America First, carne da cannone later

militari usa Cercasi soldati

di Carmen Tortora – Pete Hegseth (Pentagono) ci mette la cornice sentimentale: «Stiamo chiedendo ai contribuenti americani di finanziare il più grande esercito del mondo, stiamo chiedendo a madri e padri in tutta l’America di affidarci la loro risorsa più preziosa, i loro figli e figlie, e onoreremo la loro fiducia e il loro sacrificio».

Tradotto dal patriottese: pagate il conto e mandateci i ragazzi, al resto ci pensa il tritacarne strategico. Dentro questa retorica si inserisce la nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale di Trump, che si vende come realismo “America First†e in realtà è un gigantesco riassetto di priorità: l’ossessione non è più il terrorismo islamico ma l’emisfero occidentale, l’immigrazione di massa, i cartelli e la competizione con le grandi potenze, mentre si ridimensiona il Medio Oriente e si sposta il baricentro del rischio su confini, narcotraffico e guerra economica.

Il documento massacra le “aspettative irrealistiche†dei leader europei sulla guerra in Ucraina, accusa governi di minoranza che reprimono l’opposizione e parla senza giri di parole di «cancellazione della civiltà» europea per via dell’immigrazione incontrollata, della censura del dissenso, del crollo demografico e della perdita di identità nazionale. Non solo: mette nero su bianco la volontà di mettere fine all’espansione infinita della NATO, chiedendo che l’Europa «si assuma la responsabilità primaria della propria difesa». In parallelo, però, Washington pretende più riarmo dagli alleati, più spesa militare, più disciplina atlantica. Insomma: meno coccole retoriche, più ruolo da colonia armata. Non è più il linguaggio della strategia del 2017 né della dottrina “democrazie vs autocrazie†di Biden: qui l’America si presenta come arbitro “moderatore†fra una Russia con cui bisogna ristabilire “stabilità strategica†e un’Europa isterica e incapace di riformarsi.

Nel frattempo, la strategia introduce il famoso “Corollario Trump†alla Dottrina Monroe: riaffermare la preminenza USA nell’emisfero occidentale, usare la forza letale contro i cartelli e spostare mezzi e uomini da teatri storici – Medio Oriente in testa – verso Caraibi, America Latina e frontiera sud. Il terrorismo islamico viene degradato a nota a piè di pagina collegata ai buchi nei controlli di frontiera, mentre si alza di rango tutto ciò che passa da immigrazione, droga, traffici, spionaggio, penetrazione cinese e russa in America Latina. Non è un caso che il documento parli del Medio Oriente come di una regione che «non domina più» la politica estera USA: peccato che, ogni volta che Washington prova ad “uscirneâ€, venga risucchiata dentro da Gaza, Iran, Golfo e compagnia. Ma sulla carta, il nuovo feticcio strategico è chiaro: l’“invasione†è quella al confine e nei porti, non quella in Iraq o Afghanistan.

Sul fronte europeo, la frusta continua: Trump accusa Bruxelles e i governi UE di minare la sovranità politica con strutture sovranazionali, zittire il dissenso, reprimere i partiti “patriottici†e vivere in una bolla di illusioni sulla guerra in Ucraina. Il documento riecheggia il discorso di J.D. Vance a Monaco, dove i leader europei sono stati accusati di limitare la libertà di parola e di voler impedire ai movimenti di destra di accedere al potere. Nel frattempo, Washington propone piani di pace che chiedevano a Kiev cessioni territoriali e limiti permanenti alle sue forze armate, mentre i governi europei implorano Zelensky di non accettare compromessi senza garanzie di sicurezza americane. Risultato: gli USA accusano l’Europa di essere politicamente schizofrenica, l’Europa accusa gli USA di mollare Kiev sotto ricatto, e in mezzo ci sono gli ucraini a cui si chiede di sacrificarsi in nome di una pace scritta altrove.

Ed è qui che la Strategia Trump si incastra alla perfezione con la Strategia per il Pacifico 2025 del Corpo dei Marines. Mentre sul piano politico si recita il copione del “contenimento†della Cina e del rafforzamento della First Island Chain, sul piano militare il rapporto dei Marines racconta la nuda verità: la guerra vera contro Pechino sarebbe un bagno di sangue. Il piano americano, in soldoni, è una guerriglia navale su micro-isole del primo arcipelago: squadre di Marines spedite su isolette non presidiate, cariche di materiali, droni, missili e munizioni, da usare come piattaforme sacrificabili per aprire corridoi alla flotta USA. Il rapporto prevede che il primo sbarramento cinese infliggerebbe perdite del 30-50% ai Marines sbarcati, e se devono resistere più di tre giorni per creare una “finestra†alla flotta, le perdite salirebbero al 70%. Le piccole imbarcazioni e i sistemi senza pilota vengono dati per persi tra il 60 e l’80%. In un dispiegamento a breve termine, si parla senza vergogna di 30.000-50.000 vittime USA, che diventano 80.000–120.000 se la guerra si prolunga. Lo stesso documento lo ammette: «Dobbiamo accettare perdite sproporzionatamente elevate per dare alla flotta una finestra di opportunità». E qui torna in mente la frase di Hegseth sulle madri e i padri che “ci affidano†i figli: il marketing del sacrificio totale, ma coi numeri da macello industriale sullo sfondo.

Di fronte a questi calcoli, la nuova strategia “moderata†verso la Cina si capisce benissimo: sul Pacifico si parla di “rafforzare la presenza militare†e “dissuadere una aggressione su Taiwanâ€, ma la parola d’ordine non è più “contenere ad ogni costo†bensì scoraggiare senza farsi travolgere. E qui entra il resto del gioco: chiedere a Giappone, Corea del Sud, Australia, Taiwan di spendere molto di più in difesa, concedere più accesso a porti e basi, investire in capacità di interdizione. Nello stesso tempo, gli Stati Uniti spostano parte del proprio sforzo da un potenziale scontro diretto con la Cina a un uso più aggressivo della forza nell’emisfero occidentale: cartelli, Venezuela, Caraibi, traffici marittimi, con la USS Gerald Ford parcheggiata nella regione come biglietto da visita.

La “pace attraverso la forzaâ€, con questo quadro, significa soprattutto una cosa: non rischiare una guerra suicida contro potenze pari grado finché non è strettamente necessario, mentre si usano tutti gli altri strumenti – pressione economica, guerra ibrida, operazioni speciali, ricatto energetico e commerciale – per piegare nemici più deboli e tenere in riga i vassalli. I Marines possono fare i conti su quante decine di migliaia di cadaveri servirebbero su ogni isola, ma la società americana non è più quella che accettava Vietnam o Corea. Di conseguenza, la strategia reale è: evitare lo scontro frontale con Cina e Russia finché il costo potenziale è “inaccettabileâ€, scaricare le linee del fronte su europei, alleati asiatici e paesi ribelli del Sud globale, e nel frattempo blindare il proprio spazio vitale continentale con muro, droni, navi, “forza letale†e retorica anti-migratoria.

Alla fine, il quadro è tutto fuorché pacifista o “isolazionistaâ€. La nuova dottrina non riduce il raggio del potere americano: lo ridisegna. L’Europa viene dipinta come un continente in caduta libera, utile solo finché comprerà armi, gas liquefatto e narrativa atlantica. Il Medio Oriente viene dichiarato “finalmente non dominanteâ€, salvo poi continuare a trascinare Washington dentro crisi permanenti. L’America Latina torna ufficialmente a essere il cortile di casa, con un Corollario Monroe aggiornato per giustificare interventi, attacchi ai cartelli e nuove avventure contro governi ostili come quello di Maduro. E nel Pacifico si fa finta di spingere fino allo scontro decisivo con Pechino, mentre i documenti interni ammettono che una guerra vera sarebbe un disastro di proporzioni politicamente ingestibili.

In questo quadro, la frase di Hegseth sulla fiducia dei genitori suona quasi grottesca: si chiede a madri e padri non solo di finanziare il “più grande esercito del mondoâ€, ma di benedire un sistema in cui il calcolo delle perdite è già pronto a margine di ogni slide. La retorica ufficiale parla di difendere lo “stile di vita americano†da migrazione, cartelli e potenze ostili; la pratica concreta indica un impero che ha capito di non poter più dettare legge ovunque senza pagare un prezzo insostenibile e che, di conseguenza, sposta la pressione sui più deboli e sugli alleati, mentre finge di onorare il sacrificio di chi, alla fine, va a morire sulle isole-laboratorio del Pacifico o su qualche rotta di narcotraffico nel Mar dei Caraibi. L’ordine mondiale non è più quello di ieri, ma il trucco resta identico: cambiare manuale strategico, senza mai cambiare l’abitudine di usare gli altri come materiale di consumo.

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