Panama papers, nomi di collaboratori di Marine e Jean-Marie Le Pen

 

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Stretti collaboratori di Marine Le Pen, il “cerchio magico” della presidente del Front National, sono accusati di aver messo in piedi “un sistema offshore sofisticato” nell’ambito di Panama Papers. Ma non solo Marine, anche Jean-Marie Le Pen è direttamente coinvolto nello scandalo finanziario rivelato dai Panama Papers. Secondo Le Monde, una parte della ricchezza nota come “il tesoro” del fondatore del Front National è stata dissimulata attraverso la società offshore Balerton Marketing Limited, creata nei Caraibi nel 2000. Banconote, lingotti, monete d’oro, ci sarebbe di tutto nel “tesoro”, intestato al prestanome Gerald Gerin, ex maggiordomo di Jean-Marie e della moglie Jany Le Pen.

Si aggrava intanto la posizione di David Cameron. Nuovi dettagli sullo schema attraverso il quale il padre Ian avrebbe nascosto per decenni al fisco britannico le sue fortune di broker della finanza conquistano l’apertura di alcuni giornali di Londra. La stampa rivela che Ian Cameron, morto nel 2010, avrebbe dirottato fin dal 1982 ingenti somme di denaro in Centro America, facendo ruotare in seno al board della sua societa’ – la Blairmore Holdings – decine di prestanome caraibici. Mentre di fronte alla domanda se parte del tesoro di famiglia dei Cameron sia ancora sotto il sole di Panama, pochi accettano la balbettante risposta della portavoce del premier: “Questioni private”. I nomi di notabili e donatori del Partito Conservatore britannico emergono frattanto dai leaks.

Uno scandalo di proporzioni planetarie fa tremare i leader e i vip di mezzo mondo. I Panama Papers, milioni di documenti che hanno origine in uno studio legale internazionale specializzato in paradisi fiscali, gettano l’ombra del sospetto su fortune riconducibili – pare – all’entourage di Vladimir Putin e del suo arcinemico ucraino Petro Poroshhenko; a familiari del leader cinese Xi Jinping e al re saudita, ma anche a Luca Cordero di Montezemolo, a banche italiane, a primi ministri e loro parenti, a criminali, personaggi dello spettacolo e dello sport come Leo Messi, a funzionari d’intelligence.

I 307 reporter dell’International Consortium of Investigative Journalists, impegnati per mesi a spulciare le carte, allargano la cerchia dei sospetti a personaggi dei Paesi di appartenenza: e cosi’ l’Espresso evoca Montezemolo, l’imprenditore Giuseppe Donaldo Nicosia, latitante e coinvolto in un’inchiesta per truffa con Marcello dell’Utri, l’ex pilota di Formula 1 Jarno Trulli oltre a Ubi e Unicredit; mentre Haaretz cita ad esempio alcuni dei piu’ ricchi e influenti uomini d’affari di Israele.

Nei documenti anche societa’ che sarebbero riconducibili a 33 sigle o individui inseriti nella lista nera degli Usa, per connessioni con i signori della droga messicani, con organizzazioni definite terroristiche come gli Hezbollah sciiti libanesi e con Stati come Corea del Nord o Iran.

Nella lunga lista di nomi coinvolti nello scandalo dei paradisi off-shore ci sono parenti e persone vicine al presidente siriano Bashar Al Assad, ma anche il defunto Muammar Gheddafi e l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak. L’elenco continua ad allungarsi di ora in ora e spazia dalla politica, allo spettacolo, allo sport. Tra gli altri ci sono i nomi del presidente dell’Argentina Mauricio Macri, di parenti del presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev.

Le rivelazioni, fatte trapelare da uno studio legale non molto noto, Mossack Fonseca, ma con sedi a Miami, Hong Kong, Zurigo e 35 altre localita’. Documenti passati al giornale tedesco Suddeutsche Zeitung e da questo condivisi poi con un pool di reporter investigativi di vari media internazionali fra cui i britannici Guardian e Bbc. Per l’Italia l’esclusiva è de L’Espresso. Il Guardian si concentra in apertura della sua edizione online solo su Putin, che viene ritenuto coinvolto indirettamente attraverso la figura di Sergei Roldugin: un musicista, indicati fra i migliori amici del presidente russo e padrino di una delle sue figlie, che sarebbe il terminale almeno nominale di uno spostamento di due miliardi di dollari partiti da Bank Rossya, un istituto di credito guidato da Yuri Kovalciuk, che gli Usa sostengono essere una sorta di banchiere del Cremlino, indirizzati verso Cipro e il paradiso off-shore delle Isole Vergini Britanniche.

Sospetti che peraltro il Cremlino respinge come una montatura, assicurando che la Mosca ha i mezzi per difendere in sede legale la reputazione di Putin. Altri media coinvolti nella rivelazione di questi leaks allargano da parte loro il campo delle personalita’ al centro dei sospetti. Personalita’ fra cui figurano esponenti dello spettacolo e dello show business, accanto a criminali e trafficanti, ma anche altri leader politici o persone a loro vicine. Haaretz, oltre a soffermarsi su businessman e personaggi pubblici israeliani, cita ad esempio aziende che secondo le carte dello scandalo farebbero riferimento ai capi di governo di Islanda e Pakistan.

E inoltre somme sottratte al fisco da familiari di Xi Jinping, dal re dell’Arabia Saudita o da suoi figli, dalla famiglia del presidente filo-occidentale ucraino Poroshenko. Nei documenti anche societa’ che sarebbero riconducibili a 33 sigle o individui inseriti nella lista nera degli Usa, per connessioni con i signori della droga messicani, con organizzazioni definite terroristiche come gli Hezbollah sciiti libanesi e con Stati come Corea del Nord o Iran. ANSA

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