La censura del dialogo: quando il femminismo estremista nega la parità

Antonella Baiocchi

Il femminismo nasce come battaglia giusta per i diritti delle donne, ma oggi assistiamo a una deriva pericolosa: quella di un femminismo tossico

di Antonella Baiocchi – Esprimo il mio profondo dissenso per quanto accaduto al Monk di Roma, dove l’evento Dis-pari, dedicato alla violenza di genere e sulla discriminazione è stato annullato su pressioni di frange femministe estremiste. Gli ospiti avrebbero dovuto essere Fabio Nestola (attivista e divulgatore che, come me, combatte gli stereotipi sulla violenza, promuovendo una visione libera da pregiudizi di genere), Giancarlo Dimaggio, Tiziana Lombardi e Giorgia Antonelli. Special guest: Filippo Giardina.

Un parterre ritenuto scomodo dalle femministe che ne hanno ottenuto la censura.

Un episodio che non solo rappresenta una grave limitazione alla libertà di espressione, ma dimostra anche l’ipocrisia di un movimento che, mentre proclama di lottare per l’uguaglianza, di fatto la nega quando questa include anche le vittime di sesso maschile.

Femminismo o estremismo?

Il femminismo nasce come battaglia giusta per i diritti delle donne, ma oggi assistiamo a una deriva pericolosa: quella di un femminismo tossico che, invece di promuovere il dialogo, impone un monologo. Un femminismo che non accetta l’idea che anche gli uomini possano essere vittime e che le donne possano essere carnefici. Un femminismo che, anziché combattere la violenza in tutte le sue forme, la strumentalizza, trasformandola in una guerra di genere dove solo un sesso ha diritto di essere ascoltato.

L’evento annullato – “Dis-Pari, conversazioni sull’antisessismo” – avrebbe affrontato proprio questo: il fatto che la violenza non ha genere, che è un problema culturale, non biologico. Eppure, invece di accogliere un dibattito necessario, si è preferito censurarlo, bollandolo come “potenzialmente discriminatorio”. Ma chi discrimina davvero qui? Chi sta negando visibilità a migliaia di uomini vittime di abusi? Chi sta impedendo di parlare di donne che maltrattano, manipolano, uccidono (www.lafionda.com)?

La violenza è bidirezionale: smettiamola con la narrazione tossica

Come psicoterapeuta ed esperta di criminologia, autrice del saggio “La violenza non ha sesso” (edito da Alpes Editore, 2019) ho dedicato anni a studiare la violenza bidirezionale, ovvero quel fenomeno per cui aggressori e vittime non hanno un genere predeterminato) un attivista e divulgatore che combatte gli stereotipi sulla violenza, promuovendo una visione libera da pregiudizi di genere. .

Quando affermo che la violenza è bidirezionale e che non ha genere, intendo dire che non è un problema legato all’essere uomini o donne, ma a modelli culturali distorti e a una mancanza di strumenti psicologici ed emotivi per gestire le divergenze in modo sano.

  1. Cultura tossica: il mito della “verità assoluta”

La violenza prospera laddove esiste una cultura dicotomica che divide il mondo in “giusti/sbagliati”, “vittime/carnefici”, “uomini oppressori/donne oppresse”. Questa mentalità:

  • Deumanizza chi la pensa diversamente (“Se non sei con me, sei contro di me”).

  • Giustifica la prevaricazione (“Ho ragione io, quindi posso annullare la tua voce”).

  • Crea falsi miti, come l’idea che solo gli uomini siano violenti o che le donne siano sempre innocenti.

L’annullamento dell’evento al Monk ne è un esempio lampante: invece di ascoltare dati e testimonianze su vittime maschili o donne aggressive, si è scelto di censurare per mantenere intatta una narrazione comoda ma falsa.

  1. Analfabetismo psicologico: l’incapacità di gestire le divergenze

Definisco “analfabetismo psicologico” l’incapacità di:

Riconoscere le emozioni proprie e altrui.

Accettare che esistano prospettive diverse dalla propria.

Risolvere i conflitti senza ricorrere a violenza (fisica, verbale o istituzionale, come la censura).

Chi è “analfabeta psicologico” usa strumenti tossici per imporsi:

  • l’uomo picchia la moglie, la donna denuncia falsamente un ex per vendetta.

  • Il femminista che silenzia un dibattito e il maschilista che insulta le donne online.

Entrambi agiscono con la stessa logica tossica: “La mia verità cancella la tua”.

  1. Debolicidio: violenza = abuso di potere, non di genere

Ho coniato il termine “Debolicidio” per descrivere qualsiasi violenza su chi è in posizione di debolezza/vulnerabilità (donne, uomini, bambini, anziani, disabili). Il problema non è il genere, ma:

L’Analfabetismo psicologico di chi detiene potere (fisico, psicologico, economico, di ruolo, legale) che sarà indotto ad affermarsi prevaricando schiacciando i vulnerabili che si intromettono tra se e i propri obiettivi.

Esempi concreti:

  • Un uomo che minaccia la compagna ma anche una madre che aliena il figlio dal padre.

  • Uno Stato che ignora i centri antiviolenza per uomini e le femministe che negano l’esistenza di vittime maschili.

Serve un femminismo (e un maschilismo) libero dalle tossicità, non estremista/dicotomico!

La censura al Monk dimostra che il vero ostacolo alla parità è l’estremismo, non il dialogo. Se vogliamo combattere la violenza, dobbiamo:

  • Smantellare i dogmi (“Tutti gli uomini sono potenziali aggressori“).

  • Ascoltare e Tutelare tutte le vittime, senza gerarchie di genere.

  • Educare all’alfabetizzazione psicologica, per imparare a confrontarsi senza prevaricare.

La violenza non si sconfigge con la propaganda, ma illuminando le menti. Si combatte con l’alfabetizzazione, con la conoscenza, con la cultura—strumenti che smantellano l’ignoranza, radice prima di ogni oppressione e aprono alla “verità”.

E la verità è che nessun genere ha il monopolio del male o dell’innocenza.

Antonella Baiocchi, psicoterapeuta, specialista in criminologia, scrittrice, responsabile del Centro Anti Violenza Oltre il Genere (www.laviolenzanonhasesso.it) e direttore del Centro CUDAV (Centro Uomini e Donne autori di Violenza www.centrorieducativopersonemaltrattanti.it )

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *