Commissione UE contro la pesca: non è sostenibile

Il Mar Mediterraneo continua a soffrire del “grave problema dell’eccesso di pesca”. A ribadire l’allarme è la Commissione europea, nel momento in cui tira le fila sugli ultimi dati scientifici a disposizione sulla salute dei suoi mari.

“Mentre Mare del Nord e Baltico fanno progressi, con oltre il 50% degli stock con catture a livello sostenibile nel 2014 (contro il 14% del 2009), la situazione del Mediterraneo è ancora negativa. Il 93% degli stock valutati non viene pescato in maniera sostenibile nel ‘Mare Nostrum'”, riferisce Bruxelles. Ovviamente l’Italia, circondata dal mare, sarà piu’ penalizzata insieme alla Grecia.

“Dobbiamo sviluppare piani di gestione dell’Unione e piani regionali più efficaci”, ha detto Vella, convinto che “solo quando affronteremo la situazione nei nostri Stati membri, acquisteremo la credibilità necessaria per cominciare a discutere con i nostri partner nel Mediterraneo”.

Con la scusa della tutela ambientale, le multinazionali monopolizzano mari e oceani

In nome della tutela ambientale e la conservazione della biodiversità, l’introduzione di quote di pesca e riserve naturali marine contribuisce al controllo delle acque del mare e interne da parte di una manciata di attori privati. E a scapito di milioni di piccoli pescatori che vivono dei frutti del mare e vedono i loro diritti calpestati. Un nuovo rapporto, intitolato “Global Ocean grabbing” e pubblicato da organizzazioni internazionali, in collaborazione con il Forum Globale dei Popoli di pescatori, mette in luce questa monopolizzazione dei mari che minacciano le comunità bordi mare dal Cile alla Thailandia all’Europa o al Nord Africa.

Questi mali hanno per nome “quote di pesca, conservazione del litorale o acquacoltura”. Dietro la retorica ambientalista ed ecologista, queste nuove regole contribuiscono a espropriare le persone dei loro mezzi di sussistenza, dei loro stili di vita, anche delle loro identità culturali a favore di logiche di mercato, dell’industria della pesca e di grandi interessi privati. Con implicazioni dirette sul modo in cui ci nutriamo.

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