Caso Yara, consulente della Procura: il Dna mitocondriale non è di Bossetti

Bossetti

 

‘Salta’ la ‘prova regina’ contro Massimo Giuseppe Bossetti: il Dna mitocondriale dell’uomo in carcere dal 16 giugno scorso con l’accusa di aver ucciso la 13enne Yara Gambirasio non coincide con quello di ‘Ignoto 1’, l’uomo da sempre indicato dalla scienza come la persona che ha ucciso e abbandonato la giovane ginnasta di Brembate di Sopra (Bergamo). E ora la scienza, su cui le indagini hanno fatto affidamento fin dalla scomparsa della giovane avvenuta il 26 novembre 2010, rimette in discussione tutto. Non solo: l’esame non sarebbe ripetibile perché la traccia ‘più caratteristica’ è terminata.

Nella relazione di 113 pagine, consultata in esclusiva dall’AdnKronos, firmata da Carlo Previderè, ricercatore responsabile del laboratorio di genetica forense dell’Università di Pavia e incaricato dal pm di Bergamo Letizia Ruggeri di analizzare i capelli e i peli trovati sul corpo della vittima, la svolta è scritta, per la prima volta, nero su bianco. Sugli slip della 13enne, il cui corpo è stato trovato tre mesi dopo abbandonato in un campo di Chignolo d’Isola, è stata trovata una traccia maggiormente significativa indicata come 31G20, in cui il Dna della vittima è misto a quello dell’assassino ribattezzato ‘Ignoto 1’.

La cosa che stupisce gli esperti è che la traccia è ‘abbondante’ dal punto di vista del Dna cellulare (il Dna cellulare di Bossetti corrisponde al 99,99999987% con quello dell’assassino, ndr) ma non dal punto di vista del Dna mitocondriale (il Dna dei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule, viene trasmesso dalla madre a tutti i figli) tanto che non si è mai riusciti a stabilire, con certezza, se si trattasse di sangue, saliva o sperma lasciato da ‘Ignoto 1’ sul corpo della vittima. Un’anomalia che scientificamente sembrerebbe inspiegabile e che pone dei dubbi su quella traccia genetica ‘raccolta’ sul corpo della 13enne.

Nella consulenza di Previderè non mancano altri colpi di scena. Il punto di partenza è analizzare peli e capelli sul corpo della vittima confrontandoli con ‘Ignoto 1’ il cui profilo del campione mitocondriale è reso disponibile dal Ris di Parma che a loro volta lo rilevano dalla relazione a firma del consulente Emiliano Giardina. Al Dna di Yara si risale invece con un campione di tessuto osseo dello spessore di circa due centimetri prelevato dal femore.

Ma qui sorge la prima anomalia: il “semplice confronto di tali profili aplotipici consentì di realizzare immediatamente di essere in presenza di un unico profilo apolitico mitocondriale” scrive Previderè nella sua relazione e tale profilo “era certamente attribuibile alla vittima e non al soggetto definito ‘Ignoto 1’, come indicato nella relazione del consulente del pm, dottor Giardina”. Un errore che vuol dire che il Dna di 532 persone, o meglio di 532 donne, non è stato confrontato con quello della persona sospettata di aver ucciso Yara ma con quello della vittima. Ma c’è di più: la traccia così ‘abbondante’ sembrerebbe ridursi notevolmente, poiché “pare essersi realizzata un’inversione delle proporzioni dei campioni misti” dei Dna di vittima e ‘Ignoto 1′”, scrive Previderè.

In una precedente consulenza tecnica quando si analizza una componente maggioritaria e una minoritaria, si era sempre attribuita la parte maggioritaria a ‘Ignoto 1’, mentre ora si sottolinea come “i campioni 31G19 e 32-3 e la componente maggioritaria del campione 31G20 (la traccia mista del Dna della vittima e di ‘Ignoto 1’ che di fatto ha portato dietro le sbarre Bossetti, ndr) erano riconducibili – scrive Previderè -, per comparazione con la sequenza determinata, alla sequenza aplotica di Yara Gambirasio”, mentre la traccia mitocondriale “minoritaria” del campione “non veniva esplicitamente attribuita al soggetto definito ‘Ignoto 1′”. Una svista, ma le anomalie non finiscono qui.

Si è sempre sostenuto che l’esame sulla traccia ‘abbondante’ trovata sugli slip della vittima è ripetibile, ossia può essere ripetuta con un incidente probatorio davanti alle parti, il pool difensivo dell’indagato e l’avvocato e il consulente della famiglia Gambirasio. Ora questa certezza sembrerebbe svanire. Per svolgere gli esami sui peli e i capelli, i consulenti nominati dalla procura di Bergamo hanno tentato di “caratterizzare” nuovamente “la parte minoritaria” della traccia mista trovata sul corpo della vittima, ma ricorrendo ad altri campioni estratti dal Ris “in quanto i campioni 31G19 e 31G20” – noti rispettivamente come le maggiori tracce miste di Dna di Yara e di ‘Ignoto 1’ trovate sul corpo della vittima – “risultano essere esauriti”.

Un colpo che potrebbe esser letale se si considera che il Tribunale del Riesame di Brescia ha deciso di lasciare in carcere Bossetti proprio per la presenza del suo Dna sul luogo del delitto. E in attesa dell’udienza in Cassazione, fissata per il prossimo 25 febbraio, la difesa di Bossetti potrebbe ricorrere a un’altra istanza di scarcerazione alla luce dei nuovi elementi. L’avvocato della famiglia Gambirasio preferisce non commentare, mentre dalla procura nulla trapela su questa consulenza che mette a rischio il caso, la cui svolta (il fermo di Bossetti, ndr) fu annunciata, a sorpresa, dal ministro dell’Interno Angelino Alfano.

Ma questa relazione, consegnata alle parti solo di recente, mette un punto fermo anche sull’assenza di peli e capelli di Bossetti sul corpo della vittima, mettendo a freno vecchi annunci subito smentiti. E apre un altro scenario: due capelli trovati sulla felpa e la maglietta della 13enne appartengono a una stessa persona, di cui non si fornisce il nome.

Dall’analisi è stato possibile identificare “150 formazioni pilifere umane, la maggior parte delle quali provviste di bulbo”. Di questi 94 su 101 sono risultati “perfettamente sovrapponibili” con quelli di Yara Gambirasio, altri sette invece “hanno mostrato un aplotipo mitocondriale diverso da quello della vittima e da quello identificato come componente minoritaria del campione 31G20” o meglio spiega il consulente Previderè “nessuna è risultata attribuibile a Massimo Giuseppe Bossetti”.

Tuttavia, due di queste formazioni pilifere, trovate sulla felpa e sulla maglietta di Yara “mostravano il medesimo aplotipo mitocondriale”, ossia “potevano essere attribuibili ad un unico soggetto” da identificare tra quelle 532 persone la cui traccia genetica è stata ‘catalogata’ in un database e contenute in una precedente consulenza. Un elemento da cui, forse, si potrebbe ripartire.

Se dunque vacilla la ‘prova regina’ sembra allontanarsi la possibilità che il pm Ruggeri ricorra alla richiesta di immediato – i termini scadono a fine mese – a meno che la procura non abbia un asso nella manica, ma finora l’analisi sul furgone e oggetti sequestrati all’indagato sembrano non hanno portato a nulla. “Basta arrampicarsi sugli specchi: non c’è nessuna ‘prova regina’ “, spiega il difensore Claudio Salvagni. Gli fa eco anche il criminologo investigativo Ezio Denti, parte del pool della difesa: “ora deve essere scarcerato, con tante scuse da parte di chi, tanti, non hanno risparmiato accuse contro un uomo su cui la presunzione di innocenza è stata dimenticata”.

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