È l’idea lanciata dal think tank Bruegel, uno dei più influenti della capitale europea, che potrebbe presto cominciare a circolare anche nelle stanze dei bottoni
L’Unione europea ha lanciato la corsa al riarmo, ma non tutti i Paesi membri sembrano determinati a investire di più per la difesa, come chiesto anche dagli Stati Uniti di Donald Trump. E per questo Bruxelles dovrebbe pensare di tassare questi Stati, in modo da usare i loro contributi per sostenere altre politiche chiave per l’Europa.
“Pur essendo politicamente sensibile, questa nuova risorsa sottolineerebbe l’impegno dell’Ue per la sicurezza collettiva”, e darebbe inoltre “ai Paesi dell’Ue un incentivo ad allinearsi all’obiettivo strategico comune di aumentare le capacità di difesa, distribuendo parzialmente i costi della spesa ai Paesi che spendono relativamente poco”, scrivono gli autori del paper.
Servono soldi
La proposta parte dalla constatazione del fatto che l’Ue ha bisogno di più risorse per finanziare la transizione verde, rilanciare la sua competitività e anche la restituzione del debito comune fatto per il fondo NextGenerationEU. Secondo gli autori del paper, servirebbe circa lo 0,9 per cento del reddito nazionale lordo (Rnl) in più, quasi raddoppiando l’attuale bilancio Ue in proporzione all’economia.
Ma visto che l’Ue non ha poteri fiscali propri, e le sue entrate dirette sono limitate e si limitano, ad esempio, alle entrate legate alle multe per le infrazioni, mentre la quasi totalità delle risorse proviene dai bilanci nazionali. Adesso gli autori propongono una nuova risorsa: un contributo legato alla spesa insufficiente in difesa da parte degli Stati membri.
Il piano per il riarmo Ue
La logica è semplice: tutti beneficiano della sicurezza in Europa, ma non tutti contribuiscono allo stesso modo alla sicurezza del blocco. Nel 2023, le spese militari andavano dallo 0,2 per cento del Pil in Irlanda al 3,1 per cento in Lettonia. Questa disparità genera un problema di “free-riding” (come direbbe Donald Trump), di “scrocco” da parte di alcuni Paesi che si avvantaggiano degli sforzi altrui.
Il contributo
Per questo si dovrebbe introdurre un “contributo per carenza di spesa in difesa”, calcolato in base alla distanza tra la spesa nazionale per la difesa e un valore di riferimento, valore che potrebbe essere la media Ue o una soglia fissa, ad esempio il 2 per cento del Pil come richiesto dalla Nato.
Solo i Paesi che spendono meno della soglia contribuirebbero. Secondo delle simulazioni fatte dal think tank, se si fissasse una soglia pari alla media Ue e un tasso di prelievo del 25 per cento, 13 Paesi contribuirebbero per 8 miliardi l’anno, se si scegliesse il 2 per cento del Pil, i contributi salirebbero a 30 miliardi da parte di 21 Paesi. Anche se questi calcoli sono fatti sulla spesa del 2023, che era molto più bassa, e quindi ora il contributo finale sarebbe minore, si parla comunque di un sacco di soldi.
Come funzionerebbe
Il tasso di prelievo del 25 per cento rappresenta la percentuale che verrebbe applicata alla differenza tra quanto un Paese spende per la difesa e la soglia di riferimento. In pratica, se uno Stato spende meno di quanto previsto, pagherebbe una sorta di contributo aggiuntivo al bilancio Ue, calcolato in base a quella differenza.
Se un Paese spende l’1,2 per cento del suo Pil in difesa, e la soglia è il 2 per cento, ha un “buco” dello 0,8 per cento. Su questo 0,8 si applicherebbe la tassa del 25 per cento, e il risultato sarebbe la cifra da versare all’Ue. Più un Paese è distante dalla soglia, più paga.
La soglia fissa ha il vantaggio di essere più netta (una volta raggiunta, si smette di pagare), mentre il confronto con la media Ue garantisce entrate continue, perché è improbabile che tutti convergano esattamente sullo stesso valore.
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