L’antica saga tutta italiana degli Ordini Professionali

Il giornalista cattolico e saggista Maurizio Scandurra sottolinea il rischio di un uso strumentale dei provvedimenti sanzionatori delle varie commissioni disciplinari interne agli albi.

 Gli italiani hanno scoperto un’arma nuova: i Consigli di Disciplina degli Ordini Professionali. Architetti, geometri, periti, medici, giornalisti, ingegneri e avvocati: tutti a giudizio, nessuno escluso. Almeno in potenza, se non proprio in atto, per dirla con il saggio Aristotele. Ma da chi, poi? Da colleghi più o meno autorevoli cui è demandato il compito di approfondire, verificare, ed eventualmente sanzionare, le condotte professionali di terzi appartenenti alla medesima categoria.

Con l’avvento dell’era digitale, di internet, e con l’affermarsi del moderno concetto di ‘web reputation’, ecco che chiunque abbia conseguito titoli e abilitazione per accedere a un mestiere per cui è prevista di legge l’iscrizione a un albo, rischia di vedersi deferito, oltre a quelli della magistratura ordinaria, a un altro tipo di tribunale: il ‘collegio giudicante’ dei ‘probiviri’ (che, spesso e volentieri, poi tali non sono), detentori (per mero principio elettivo soggetto a rotazione pluriennale) dei canoni di fedeltà e adempimento ai dettami della deontologia di cui dovrebbero essere custodi.

Oggi, chiunque può richiedere l’avvio di un procedimento disciplinare a carico di un professionista, indipendentemente dalla professione svolta, anche semplicemente per dare fastidio. Per fini strumentali legati a interessi di parte o di partito. E cercare così di alterarne – agli occhi dell’opinione pubblica – la percezione positiva e il valore di mercato. Di farne crollare il buon nome e la posizione acquisita. L’invidia è una brutta bestia, specie per chi nella vita non ce l’ha fatta mai.

Con il pericolo che la vacuità inconsistente (il famoso “fumo e niente arrosto” di popolare tradizione) degli esposti presentati li classifichi di fatto nulli nella sostanza (e, spesso, anche nella forma), costituendo però una palese seccatura – con tanto di aggravio di costi – per l’eventuale, potenziale ‘imputato’. Che deve spesso e volentieri nominare un legale difensore, noché perdere una marea di tempo prezioso come neanche le anime infernali in attesa innanzi al fluviale, dantesco traghettator Caronte.

Perché, spesso, ‘l’arma dell’esposto’ si rivela meramente un pretesto per ostacolare l’azione di un professionista capace ritenuto scomodo: che, il più delle volte, ne esce nel peggiore dei casi semplicemente ‘ammonito’, senza conseguenze di altro tipo alcune, pronto a riprendere normalmente la propria consuetudinale, giornaliera attività.

Perché vale anche qui la regola del ‘cane mangia cane’. La falla principale dei consigli disciplinari sta proprio nel fatto che non v’è differenza alcuna tra il giudicante e il giudicato: appartengono tutti alla medesima categoria, e spesso e volentieri sono anche in concorrenza nel normale gioco a scacchi fatto di promozioni e avanzamenti di grado.

E chi prima giudicò, per il famoso e indiscutibile teorema della ‘ruota che gira’, un domani potrebbe vedersi giudicato a sua volta. Il contrappasso colpisce già in terra, per restare in metafora. La verità è che, a meno di fatti gravemente pesanti e conclamati di pubblico dominio, nessuno ha poi in fondo voglia di farsi dei nemici, specialmente fra i propri simili.

Nel corso della mia carriera, mi è capitato spesso di affiancare come consulente di comunicazione svariati prestigiosi studi legali cui si sono rivolti in qualità di clienti molteplici professionalità provenienti da vari campi: ‘ree’, secondo l’accusa, di aver detto parzialmente o totalmente il falso. Di aver operato eludendo i basilari principi deontologici dei mestieri per cui è previsto un albo.

Fatti poi per lo più archiviati grazie al ricorso a poderose memorie istruttorie, risoltisi senza effetti né strascichi per gli accusati, con buona pace dei “professionisti della mistificazione”, come suol ripetere spesso il Direttore di ImolaOggi.it Armando Manocchia.

Sul cui sito d’informazione apprendo con stupore la vicenda del giornalista Aldo Grandi, Direttore della ‘Gazzetta di Lucca’ (cui va tutta la mia personale solidarietà umana e professionale), che non conosco ma apprezzo quale autorevole scrittore e saggista, nei confronti del quale pare essere in atto una particolare e ricorrente attenzione da parte dell’Ordine dei Giornalisti.

Celebre anche la vicenda che ai primi di novembre scorso ha avuto per protagonista lo stimato Direttore Mario Giordano, la cui unica colpa sembrerebbe quella di aver dato voce in tv al Direttore Vittorio Feltri, uno che in fatto di opinioni la sa lunga ed è altrettanto imprevedibile proprio perché per natura ‘Fuori dal Coro’. Tutti Direttori al momento giudicati da non-direttori o aspiranti tali. Ma vi pare?

Aleggia ricorrente, su certi colleghi spesso e volentieri non allineati con il diktat governativo e tutto l’indotto asservito che gli gravita attorno, informazione inclusa, proprio perché titolari dell’insopprimibile diritto di cronaca e critica, uno spettro sibillino che si chiama bavaglio: lo stesso che, mi domando, non vedo mai volteggiare minaccioso (specialmente in questa rossa, rossa, rossa epoca) attorno invece alle teste pensanti di certa stampa vicina all’attuale Esecutivo populista, per la quale si sprecano invece elogi, consensi, cariche e approvazione. Chi ha orecchie per intendere, intenda.

Maurizio Scandurra

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