Ma vaffanculo!

di Aldo Grandi

Noi vogliamo vivere diversamente scrivono su facebook i giovani sognatori e arrabbiati del Palazzo che brucia. Ci viene in mente la canzone del 1979 che Franco Fanigliulo portò a Sanremo con il titolo A me piace vivere alla grande. Differenza fondamentale è che il compianto cantautore spezzino, morto per un’emorragia cerebrale a soli 45 anni, la vita se la viveva da sé senza rompere i coglioni a nessuno e, anzi, allietando le altrui esistenze. Questi, invece, questi che, scritto sempre su facebook, sarebbero trecento, ma tutt’altro che forti anche se giovani, altro di meglio da fare, nelle loro vite se non ribellarsi e desiderare l’indesiderabile. Farebbero tenerezza se non fosse che, presto o tardi, finiranno per distruggere la propria vita e, nel peggiore e probabile dei casi, anche quella degli altri.

Per noi l’azione politica non è un passatempo né tantomeno volontariato o questione di consenso, ma l’impegno diretto di un gruppo di persone per costruire un’alternativa, una forma altra di vivere, in cui non vigano leggi di proprietà e mercato. Continua, così, il post su Fb, delirante e lontano mille miglia dalla realtà, una realtà che può non essere gradita a questi giovani che si sono foderati gli occhi e il cervello con prosciutto nemmeno dop e hanno preferito immaginarsi un mondo inesistente che vive solamente nelle loro fantasie.

Sono quasi tutti giovanissimi e non hanno ancora compreso che la vita, cari ragazzi, figli non miei, ma egualmente marxisti immaginari, non è una corsa di velocità, ma di resistenza dove vince non chi arriva prima, ma chi corre più a lungo. Pensano, questi sciocchi coccolati e coltivati dai sostenitori prezzolati del Pensiero Unico Dominante a 12 mila euro al mese seduti con il culo sulle belle poltrone di Montecitorio e Palazzo Madama, che la felicità sia un diritto e non una conquista, effimera tra l’altro e di brevissima durata. Credono alle favole di una società senza guerre e senza violenza, senza soldi e senza merce, senza mercato e senza legge, anarchica con la A maiuscola, dove ognuno è libero di fare non quel che serve a migliorare il resto del mondo, ma soltanto ciò che più gli aggrada senza pensare chi può nuocere.

Hanno occupato la ex Casina Rossa di Maurizio Vangone, un giovane imprenditore che cerca, in un modo o nell’altro, utilizzandola in inverno e in estate, di sbarcare il lunario a queste latitudini geografiche. Peraltro hanno distrutto un locale che era il simbolo, negli ultimi anni, dell’amore libero tra gay, notoriamente una delle galassie antifasciste e antirazziste che vanno a braccetto proprio con antagonisti come quelli del Palazzo che brucia. Chissà, forse non lo sapevano.

Questa è la volontà, sostenuta a gran voce da più di trecento persone, che sabato scorso hanno restituito vita e bellezza a uno dei tanti ruderi lucchesi, mentre l’unica risposta da parte delle cosiddette istituzioni è stata di repressione e violenza, minaccia e aggressione da parte della polizia, che, pistola alla mano, ha dato inizio allo sgombero.

Leggere queste righe è come scendere nell’agone di un Grande Fratello dove l’oggettività ha lasciato il posto alla demenza e alla mistificazione della verità. La Casina Rossa sarebbe un rudere? Peccato che è di proprietà privata e, comunque, anche l’occupazione abusiva di strutture pubbliche in disuso è, se non erriamo, un reato sia pure tollerato dai falsi e ipocriti buonisti del nostro governo senza coraggio né dignità. Basti guardare che cosa è accaduto a piazza Indipendenza a Roma, dove un funzionario della questura, per aver fatto il proprio dovere al fine di sgomberare un palazzo occupato e con clandestini che gli lanciavano contro bombole di gas dai piani superiori, è stato trasferito e preso a calci nel culo dal Verminale.

Addirittura, questi giovani virgulti che si definiscono antifascisti – il sottoscritto ha una concezione dell’antifascismo troppo seria e troppo storica per poter accettare una simile stronzata – accusano la polizia delle solite menate di essere, cioè, repressiva, di aver usato, addirittura, la pistola per tentare di farli andare via. Sanno bene, questi stupidi strumenti del Potere verniciato di rosso che ci sono giornalisti leccaculo e ideologizzati pronti a sostenere tutto quello che può essere detto contro polizia e carabinieri soltanto perché fanno il proprio dovere e, loro sì, a caro prezzo: di vita, di soldi, di affetti, di professionalità.

Perché voi, cari ragazzi che quando aprite la bocca sembrate degli alienati fuoriusciti da un film di fantascienza o tanti zombie senza alcuna vitalità, avete scelto la strada più semplice, quella che conduce al dolce far niente, al sopravvivere autodistruggendosi, dove non si pensa e non si combatte con le regole del gioco immutato da millenni, ma che un gioco, nuovo e senza regole o, pardon, con regole dettate da voi, vorreste inventare senza nemmeno sapere da che parte cominciare. In realtà, avete dentro solamente una grande disperazione e un enorme senso di impotenza e di frustrazione, causati dalla consapevolezza di non contare niente e, allo stesso tempo, coscienti di quanto, e spesso non sbagliate, il mondo sia retto da una ipocrisia che viene mascherata dalla vile logica del denaro e dell’acquiescenza. Ma non è come fate voi che si combatte e, soprattutto, si può sperare di costruire qualcosa di migliore.

Voi, in sostanza, volete il caos senza rendervi conto che, sia a destra sia a sinistra, una società non può esistere in preda al caos. Lo avevano scoperto i filosofi della politica di alcuni secoli fa, Hobbes in testa, lo hanno recepito tutti, ormai. Ecco perché voi non avete futuro, ma ci sta anche che questo non vi interessi. Allora, se volete autodistruggervi, fate pure. Se volete annientarvi prego accomodatevi.

Ci sono persone, giovani come voi, che darebbero chissà cosa, affetti da patologie irreversibili e condannati a morire, pur di essere come voi, fisicamente, siete, per poter vivere quel mondo che voi, al contrario, pensate solo a cancellare. Ma vi passa mai per la testa che, forse, state sbagliando tutto?

www.lagazzettadilucca.it

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