Finalmente, anche la Corte lo ha messo nero su bianco: la solidarietà non può essere un alibi per l’illegalità
di Bianca Leronardi – Alla fine, la giustizia ha parlato. Forte, chiara e senza possibilità di interpretazioni ideologiche: il fermo della nave Ocean Viking è legittimo, necessario e perfettamente coerente con il dettato costituzionale. È la Corte Costituzionale stessa a metterlo nero su bianco nella sentenza 101 di ieri 8 luglio, sconfessando platealmente chi, in questi anni, ha trasformato il Mediterraneo in un campo di battaglia politico, dove ogni regola viene piegata o ignorata in nome di un umanitarismo a corrente alternata.
Il caso specifico risale all’ottobre 2020, quando l’Ocean Viking viene fermata per non aver rispettato le direttive delle autorità italiane nel corso di un’operazione di salvataggio. Una condotta definita dalla stessa Corte come causa di “situazioni di pericolo” in quanto “il comandante non ha rispettato le indicazioni fornite dalla autorità competente per il coordinamento delle operazioni di soccorso”.
Eppure, il Tribunale di Brindisi, nell’ottobre 2024, ha provato a ribaltare tutto sollevando dubbi di legittimità costituzionale. Ora la Corte mette fine alla pantomima: il fermo “è una sanzione punitiva né irragionevole né sproporzionata”. Questo perché “le navi che intervengono non potrebbero esimersi dal conformarsi al coordinamento dello Stato che intervenga con le proprie direttive”. Tradotto: chi pretende di operare in acque italiane ignorando le direttive dello Stato se ne assume le conseguenze. E per chi ancora avesse dubbi, la Corte è esplicita: “il tratto qualificante” di questi casi è il “rifiuto di collaborazione con le autorità competenti”.
Una lezione per molti, a partire da quei settori della sinistra che da anni costruiscono narrazioni tossiche su un presunto Stato oppressivo che reprime i buoni samaritani del mare. Peccato che, come dimostrano i fatti, le Ong non siano entità fluttuanti nel vuoto morale, ma soggetti operanti in acque sovrane, sotto giurisdizione e sottoposti a regole. Se queste regole vengono infrante, lo Stato ha il diritto, anzi il dovere, di intervenire.
Inutile l’assalto delle Ong amiche della Ocean Viking SOS Méditerranée, Sea-Watch, Sos Humanity, Idra Shipping e compagnia militante tutte intervenute in giudizio nella speranza di smontare il castello giuridico italiano. La Consulta non ha ammesso nessun ricorso: anzi, ha rilanciato le parole di Giorgia Meloni: “come ha evidenziato il Presidente del Consiglio nell’atto di intervento, è puntuale anche l’identificazione dei trasgressori: il comandante e l’armatore”.
Il punto non è il soccorso, ma la sovversione. Perché sembrerebbe di non essere di fronte a missioni di salvataggio neutrali, ma a operazioni che, in nome di un‘ideologia anti-Stato, scavalcano sistematicamente regole, confini, responsabilità. Per troppo tempo, il mare è stato zona franca per certe Ong che, anziché collaborare con gli Stati, ne hanno minato l’autorità. Dietro la retorica del salvare vite, spesso si nasconde una precisa strategia politica: smontare l’idea di confine, disarticolare la sovranità, accusare chiunque osi porre limiti di essere “nemico dell’umanità”.
Eppure, questa sentenza sembrerebbe dimostrare il contrario: la vera umanità passa anche dalla legalità.
L’Italia non è terra di nessuno e il Mediterraneo non è il cortile di casa di chi pretende di imporre agende ideologiche travestite da missioni umanitarie. La legge non è un optional per chi si sente investito da una presunta superiorità morale. Finalmente, anche la Corte lo ha messo nero su bianco: la solidarietà non può essere un alibi per l’illegalità.
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