La padrona dell’Europa?

von der Leyen padrona dell'Europa

Se la (s)fiducia doveva essere una cosa seria

di Giuseppe Romeo – Non credo che tra Bruxelles e Strasburgo qualcuno ricordi romantici, italici spot che hanno segnato la vita di tanti italiani. Di sicuro ve ne erano tanti, molti in quel Carosello della sera che intratteneva piccoli e grandi quando la pubblicità affacciava ognuno di noi verso un consumo allora dignitoso. E, probabilmente, ciò che non si ricorda è che la stessa parola fiducia trasfigurava se stessa nel suo significato, ricercando una fidelizzazione del potenziale utente/consumatore affermando, attraverso se stessa, una garanzia di qualità.

Insomma, giusto per offrire un quadro sintetico di ciò che accade nel teatro europeo – dove alla pirandelliana recita delle parti e dei personaggi si sostituisce spesso quella delle ombre – sembra che ci si sia dimenticati che la sfiducia, come la fiducia, rappresenta un atto politico e che, per essere un atto politico – ovvero che sottende una scelta di posizione chiara nell’attribuire o meno credibilità – essa richiede una dose di coraggio e di assunzione diretta di responsabilità.

Certo, ciò non significa che l’astensione non sia una possibilità offerta dal sistema di voto. Tuttavia, astenersi, soprattutto laddove si tratta di riconoscere o disconoscere meriti o incapacità che incidono nella vita di uno Stato e dei suoi cittadini o di una organizzazione sovranazionale come l’Unione europea, determina una sorta di pilatesca, per gli astenuti, uscita d’emergenza la cui comprensione sfugge al criterio di responsabilità.

In altre parole, pilatescamente discorrendo, la richiesta di sfiducia verso questa Commissione e chi la rappresenta non è certo nata per caso e poco importa se a porre tale questione sia stata una forza politica o un’altra. La questione di colore politico, infatti, non ha rilevanza sulla situazione di fatto, considerato il bilancio fallimentare ottenuto su ogni fronte e dato dalla necessità di ricorrere a espedienti di voto poco onorevoli, se non contrari, a un sentimento di lealtà nei confronti dei cittadini rappresentati che dovrebbe prevalere sulle logiche dei corridoi di Strasburgo.

Che si tratti della gestione pandemica o della crisi russo-ucraina, infatti, il giudizio di buona parte dei cittadini europei e di quelli italiani è sin troppo chiaro nei confronti di una Commissione, e di una Commissaria, che pone al centro se stessa in un delirio politico quasi da estasi messianica. Certo, il rispetto delle norme può essere argomentato ogni volta in modo diverso. Dipende dalle opportunità o… dalle circostanze. Ma, questa volta, e con tale voto, si è superato il dato giuridico e l’interesse del cittadino trasformando il voto stesso e il risultato in una sorta di celebrazione dell’ipocrisia politica.

Un’astensione strumentale, che sa di strategia dell’attesa, di quel politicamente corretto o, forse dell’opportunisticamente utile, che dice e non dice, che attribuisce e non toglie a chi, già dimessa da ministro della Difesa in Germania, è passata con un promoveatur ut amoveatur in salsa teutonica alla guida della Commissione e anche riconfermata. Una guida giudicata in negativo in senso lato dalla maggior parte dei cittadini europei e, tra questi, anche da quelli italiani. Giudicata se non poco coerente nelle scelte, quanto meno imbarazzante per quel modo di fare e decidere che tende a non considerare le regole di principio e di valori cui si ispira l’Unione stessa, sia in senso politico ma, ancora più concretamente, in senso giuridico.

Ecco, allora, che un’astensione così decisa e messa in pratica soprattutto da chi nel passato era il più critico e il più deciso nel chiederne le dimissioni, alla fine, diventa un voto a favore per una Commissaria ormai non di tutti gli eurocittadini, dimostratasi non certo indirizzata a difendere principi e interessi dell’UE nel rispetto dei poteri attribuitigli e nel rispetto delle istituzioni. Questo, riservandosi un potere che ha surclassato i limiti imposti dagli stessi trattati, sovrapponendo la propria figura sia a quella del Parlamento, luogo della rappresentanza dei cittadini, che a quella del Consiglio, luogo della sovranità condivisa degli Stati membri.

Un comportamento che ha dimostrato quanto e in che misura si sia superato quell’equilibrio di poteri che contraddistingue l’UE, declinandone la natura in una sorta di entità tecnocratica, attribuendo di fatto alla Commissione un potere di decisione e di azione da élite oligarchica che può fare a meno dell’opinione dei popoli ma, anche, andare oltre gli interessi degli stessi Stati membri.

Così nel secretare i contratti di approvvigionamento di prodotti medicinali decisivi durante l’emergenza pandemica senza rendere conto delle modalità, delle condizioni, dei rischi e dei costi. Un segreto imposto al di fuori di ragioni giuridiche, al di fuori dei suoi poteri e al di fuori delle previsioni dei trattati su un argomento di interesse per la salute e le finanze pubbliche. Ha continuato a dimostrarsi poco incline a sostenere gli accordi di Minsk, lasciando che fallissero e, quindi, che la crisi tra Ucraina (leggasi Usa/Nato) e la Russia traghettasse l’Europa verso un nuovo dramma utile per alcuni, meno per altri, di sicuro un fallimento per l’idea di una Casa Comune.

Ha rinunciato a prendere una iniziativa immediata nei primi giorni dell’avvio della operazione speciale russa, rinunciando a porre in essere da subito un possibile negoziato che avrebbe dovuto fare dell’UE la protagonista della pace, coerentemente con lo scopo che l’Unione stessa si prefigge nel campo della sicurezza e difesa continentale e nella prevenzione delle crisi.

Ha accettato pedissequamente la politica statunitense di Biden il cui scopo era quello di mettere in difficoltà la Russia, conquistarne gli asset economici di maggior interesse e dare un colpo di grazia alla stessa “amica” UE, economicamente e politicamente troppo forte per il dollaro, troppo pericolosa semmai avesse creato un mercato da Lisbona a Vladivostok. Una Unione abbandonata poi da Biden e obbligata, oggi, da Trump a spendere cifre mai più recuperabili per gli Stati, ma ripartibili tra commesse varie in una ricostruzione dove la corsa alla diligenza si è già aperta a conflitto ancora in corso.

Ha lanciato un Rearm-Europe a debito per 800 miliardi di euro senza che sia stata formulata una dottrina comune e, quindi, senza l’esistenza di una politica di coerente approvvigionamento dei sistemi d’arma facendo sì che tutto questo diventi in futuro un buon motivo di rilancio dell’economia tedesca e di quella USA, auspicando che la commestibilità dei cannoni possa essere più digeribile di quella del burro o delle più celebri e fatali brioche francesi. Tutto questo, ai danni di sanità, rilancio della produzione UE e delle sue esportazioni, oltre che dei suoi partenariati e buttando nel cestino anche quella Next Generation-Ue cui il mantra falso-progressista ha fatto affidamento per una Unione europea funzionale a logiche omologanti.

Ma ha anche, se non soprattutto, superato ogni limite di imparzialità e di rispetto delle sovranità delle singole nazionalità inserendosi nei processi, e influenzando le intenzioni di voto, in alcuni Stati membri.

Eppure, alla fine, nonostante questa Commissione si presenti debole e in caduta di credibilità, la Commissaria ha rivinto, ritrovando se stessa proprio nella sua nemesi, laddove l’astensione e il poco coraggio, se non la pavidità politica, le ha attribuito nuovamente, con il voto e con il non voto, una fiducia di rimessa alla più imbarazzante esperienza di un’istituzione europea che da Custode dei Trattati si è trasformata in una custode di ben altro.

Ecco, allora, che con tale (s)fiducia si è posta una ulteriore forte ipoteca sulla credibilità dell’Unione europea che, oltre a essere ormai un falso gigante economico dai piedi di argilla – dazi statunitensi al 30%, acquisto di gas liquefatto a prezzo maggiorato e di sistemi d’arma made in USA da cedere alla Nato per poi ritrasferirli in Ucraina – di fatto si presenta come un nano politico per il resto del mondo.
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