Adeguare le norme o le forze dell’ordine continueranno ad andare al massacro

di Colonnello Salvino Paternò

Stante il proliferare di soloni ed esperti criminalisti del bar dello sport che continuano ad accusare le forze dell’ordine di lassismo ed impreparazione in relazione ai tristi avvenimenti di Trieste, vorrei tentare di far intuire, sulla base delle norme vigenti, in che condizioni sono costrette ad operare.
E voglio riferirmi in particolare all’uso delle manette che sino a qualche giorno fa gli opinionisti illuminati ritenevano deprecabile e oggi, invece, imputano agli agenti operanti l’errore di non averle usate.
Eh già, se l’assassino fosse stato ammanettato non sarebbe riuscito a trucidare i due poliziotti, né tantomeno a tentare di commettere una strage. Peccato che nel caso di specie l’uso delle manette fosse CATEGORICAMENTE VIETATO dalla legge.

L’unico articolo, infatti, che parla delle manette, senza neanche il coraggio chiamarle con il loro nome e usando il più edulcorato termine di “mezzi di coercizione fisica”, è l’art 53 del codice penale. In base a tale norma “non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso di mezzi di coercizione fisica, quando vi è COSTRETTO dalla necessità di respingere una VIOLENZA o di vincere una RESISTENZA”.
Questo significa che se la persona che, per qualsiasi motivo, entra in contatto con la polizia giudiziaria non mette in atto alcuna azione violenta, né tantomeno oppone resistenza (come nel caso di Trieste), non c’è alcuna possibilità di ammanettarlo. Semmai lo facessero, il solerte magistrato di turno si attiverebbe, più veloce della luce, per mettere gli agenti sotto processo con l’accusa di abuso d’autorità.

Vabbè, dirà qualcuno di voi, ma in caso di arresto le manette sono obbligatorie. Sì… come no?
In primis specifichiamo che l’assassino di Trieste, nel momento in cui è stato avvicinato dagli agenti non era, e non sarebbe mai potuto essere, dichiarato in stato di arresto.
Eh già, perché la condizione necessaria per arrestare un delinquente è coglierlo in stato di flagranza, cioè nell’atto di commettere il fatto. Nel caso in questione, il sospettato aveva illecitamente sottratto il ciclomotore ore prima, per cui la flagranza era bella e che sfumata.
Non sarebbe neanche stato possibile sottoporlo a Fermo di Polizia Giudiziaria, poiché il presupposto fondamentale per procedere a tale intervento limitativo della libertà personale, che si attua fuori dai casi di flagranza, è il fondato pericolo di fuga. Mi spiegate come si sarebbe potuto dimostrare al solerte magistrato che c’era un fondato pericolo di fuga in una persona che volontariamente e senza alcuna resistenza viene in questura per sottoporsi agli accertamenti?
Ma, pur presupponendo che c’erano (ma non c’erano!) i presupposti per arrestarlo o fermarlo, neanche in quel caso l’uso delle manette sarebbe stato automatico.

La legge 26 luglio 1975, n. 354 (con relative e immancabili modifiche) sostanzialmente sancisce che per tradurre (leggasi: trasportare) l’arrestato è consentito l’uso delle manette solo quando lo richiedono la PERICOLOSITÀ del soggetto, o il PERICOLO DI FUGA. In tutti gli altri casi l’uso delle manette ai polsi E’ VIETATO.
Quindi, solo l’arrestato ritenuto “pericoloso”, o che si ritiene possa scappare, può essere ammanettato. Ma sia ben chiaro che tale valutazione deve essere fatta sulla base di elementi concreti, e non sulla sola percezione degli agenti operanti.
Un soggetto lo si può definire “pericoloso” solo se vanta numerosi precedenti penali o è sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza. Parimenti, si può ritenere un arrestato a rischio fuga, solo se mette in atto specifici atteggiamenti che denotano tale intenzione. In assenza di tali presupposti, il solerte magistrato se ne fa un baffo delle percezioni sensoriali dei poliziotti e apre seduta stante un fascicolo nei loro confronti con l’accusa di “abuso di autorità contro arrestati o detenuti”. E se ne sbatte allegramente se nelle fasi concitate dell’arresto in flagranza non c’era materialmente il tempo per controllare il curriculum del soggetto, anzi, se si trattava di extracomunitari, non c’era neanche il tempo di conoscere le loro vere generalità.

Considerate, infine, che tali valutazioni (soggetto pericoloso, pericolo di fuga, atteggiamenti tali da poter essere definiti violenti o di resistenza) spesso devono essere effettuate in pochi secondi, sulla strada, in condizioni di stress, con l’ansia di sbagliare. E lo sbaglio se ti va bene ti trascina quale imputato davanti al solerte magistrato, se ti va male ti sprofonda sotto terra.

C’è da invidiare eccome i poliziotti americani! Negli Stati Uniti, infatti, l’utilizzo delle manette è obbligatorio in tutti i casi in cui una persona (senza distinzione di sesso o di età) venga fermata per qualsiasi motivo dalle forze dell’ordine.

Per cui, invece di sproloquiare su questioni sconosciute, sarebbe il caso di informarsi, e i legislatori, invece di commemorare commossi i morti, dovrebbero prendere atto che, a causa delle loro politiche dissennate, la situazione della sicurezza pubblica sulle strade è radicalmente mutata. Se le norme non si adeguano alla realtà, le forze dell’ordine continueranno ad andare al massacro annunciato… e noi dovremo continuare a sorbirci chiacchiere tanto inutili, quanto ridicole.

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