La minaccia delle manette agli evasori fiscali

Nell’America dei romanzi e dei film di Cosa Nostra, ma anche dei libri di storia, abbiamo letto che la magistratura riusciva finalmente a incastrare i grandi boss sul terreno dell’evasione fiscale. In soldoni, i noti “padrini” dell’epoca, grazie a ottimi avvocati difensori e al garantismo dello Stato di diritto, riuscivano spesso a farla franca.

Il loro tallone di Achille era la terribile accusa di evasione fiscale che quasi sempre li consegnava alle patrie galere. Venendo ai fatti di casa nostra, e all’obiettivo di stanare gli evasori, dovrebbe essere più facile anche per gli inquirenti italiani agguantare coloro che hanno fatto dell’evasione fiscale la predominante fonte di guadagno.

Almeno all’apparenza, così dovrebbe essere anche da noi. Invece, rispetto all’America, c’è un MA grande quanto un grattacielo. Questo MA è lo spirito di un popolo che ha spesso visto nello Stato l’occhiuta e implacabile sanguisuga dei propri legittimi guadagni. Al punto che sentiamo spesso molti piccoli e medi imprenditori dire: “Se non evadessi, dovrei chiudere bottega, tanti sono i balzelli e gli adempimenti a cui sono sottoposto”. Quindi, in America, l’evasione è sentita da tutto un popolo come colpa grave ai danni della collettività; mentre in Italia la si considera una scappatoia per la sopravvivenza.

Questo gravissimo gap culturale con gli Stati Uniti non è certo colmabile con la minaccia delle manette agli evasori o con una maggiore trasparenza sulle dichiarazioni dei redditi da dare in pasto all’opinione pubblica. Finché non esisterà un conflitto d’interessi tra fornitori di beni e servizi e rispettivi committenti, dovremo abbandonare ogni illusione di cambiamento radicale.

Vorrei che qualcuno mi spiegasse perché dovrei pagare 100 euro al mio idraulico, esigendo la fattura, anziché 80 euro “aumma aumma”. Qualcuno potrebbe rispondermi, scimmiottando il defunto Padoa-Schioppa: “Perché pagare le tasse è bellissimo”. Non vi dico, per decenza, quella che sarebbe la mia reazione verso un simile interlocutore. Vi fornisco invece una versione farisaica, neanche fossi un gentleman di un riservatissimo club inglese.

“Egregio signore, anch’io vorrei dire insieme a lei che pagare le tasse è bellissimo, perché è l’unico modo di finanziare lo Stato, dispensatore egregio di servizi e assistenza alla collettività. Si dà il caso che, secondo la mia esperienza di sfortunato cittadino, io non abbia la sensazione di uno Stato così efficiente, ma dell’esatto contrario. Quindi, mio caro e gentile interlocutore, devo dirle con franchezza che trovo tutt’altro che bellissimo pagare le tasse”. Non conosco altre strade e mi scuso per la mia mancanza di cultura e di senso dello Stato.

Guglielmo Donnini

P.S.: mi sono riferito alla routine classica di un “prelevato alla fonte”. Per quanto attiene alle società nelle varie forme e alle imprese di capitale il discorso si fa ancora più complicato.

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