Rider, inchiesta: che cosa hanno scoperto i carabinieri

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Per i rider, lo stato di estrema necessità è uno dei sintomi del livello di sfruttamento. La maggior parte di questi lavoratori per 3 euro a consegna si sottoponevano a un sacrificio notevole a fronte di una totale assenza di garanzie previste. Un carico di lavoro grave rispetto a un margine di guadagno quasi totalmente a vantaggio del datore di lavoro

di Antonio Amorosi – Nella maxi indagine sui rider, quelli che in bici fanno consegne a domicilio, di tutta Italia, c’è un’operazione dei Carabinieri del Nucleo Tutela Lavoro che il 29 maggio scorso in 5 ore, dalle 18.00 alle 23.00, hanno “intervistato” con un questionario da hoc ben 1049 rider in tutto il Paese: un’indagine a tappeto, da nord a sud e in pochissime ore.

Una volta le “interviste” ai lavoratori sfruttati, per capire le loro condizioni e rivendicare migliori condizioni, le facevano i sindacati, ora le fanno i carabinieri che grazie alla loro ramificazione e all’insediamento territoriale riescono a intervenire in tempo reale. E’ quanto emerge scavando sotto la superficie della maxi inchiesta che ha presentato numerose contestazioni della pm Maura Ripamonti e del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano alle piattaforme di food delivery. Sul caso è intervenuto anche il procuratore capo di Milano Francesco Greco: “Non è più il tempo di dire sono schiavi, è il tempo di dire che sono cittadini che hanno bisogno di una tutela giuridica”.

Sono stati notificati a UberEat, Glovo-Foodinho, JustEat e Deliveroo verbali in base ai quali dovranno regolarizzare, in 90 giorni, tutto il settore dei fattorini, 60.000 persone, configurandoli come lavoratori subordinati. Altrimenti riceveranno multe per 733 milioni di euro per violazione di norme sulla sicurezza.

Risultano indagate 6 persone tra amministratori delegati, legali rappresentanti o delegati per la sicurezza delle società.

Per entrare nell’indagine Affari ha intervistato il Comandante dei Carabinieri del Nucleo Tutela Lavoro, il Generale Gerardo Iorio.

Rider e sfruttamento senza garanzie

Come nasce il caso?”

“La vicenda parte da alcuni contenziosi in seguito a degli infortuni sul lavoro dei rider. Sono lavoratori che non hanno alcuna garanzia né dal punto di vista assicurativo né di inquadramento salariale, né della salute né della sicurezza sul lavoro. Tra gli obblighi del datore di lavoro per i lavoratori subordinati, durante la pandemia, c’è quello quello di fornire i dispositivi di protezione individuale. E poi ci sono tutti gli obblighi che sussistono nel momento in cui esiste un rapporto di lavoro subordinato, con gli oneri che ne derivano dal punto di vista organizzativo”.

Ma i rider in Italia sono configurati come lavoratori autonomi, come fossero lavoratori occasionali o no?”

“Certo, l’inquadramento come lavoratore autonomo e quindi come part-time non pone tutta una serie di oneri a carico del datore di lavoro. I rider accedono ad una piattaforma e decidono come mettersi a disposizione dell’azienda, cioè in che zona lavorare. Ma il datore di lavoro dà un punteggio e sceglie anche chi far lavorare. Rispetto a questo quadro, in questo anno di pandemia si è posto anche il problema ulteriore di chi mette a disposizione dei lavoratori i sistemi di protezione”

E chi li metteva a disposizione?”

“Di sicuro non l’impresa. Poi sono partiti i primi ricorsi al giudice del lavoro, fino a quando la Cassazione con una sentenza ha detto che l’inquadramento di questa tipologia di lavoro è da considerarsi come subordinato”.

E cosa avete fatto?”

“D’intesa con la Procura di Milano ci siamo potuti rendere conto di quale fosse il quadro complessivo, in ambito nazionale, pianificando un controllo contestuale in 5 ore su tutto il territorio, capitalizzando le competenze specialistiche del Nucleo Tutela Lavoro con la capillarità sul territorio di tutta l’Arma dei Carabinieri. Abbiamo fermato i rider e fatto 1049 interviste”.

Cosa è venuto fuori?”

L’esame di queste interviste, con un formulario e quesiti alla mano, ha portato a ritenere che tutte le piattaforme utilizzassero questi rider a regime subordinato, con notevoli introiti a fronte di costi irrisori e nessuna assicurazione in caso di incidenti. Da lì ci siamo resi conto del quadro complessivo che andava effettivamente nella direzione anche segnalata dalle organizzazioni sindacali. L’indagine ha mostrato un panorama uniforme su tutto il territorio nazionale”.

A quel punto?

“Avendo contezza che il problema esiste sotto il profilo giuslavoristico abbiamo chiesto a tutte le piattaforme di fornirci le posizioni di inquadramento di tutti i rider d’Italia, circa 60.000. L’Arma dei Carabinieri ha fatto l’esame della documentazione che è stata poi sottoposta alla Procura della Repubblica di Milano, la quale ha determinato la prescrizione prevista per i datori di lavoro che sono delle piattaforme”.

E’ una grande novità per questo settore ma che guarda a tutti i lavoratori subordinati che vengono camuffati da lavoratori autonomi…”

“Si. Nel caso specifico abbiamo notificato l’obbligo di procedere alla riqualificazione del rapporto di lavoro, cioè i lavoratori devono essere assunti come lavoratori dipendenti e quindi avere i dispositivi di protezione individuale, l’assicurazione, la previdenza, condizioni salariale adeguate e quant’altro. Qualora le piattaforme pensassero di non ottemperare alle sanzioni previste, che sono di 733 milioni di euro per tutti i 60.000 lavoratori, dovranno andare a dibattimento aspettando la decisione da parte del giudice di quale sia l’ammenda”.

Cosa l’ha colpita di più?”

“Lo stato di estrema necessità che è uno dei sintomi del livello di sfruttamento. La maggior parte di questi lavoratori per 3 euro a consegna si sottoponevano a un sacrificio notevole a fronte di una totale assenza di garanzie previste. Un carico di lavoro grave rispetto a un margine di guadagno quasi totalmente a vantaggio del datore di lavoro che oltretutto è una piattaforma che impone tutta una serie di regolamenti e sceglie chi far lavorare e chi no, a seconda delle prestazioni fornite”.

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