L’immigrazione selvaggia genera eroi

di Daniel Wedi Korbaria

Buonasera a tutti,

devo confessare che ho avuto un po’ di apprensione quando ho saputo che la vostra associazione mi aveva scelto per onorarmi del Premio Impegno Civico 2018. In un’epoca in cui in Italia, e non solo, vengono premiati troppi eroi dei diritti umani e troppi paladini dell’umanitario, mi sembrava stonasse un premio a chi, come me, è contrario a quest’immigrazione selvaggia e la combatte. Ed è per questo che, prima di accettare, ho fatto le mie ricerche online per vedere chi ci fosse dietro a codesta associazione. E vi spiego il perché.

In passato ho avuto un confronto via email col giornalista de l’Espresso Fabrizio Gatti. E quando l’ho accusato che dietro ai suoi numerosi premi umanitari in Italia e in Europa ci fosse la Open Society Foundations di George Soros, lui ha negato fermamente e ha aggiunto: “Ho accettato quei premi senza indagare oltre la pagina online delle associazioni, università o fondazioni che li organizzavano…” Beh, secondo me, “senza indagare” è una frase che non dovrebbe mai essere pronunciata da un giornalista. Da allora però, stranamente, Gatti ha smesso di occuparsi di Eritrea.

Dopo Fabrizio Gatti nel 2016 il premio Archivio Disarmo Colombe d’Oro per la pace è stato assegnato a Diego Bianchi alias “Zoro”, conduttore della trasmissione televisiva su Rai3 Gazebo e a Don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia. In passato sono stati premiati anche altri giornalisti anti-Eritrea come Gian Antonio Stella, Gabriele Del Grande e Gad Lerner.

Io mi sono sempre chiesto cosa abbiano mai fatto questi giornalisti per meritarsi l’appellativo di “Colombe d’Oro per la Pace”. Hanno forse risolto qualche conflitto mondiale? No, hanno semplicemente fatto il proprio lavoro di giornalisti e anche male perché spesso hanno scritto per sentito dire, venendo anche pagati per questo.

Di sicuro, quei premi umanitari hanno contribuito a dar loro più credibilità agli occhi dell’opinione pubblica per poter vendere meglio il “pacchetto immigrazione”.

Immaginatevi se Don Mussie Zerai avesse vinto il Nobel per la Pace a cui era stato candidato nel 2017, chi di noi sarebbe stato capace di contrastarlo? Quanti immigrati sarebbe stati giustificati a venire ancora dal Corno d’Africa?

In questi anni di battaglia per la verità ho imparato che, chiunque parli a favore di questa immigrazione selvaggia, consapevolmente o inconsapevolmente, fa gli interessi di Soros. Molti di voi lo conoscono perché rispetto al passato oggi se ne parla un po’ di più anche in Parlamento. Questo finanziere, che la sinistra italiana ha trasformato in filantropo, nel 1992 aveva speculato sulla lira facendo abbassare il suo valore del 30%. Invece di venire indagato fu premiato con una laurea honoris causa proprio qui a Bologna e dieci anni dopo è stato il vincitore del Premio Terzani.

Soros è riuscito ad entrare nel sistema Paese Italia corrompendo tutte le sue istituzioni: dalla politica alla magistratura, dal giornalismo allo spettacolo senza tralasciare neppure la cosiddetta società civile. Ha ubriacato gli ultimi partiti della sinistra fingendo di sposare in toto i loro valori e le loro ideologie imbandendogli golosissimi e succulenti piatti pieni di diritti civili come il discorso gender e LGBT, la legalizzazione della droga, le unioni civili, il razzismo e l’immigrazione. Un pacchetto che non potevano rifiutare, il diavolo non avrebbe potuto ammaliarli meglio.

In realtà al signor Soros non importa un bel niente di tutti questi “valori civili”, lui pensa ai dollari prima di ogni altra cosa. Il nostro problema è che tutti hanno abboccato all’amo confondendo uno squalo con un filantropo.

In Italia, il successo di Soros è avvenuto attraverso una diffusa corruzione che lui chiama “sponsorizzazione”, tanti soldi elargiti a profusione esclusivamente in chiave immigrazionista. In questo decennio ci sono stati diversi registi che hanno realizzato documentari sugli immigrati proprio “Con il sostegno di Open Society Foundations” per convincere e ammorbidire l’opinione pubblica italiana sull’argomento. Ha creato la Carta di Roma dove si insegna ai giornalisti una nuova deontologia favorevole all’immigrazione. Ha promosso e finanziato vari premi giornalistici, anche l’annuale Festival del Giornalismo di Perugia deve il suo successo proprio a lui.

Il giornalista di la Repubblica Vittorio Longhi è addirittura riuscito ad importare dall’America una piattaforma per fare le petizioni online, un franchising della sorosiana MoveOn.org, che ha chiamato Progressi, con l’idea di fare battaglie progressiste come, ad esempio, le unioni civili. Ebbene, visto che si poteva, ho subito provato anch’io a proporre una petizione intitolata: “Fuori George Soros e la sua Open Society Foundations dall’Italia” ma Longhi me l’ha bocciata definendola “inopportuna”.

Inoltre, Soros ha creato onlus e associazioni per controllare capillarmente il territorio trasformando e finanziando anche i centri sociali per diffondere al meglio la sua propaganda immigrazionista. La Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili (CILD) è una rete di cui fanno parte una quarantina di associazioni tra cui l’ARCI e A Buon Diritto di Luigi Manconi. La CILD distribuisce premi ogni anno annunciando con trionfo su tutti i mainstream media i suoi personaggi dell’anno. E tra questi “eroi dei diritti umani” come scrive la CILD troviamo i soliti Diego Bianchi di Gazebo, Valerio Cataldi di Rai 2 o i volontari del centro Baobab, gli stessi che hanno fatto i passeur verso Ventimiglia ai migranti della nave Diciotti.

Oltretutto, sarà forse una coincidenza, ma nei campi di accoglienza a Roma e dintorni, ho scoperto che i “volontari” che vi lavorano sono in gran parte l’elettorato di quella sinistra sorosiana. Questo “volontariato” permette di guadagnare meglio di un professionista e, in questi anni, l’accoglienza è diventata una vera industria che ha impiegato migliaia di persone. La situazione è patologica, proprio questi “volontari dell’umanitario” vedono nei migranti “soldi in movimento” e vorrebbero che gli sbarchi continuassero all’infinito tacciando di “fascismo” chi invece vuole chiudere i porti.

Ma come ha fatto Soros a scegliere le persone giuste? La prerogativa richiesta a tutti è una certa sensibilità al tema dell’immigrazione, delle frontiere aperte e dell’accoglienza. In inglese questi valori suonano meglio: no borders, welcome refugees, open society, open migration. A presiedere la succursale italiana della Open Society Foundations c’era Costanza Hermanin diventata poi Segretaria Particolare del Sottosegretario di Stato alla Giustizia On. Gennaro Migliore e più di recente candidata nelle liste di +Europa di Emma Bonino. Ed è questa l’astuzia di Soros: inserire i suoi fedelissimi nei posti chiave delle istituzioni nel mondo, dall’Onu agli Usa, dall’Europa all’Italia. Se non fosse stato per lui, credo che la ex UNHCR Laura Boldrini non sarebbe mai potuta diventare Presidente della Camera dei Deputati. Nel parlamento europeo ci sono oltre 200 deputati ritenuti a lui fedelissimi tra i quali l’ex sindaco di Bologna Sergio Cofferati.

Con i miei scritti, in quattro anni di attivismo, non ho fatto altro che denunciarli tutti e l’ho fatto non perché volessi intromettermi negli affari italiani, ma perché la mia battaglia per la verità sull’Eritrea si era incredibilmente intrecciata con quella italiana, avevamo gli stessi nemici che stavano inquinando la verità sull’immigrazione. Alcuni miei concittadini, ovviamente in collaborazione con l’Etiopia, facevano parte della rete di trafficanti e, armati di telefoni satellitari, intendevano portare in Europa tutta la popolazione eritrea per fare regime-change ad un governo scomodo.

Con questo obiettivo, l’Etiopia del fu premier Meles Zenawi già nel 2004 aveva proclamato di accogliere ben volentieri i rifugiati eritrei che poi, invece, venivano portati in pullman verso il confine con il Sudan, da dove avrebbero dovuto proseguire a piedi attraverso il deserto e la Libia. Un tragitto ad ostacoli fatto di agguerriti trafficanti di esseri umani, di beduini sequestratori, di milizie corrotte, delle prigioni libiche e persino dei tagliagole dell’Isis. L’ultima prova del rifugiato sarebbe stata quella di sopravvivere all’incidente in mare aperto.

Ma perché è stato deciso di fargli intraprendere loro questo percorso pericoloso?

Il mio sospetto è che si sia allestito un lavoro cinematografico in cui venivano offerte scene così drammatiche per convincere l’opinione pubblica internazionale della bontà di quei salvataggi. Infatti gli stessi italiani non hanno mica eretto un muro per impedire lo sbarco di oltre 600.000 persone! Ma quanti ne sono morti però? Le tragedie delle carrette del mare e dei gommoni da quattro soldi sono diventate il pane quotidiano dei giornalisti “umanitari” i quali hanno giocato il loro ruolo mostrandoci in diretta televisiva i morti annegati. Scenografia perfetta per la propaganda immigrazionista!

Tutte quelle bare allineate nell’hangar di Agrigento hanno giustificato poi la nascita di Mare Nostrum e successivamente hanno permesso alle Ong di recarsi nel Mediterraneo in numero così massiccio da farle diventare protagoniste di salvataggi e di premi umanitari. E sono state proprio queste Ong che per anni hanno lavorato indisturbate e, consapevoli dell’effetto attrazione che richiamava sempre più disperati, a creare un vero e proprio monopolio per accaparrarsi finanziamenti anche da fondazioni d’oltreoceano.

Nel 2015 ho chiesto a Medici Senza Frontiere perché una loro nave si trovasse nel Mediterraneo. Gli chiesi anche se era Soros a finanziarli. Per tutta risposta mi mandarono l’elenco dei loro piccoli sostenitori internazionali dove non c’erano i pesci grossi, allora insistetti e loro scelsero di non rispondere più. Negli anni successivi ci furono varie pubblicazioni che confermarono i miei sospetti: la grande multinazionale dei diritti umani nonché Premio Nobel per la Pace nel 1999 mi aveva mentito poiché tra i suoi grandi sostenitori c’era proprio lui: George Soros.

Grazie ai giornalisti pagati dallo stesso padrone, descrivevano le loro imprese umanitarie in quel mare al limite dell’anarchia e noi contavamo i morti.

Il 24 maggio 2017 una Ong del mare battente bandiera maltese, la MOAS dei coniugi Catrambone, anch’essa finanziata da Soros, salpò con a bordo un famosissimo fotografo della Getty Images e provocò una tragedia in cui morirono decine e decine di migranti, la maggior parte dei quali eritrei. Ovviamente per i giornalisti la colpa fu del mare mosso quando invece, a vedere le loro foto, il mare era abbastanza calmo. A Roma ho intervistato alcuni sopravvissuti all’incidente e il racconto che mi hanno fornito smentisce tutti gli articoli scritti per l’occasione. Però a tutt’oggi, ahimè, nessuna Magistratura Democratica ha aperto un fascicolo per indagare su quell’incidente. Chi volesse approfondire, troverà il mio articolo pubblicato sul sito di Luca Donadel, che già conoscete.

Da oltre un decennio l’immigrazione via mare e i problemi che essa comporta, i morti e l’accoglienza, sono il topic principale nelle televisioni e nei giornali, che se ne occupano senza sosta e con animosità. Ma vogliamo provare a cambiare canale? Vogliamo tornare ad occuparci di altri problemi sociali? Allora dovremo riportare l’immigrazione nella legalità, una volta per tutte.

Le iniziative dell’attuale governo italiano sono state molto efficaci, da quando è stato impedito alle Ong di far sbarcare i migranti ci sono stati meno morti, nonostante i sorosiani immigrazionisti dicano il contrario. Ma chiudere il mare e rafforzare la Guardia costiera libica affinché controlli le sue coste non significa aver risolto il problema dell’immigrazione alla radice. Bisognerebbe occuparsi di quei poveracci che sono stati ingannati dagli attivisti dei diritti umani e sfruttati dai trafficanti e che ancora si trovano bloccati in Libia. Bisognerebbe dialogare con i paesi di origine dei migranti per rimandarli tutti a casa loro. Non sarà facile convincere tutti i paesi Africani ma l’Italia ha tutte le carte in regola per provarci. Un successo diplomatico in politica estera di questa portata permetterebbe all’Italia di alzare la testa davanti all’Europa e al mondo intero e riprendersi quel meritatissimo posto d’onore di un Paese che ha contribuito al progresso dell’umanità nella scienza, nella letteratura e nell’arte.

In tutti questi anni il rapporto Eritrea-Italia è stato pressoché inesistente nonostante i nostri legami storici. L’Italia faceva business con l’Etiopia anche quando quest’ultima ci bombardava. Noi eritrei ci siamo sentiti traditi perché avevamo avuto i nostri nonni morti per l’Italia in Libia, Somalia ed Etiopia. Eppure il rapporto fra i due popoli non è mai stato ostile, ci sono numerosi matrimoni misti con migliaia di figli italo-eritrei, io stesso ne sono testimone.

In Eritrea, gli anziani dicono che gli italiani siano stati meglio che con gli inglesi, i quali hanno combinato più guai con i loro 11 anni di governariato che gli italiani con i loro 50 anni di colonialismo. E, nonostante il periodo infausto delle leggi razziali arrivate anche nella Colonia, gli eritrei hanno sempre voluto bene agli italiani e a tutt’oggi questo sentimento è ancora vivo e vegeto.

Solo negli ultimi dieci anni, in Italia, il rapporto umano tra italiani ed eritrei si era ridotto a quello tra rifugiati e immigrazionisti che lucravano sull’accoglienza. A loro servivano i numeri gonfiati dei “5.000 eritrei al mese che scappano dal loro paese” per continuare a dargli lo status da rifugiato a prima facie facendo così passare per eritrei anche migliaia di etiopici.

Ora però la situazione dell’Eritrea è cambiata.

L’Etiopia ha finalmente accettato di rispettare il verdetto ONU sui confini deciso nel 2002. Da giugno si respira un’aria di pace in tutto il Corno d’Africa. Presto decadrà la principale motivazione dei nostri richiedenti asilo che era “il servizio militare a tempo indeterminato” poiché è venuta meno la minaccia di aggressione militare etiopica. Presto la leva eritrea rientrerà nei suoi 18 mesi come da standard internazionale.

È notizia di oggi, 14 novembre 2018, che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si sia riunito per decidere l’annullamento delle sanzioni all’Eritrea comminate nel 2009 e nel 2011. Questi nove anni di sanzioni ONU non soltanto hanno strozzato l’economia del Paese ma hanno spinto alla fuga i giovani in cerca di migliori opportunità per il loro futuro. Oggi l’annullamento di quelle sanzioni sarà l’ammissione di colpa delle grandi potenze che le hanno comminate, la certificazione di un errore giudiziario iniziato alla viglia di Natale del 2009 e la vittoria di un popolo resiliente che le ha sempre condannate e respinte come ingiuste e false.

A maggior ragione d’ora in avanti non ci saranno più “rifugiati” eritrei che sbarcheranno in Italia semmai si lavorerà ad un progetto comune per incentivare, come ho detto prima, il rientro volontario.

Ora, con la recente storica visita in Eritrea del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte c’è la viva speranza di vedere i nostri due paesi lavorare fianco a fianco, per costruire un rapporto paritario e per rinsaldare il legame speciale che la Storia ci ha lasciato in eredità. L’Italia ha molto da offrire all’Eritrea ma ha anche tanto da guadagnare e non più in termini di “rifugiati”.

A dimostrazione del rispetto che noi eritrei nutriamo per l’Italia vorrei ricordare il lavoro silenzioso degli ultimi sedici anni del governo eritreo per candidare la città di Asmara all’UNESCO e proprio nel 2017 “la piccola Roma” è stata riconosciuta patrimonio dell’Umanità. Così facendo sono stati omaggiati l’ingegno e la creatività degli architetti e degli ingegneri italiani che hanno costruito un gioiello di città, unico esempio in tutta l’Africa.

Grazie per avermi ascoltato e soprattutto grazie per il riconoscimento che mi avete dato e grazie ancora per aver creduto a tutto quello che ho scritto e per cui mi sono battuto. Grazie della vostra solidarietà.

Daniel Wedi Korbaria

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