforme al principio evangelico, bisogna notare il fatto che l’applicazione, nell’ambito del bene pubblico, provoca molti danni e pochissimi beni.
Non è la prima volta nella storia del Cristianesimo che la Chiesa affronta i paradossi del genere, trovandosi davanti all’evidenza che la letterale realizzazione dei principi evangelici può produrre degli orrori molto più grandi di quelli combattuti.

Già il Concilio di Nicea, nel quarto secolo, sapeva di dover “precisare”, per così dire, i comandamenti sacri. Per esempio, era stato notato che chi non offriva la difesa armata alle vittime degli attacchi dei malvagi – anche se rispettava letteralmente il comandamento “non uccidere!” – si rendeva corresponsabile per i delitti e gli assassinii.
Così agli albori del Cristianesimo. Ma oggi la Chiesa Cattolica sembra aver completamente perso il senno, l’acume ed il coraggio del proprio intelletto, che per secoli erano stati la sua più famosa e rispettata proprietà.

In Italia, nell’Italia legale, quella della politica, i sostegni intellettuali, diretti o indiretti, all’invasione pacifica dell’Europa si sono stesi lungo l’intero arco pseudopolitico, dall’estrema sinistra (dove i nipotini del (falso) “1968” sono diventati “no-global”), fino alla destra radicale.
Davanti alla sfida in questione l’opposizione “no-global” conferma i sospetti che si tratta di un movimento finanziato artificialmente come quello del “1968” a Parigi, per rovesciare la politica antiatlantica del generale De Gaulle.

Il fine dei creatori e dei manipolatori del movimento “no-global” è di avere un sostegno e di diffondere l’impressione che alla globalizzazione non c’è alternativa oltre questo manipolo degli spostati che fanno discorsi fumosi e si abbandonano ai vandalismi.
Così scopriamo che alla globalizzazione “del capitale delle multinazionali (che) non conosce frontiere” bisogna rispondere con una sfida “uguale e contraria: fare in modo che nessuna frontiera fermi la nostra solidarietà”.

Forse è inutile qui far notare che la citata e presunta “sfida” dei “no-global” in verità si impegna per gli stessi fini ai quali mirano gli strateghi della globalizzazione, imponendo apertamente all’Unione Europea – attraverso le proprie filiali ed i medium, dal dipartimento di demografia delle Nazioni Unite, fino alle pagine di New York Times – di aprire completamente le porte alle invasione immigratorie dal Sud del Mediterraneo.

Dragos Kalajic

 

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