‘Procurato ingresso clandestino’, chiesta assoluzione per Nawal Soufi

Nawal Soufi

CATANIA, 22 MAR – Nel 2104 comprò alla stazione comprò dei biglietti del treno, diretto a Milano, ad alcuni migranti che siriani che erano sbarcati a Siracusa. Per questo la marocchina Nawal Soufi è stata denunciata ed è a processo a Catania per procurato ingresso clandestino, ma la Procura ha chiesto alla terza sezione penale del Tribunale di assolvere l’imputata. Alla richiesta si è unita la difesa, con l’avvocata Rosa Emanuela Lo Faro. I giudici hanno aggiornato l’udienza al prossimo 12 aprile per eventuali repliche e la successiva camera di consiglio.

“Anche la Procura di Catania – spiega la penalista – condivide la posizione di Nawal Soufi, impegnata da anni nel campo del sociale e nell’aiuto ai migranti. Anche l’accusa ha riconosciuto che lei aì nel suo ruolo di attivista sociale e che non aveva alcuno scopro di lucro, né diretto e né indiretto, quindi il fatto non sussiste. Abbiamo condiviso la richiesta della Procura, associandoci e chiedendo in subordine di riconoscere il comma 2 dell’articolo 12 del testo unico sull’immigrazione che afferma che ‘non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato'”.

Nell’estate del 2014 Nawal Soufi ricevette il premio ‘Donna di frontiera’, nell’ambito del festival internazionale del cinema di Frontiera di Marzamemi (Siracusa). La giovane attivista che vive a Catania dove è arrivata con i suoi genitori più di 30 anni fa è stata un punto di riferimento per i tanti migranti che approdano in Sicilia. (ANSA)

LA VICENDA – MAGGIO 2017

(https://www.ilgiornale.it) – Il suo sistema è collaudato: gli immigrati la chiamano col telefono satellitare fornitogli dai trafficanti, lei raccoglie le coordinate e le comunica alla Guardia Costiera italiana. Che a quel punto, ricevuta notizia di naufragio, non può far altro che intervenire. Trentenne di origine marocchina che vive a Catania, una foto la ritrae in riva al mare col cellulare all’orecchio per rassicurare chi ha affidato la propria vita al mare. Un riassunto visivo delle sue lotte. “Nel 2013 ho trovato famiglie intere di migranti alla stazione di Catania – ha più volte raccontato – Sono scesa, ho parlato con loro ed è iniziato tutto”. Qualcuno ha caricato il suo recapito su Facebook e da allora sono arrivate valanghe di telefonate.

Pluri-premiata, coccolata dai media, criticata (da pochi). Nel 2016 è stata celebrata dal Parlamento Europeo come Cittadino Europeo dell’anno. Poco prima aveva ricevuto il Premio Volontariato Internazionale Focsiv. La casa editrice Paoline le ha dedicato un libro intitolato, non a caso, “Nawal, l’angelo dei profughi”. Una meraviglia.

Peccato non sia tutto oro quel che luccica. Schierata da tempo con la resistenza dei ribelli in Siria (non certo famosi per simpatie democratiche), ha partecipato a manifestazioni anti-Assad come Greta e Vanessa, le due cooperanti catturate in Siria e liberate grazie ai soldi dei contribuenti italiani.

Nawal Soufi

Ma non solo. Perché “Lady Sos” è stata tirata in ballo direttamente da un trafficante di uomini, che ai microfoni di Piazza Pulita l’ha presentata come il contatto utilizzato per portare a buon fine la tratta di migranti. Al cronista Fateh Ali, che fingeva di voler spedire la famiglia in Italia e chiedeva informazioni sulle condizioni di viaggio, il criminale libico confessa: “Tranquillo, lo scafista ha una bussola, un Gps e il telefono satellitare. Ha anche il numero della signora Nawal, che lavora per una Ong italiana. La contatta dalla barca e le fornisce le coordinate, così lei avvisa la Guardia Costiera”. La donna conosce lo scafista? “Sì – risponde il trafficante – Quando lei riceve una chiamata dal satellitare sa che è gente che si trova in mezzo al mare”. Così “contatta quelli di Medici Senza Frontiere che prendono le coordinate e vanno verso il barcone”.

“Lady Sos” ovviamente nega di sapere che dall’altra parte della cornetta ci siano scafisti. “Il mio numero di telefono è pubblico”, dice. Ed è vero: su Facebook si trovano tutti i riferimenti: numero, e-mail, recapiti e pure l’Iban per fare le donazioni. “Non ho mai ricevuto una chiamata da una persona che mi dice: pronto, sono uno scafista e ti sto dando le coordinate”, ha provato a difendersi. E ci mancherebbe che il ladro dichiari di essere un bandito. Lei comunque si dice tranquilla perché a suo dire ha il cellulare “sotto controllo”.

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