I grillini stanno scontando la cieca idolatria per la magistratura

di colonnello Salvino Paternò

Per far chiarezza sulla mozione di sfiducia al ministro della giustizia, è necessario scindere le due vicende oggetto di animate discussioni: la querelle tra Bonafede e Di Matteo e la scarcerazione di quasi 400 mafiosi.
La prima storia è irrilevante. L’inviperito e tardivo j’accuse del magistrato, fino ad ieri “amico” dei pentastellati, è probabilmente il frutto avvelenato di un malcelato risentimento nei confronti del ministro, reo di averlo scartato alla guida del DAP per ben due volte: la prima per avergli preferito Basentini, la seconda per averlo ignorato dopo le dimissioni di quest’ultimo.

Quando arrivai in Campania, un saggio Appuntato (che mi insegnò tutto quello che non avevo imparato in anni di Scuola e Accademia) mi disse: “Il magistrato è un amico inutile ed un nemico pericolosissimo”. Imparai subito la lezione, ora finalmente la stanno imparando anche i grillini al governo, scontando amaramente la cieca idolatria per la magistratura.
A tal proposito, più che chiedersi per quale motivo Bonafede abbia scartato l’eroico Di Matteo, sarebbe interessante domandarsi perché al suo posto ha nominato lo sconosciutissimo Basentini? Non sono certo le doti professionali, il curriculum e tantomeno i meriti ad averne indirizzato la scelta. Temo che la decisione sia stata dettata dalla logica deleteria che antepone alla meritocrazia l’etica degli “amici degli amici”. Un codice odioso che vige inalterato e nessuna blaterata rivoluzione morale è mai riuscita a scalfire.

La seconda vicenda è, invece, di una gravità incommensurabile. Con la giustificazione del virus, si sono spalancate le porte del carcere per centinaia e centinaia di pericolosi mafiosi, efferati assassini e infidi trafficanti.
E la cosa più ripugnante è che ciò è avvenuto dinanzi a giornalisti sonnacchiosi e opinionisti antimafia distratti. Insomma, ognuno ha girato la faccia dall’altra parte. Il che è deplorevole, ma forse meno indigesto di chi la faccia ce l’ha messa, esibendola in tutta la sua “deretaniformità”, per asserire addirittura che la scarcerazione è una vittoria dello stato (saviano docet).

Ora, dinanzi a tale scandalo atroce che urla vendetta da parte delle vittime della mafia e di chi la mafia l’ha veramente combattuta e non solo chiacchierata, ci si chiede: Bonafede poteva impedire tale scempio?
Se la risposta è no, allora non c’è motivo che debba dimettersi. Ma se la risposta è affermativa, le dimissioni sono obbligatorie.
Il ministro, contando sul silenzio della stampa, magicamente addolcitasi dopo l’alleanza con il PD, è stato immobile ed in silenzio per settimane. Ora che finalmente lo scandalo è deflagrato in tutta la sua orrenda dimensione si difende asserendo che si trattava di decisioni prese dai giudici nella sfera della loro autonomia ed indipendenza e sulla base di norme preesistenti. Quindi nulla avrebbe potuto fare per impedirlo.

…Ma è veramente così?

In primis c’è da evidenziare che, se è pur vero che le scarcerazioni dei mafiosi erano precluse dal decreto governativo sull’emergenza covid, è altrettanto vero che le decisioni sono state inevitabilmente condizionate da una circolare del DAP (alle dirette dipendenze del ministro) che indicava i mafiosi poi scarcerati quali soggetti a rischio letale.
Ma sono i traballanti passi successivi del ministro ad essere dirimenti. Bonafede, infatti, dopo che i buoi sono scappati dalle stalle, di fatto ha limitato i poteri dei magistrati di sorveglianza stabilendo che le loro decisioni sulle scarcerazioni dovranno passare sia per la Procura nazionale Antimafia, sia dalle singole Procure distrettuali. Subito dopo, ha annunciato un iperbolico decreto legge che permetterà di rivalutare i presupposti che hanno dato luogo alle scarcerazioni, rispendendo così in carcere i mafiosi.
Fatto sta che l’emorragia si è fermata e, da quando il ministro si è attivato, non si ha più notizia di ulteriori mafiosi ai domiciliari.

E allora sì che si poteva fare qualcosa prima di liberare i criminali, non è vero che il ministro altro non poteva fare che rimanere inerme.
Per quale motivo allora non si è mosso prima?
No, non penso affatto che l’inerzia sia dovuta ad una complicità con la mafia. Penso piuttosto che sia stata l’inettitudine, la pavidità e soprattutto il timore reverenziale nei confronti della nostra magistratura onnipotente, intoccabile, inviolabile ed infallibile ad aver legato le mani al ministro.

Quell’Appuntato di cui vi ho parlato mi diceva anche: “Bisogna stare attenti agli scemi, perché sono più pericolosi dei cattivi. Il cattivo ha la sua logica perversa e ne puoi anticipare le mosse, lo scemo è imprevedibile e non puoi predire i danni che farà”.

Ecco, io non ritengo assolutamente che Bonafede sia cattivo…

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