Michael Sfaradi (Tel Aviv Journalists Association): intervista al prof. Meluzzi

Alessandro Meluzzi è nato a Napoli nel 1955, psichiatra, criminologo, saggista, accademico e politico italiano, è stato eletto deputato per Forza Italia nel 1994 e senatore nel 1996. Si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Torino, dove si è poi specializzato in Psichiatria. Ha lavorato come ricercatore presso il laboratorio del neurofisiologo Henri Laborit all’Hôpital Boucicaut e all’Istituto Pasteur di Parigi. Ha inoltre conseguito il baccellierato in Filosofia presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma.

Intervista di Michael Sfaradi giornalista iscritto alla Tel Aviv Journalists Association.

Professore, il suo Twitt con la fotografia dell’entrata di Auschwitz con la scritta ‘Andrà tutto bene’ al posto de ‘Il lavoro rende liberi’, foto che è rimasta online per diverse ore, oltre al commento dell’Auschwitz Memorial “Certe cose feriscono le persone. È irrispettoso”, ha scatenato la sottosegretaria del PD Alessia Morani che ha invocato il suo oscuramento su Twitter e anche l’Onorevole Emanuele Fiano che non ci è andato leggero e ha dichiarato: “Utilizzare il simbolo della fabbrica di morte per pura propaganda politica a me fa schifo”. Non era il caso di riflettere un secondo in più prima di mettere in rete un’immagine che è un nervo scoperto nella popolazione ebraica di tutto il mondo?

La memoria di un martirio non ne rende inutilizzabile il ricordo di fronte alla contemplazione di un altro martirio. Un po’ come se la parola ‘martiri’ del Risorgimento dovesse offendere i martiri delle persecuzioni degli imperatori romani. Un po’ come se quella statua del dio pagano Moloch, posizionata dentro il Colosseo, offendesse -e forse l’offende- la memoria di coloro che sono stati martirizzati nel nome della croce sulle sabbie di quell’arena di fronte alle divinità pagane. È chiaro che l’orrore fa parte della storia, di una Storia specifica, ma appartiene in generale all’universalità dell’umanità, esattamente come la falsificazione di quel ‘lavoro rende liberi’ che guarda ad altre mille falsificazioni, ora rassicuranti, ora fuorvianti, ora manipolanti, che gli orrori dei totalitarismi di ogni epoca, prima e dopo il nazismo, hanno prodotto. È pur vero che ogni martirio di giusti ha una sua specificità inesauribile e c’è forse qualche martirio che è più martirio di tutti gli altri. Da questo punto di vista è il mio modo di visitare con devozione e rispetto quello straordinario Yad Vashem, custode della memoria, nella meravigliosa terra di Israele, sacra a Dio e agli uomini. Così come il martirio del popolo eletto è monito di fronte al rapporto tra l’uomo e Dio, come molte scuole rabbiniche hanno saputo porre in luce anche di fronte ad una riflessione teologica, è pur vero che altri martiri hanno tratto anche la capacità di essere interpretati nella dimensione del loro senso nella storia di fronte alle vicende tragiche di tempi recenti e meno recenti. Penso al martirio degli Armeni in Turchia o quello dei Cambogiani all’epica del Pol Pot. Per non parlare dei campi di deportazione staliniani e all’eliminazione dei Culacchi come classe e agli orrori dei campi di rieducazione cinesi e vietnamiti nell’era del comunismo più rampante. Di fronte all’orrore del martirio e della violenza, il monito della Shoah grida la propria unicità e specificità ed è sacrosanto, quindi, che qualcuno abbia potuto sentirsi toccato o offeso da un’immagine che voleva avere invece il significato di monito. Dobbiamo ricordare che il tempo de ‘il lavoro rende liberi’ come falsificazione di fronte alla verità non è mai finito. Anzi, assume di volta in volta forme più melliflue o più aggressive che nascondono sempre la distruzione del giusto e dell’innocente di fronte alla protervia di chi lo vuole utilizzare nel nome della forza e della potenza dei pochi sui tanti.

Posso dirle con l’assoluta certezza di non essere smentito, che l’uso di immagini che riguardano la Shoah per altre situazioni che non hanno nulla a che fare con la lucida pazzia nazista, non è accettato da nessun ebreo. Non crede che questo continuo associare la ‘soluzione finale’ del popolo ebraico ad altre situazioni, per quanto tragiche e importanti possano essere, alla fine svilisca la gravità dei campi di sterminio e del massacro industriale?

Se qualcuno è stato offeso da questo accostamento che non voleva, certo, sminuire l’immagine sacra di Auschwitz ma, semmai, illuminarla di un senso pedagogico per il presente e il futuro, me ne scuso. L’intenzione era esattamente l’opposto di quella che qualcuno ha voluto malevolmente leggervi. Non sminuire ma, semmai, esaltare/attualizzare/rendere presente. È pur vero che la Shoah ha fatto 6 milioni di morti ma è anche vero che molti altri milioni di morti nel mondo sono stati fatti da una violenza che ha avuto in quello nazista il suo modello. Ne ho già citati alcuni. Quanto all’accostamento con il nostro tempo presente e alla pandemia, voglio ricordare che il milione di morti, già prodotto nel mondo da un virus realizzato in un laboratorio in Cina che dichiara di non avere né conseguenze virologiche né politiche, può suscitare in molti liberi cittadini una sacrosanta ribellione. Una ribellione contro qualcosa che viene da una terra dove la libertà e i diritti civili sono frequentemente negati. Un virus che ha cambiato per sempre i nostri stili di vita e le nostre società. Come si può chiamare negazionista me che ho denunciato prima di tutti la pericolosità dei mezzi pubblici per il sistema di areazione tanto da rinunciare io stesso ai trasporti con aria condizionata contingentata? Come si può chiamare negazionista me che ho gridato fin dall’inizio a quali sarebbero state le conseguenze tragiche e terribili di una sottovalutazione di un morbo che si annunciava terribile non solo per i vasi sanguigni polmonari ma anche per i nostri rapporti interpersonali? Insomma, una psico-info-pandemia che si è abbattuta sul mondo come tanti altri orrori che la Storia umana ha prodotto di fronte al silenzio, all’indifferenza, alla rimozione o alla pura ritualizzazione celebrativa di eventi che devono sempre serbare un monito, capace di attualizzarsi di fronte ad ogni presente tragico e drammatico.

Lei è uno psichiatra, per cui meglio di chiunque altro può fare chiarezza su un punto che in molti nelle comunità ebraiche europee ritengono importante. Secondo lei l’uso continuo e improprio della Shoah, il suo Twitt è solo uno dei tanti esempi, può dare, in maniera palese o subliminale, forza e credito a coloro che desiderano ridimensionare ciò che accadde alla popolazione ebraica europea durante la Seconda guerra mondiale? O peggio, il continuo citare la Shoah senza il rispetto che si deve alle vittime, può dare forza ai negazionisti?

Ribadisco ancora che, se ho offeso la sensibilità di coloro che hanno perso qualcuno dei loro cari o sono stati feriti dalla tragedia della Shoah, ne chiedo umilmente perdono. Ma voglio ancora sottolineare, però, che questo termine ‘shoah’ anche nel dibattito teologico nel mondo ebraico assume da una parte un significato universale che riguarda condizione generale del popolo eletto di fronte al suo Dio ma dall’altra anche la dimensione dell’umano nelle sue molteplici angolazioni. Un popolo, quello ebraico, rispetto al quale è stata tentata un’eliminazione industriale, feroce e unica nella Storia. Questa è la Shoah pronunciata con la ‘s’ maiuscola che non va mai dimenticata/sminuita, rispetto alla quale l’esercizio della memoria rappresenta non soltanto un elemento di conservazione e di monito ma anche di una continua pedagogia sui valori universali dell’umano e della difesa della vita contro ogni violenza o sopraffazione, di cui quest’atto storico è stato l’esempio culmine, totale e satanico. Ma esistono tante situazioni che possono essere illuminate da queste esperienze e che gli assomigliano. Ne ho già citate alcune. Oggi noi assistiamo inesorabilmente alla tragica distruzione di un mondo occidentale, giudaico-cristiano, liberale, illuminista, in cui siamo cresciuti. Questo avviene per uno strano combinato in cui si mescolano fatti naturali con fatti artificiali. È già morto un milione di esseri umani, soprattutto Europei, Nord Americani e Latino Americani, di fronte al Covid19 e agli errori con i quali governi e scienziati hanno fronteggiato la pandemia. Gli effetti non sono solo quelli relativi alla malattia e alla morte ma anche quelli che riguardano l’economia, la civiltà, i diritti costituzionali, l’educazione e la psichiatria. Certo, questo non è paragonabile alla Shoah e il mio accostamento può essere apparso irriverente. Credetemi, voleva essere l’amplificazione dell’insegnamento che ci viene da quella tragedia affinché nuove tragedie, anche se diverse, non debbano ulteriormente ferire un’umanità che già molte volte ha sfiorato la catastrofe. Ciò detto, ritengo che la lezione che ci viene eternamente dal mondo ebraico debba essere un tesoro prezioso che come una luce non si limita ad illuminare se stessa. Come dice Gesù, non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio ma sul candelabro per illuminare tutti coloro che sono nella casa. Credo che la luce della menorah, che illumina la via degli uomini sul cammino della ricerca della Terra Promessa, appartenga alla stessa energia divina.

Intervista a cura di Michael Sfaradi giornalista professionista iscritto alla Tel Aviv Journalists Association.

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