Siamo tutti Charlie?

charlie

 

di Stefano Biavaschi, Anaps Scuola

E’ impossibile certo non condannare il massacro dei giornalisti in Francia, ed è doveroso in questi giorni mostrarsi tutti uniti e scendere in piazza con i manifestanti, perfino accanto ai musulmani che finalmente si oppongono. Ma c’è qualcosa che stona in tutti quei cartelli Je suis Charlie, branditi in mano ovunque. Se gridare “Io sono Charlie” significa esprimere solidarietà verso le vittime del terrorismo fondamentalista, nulla da dire.

Ci sarebbe però da chiedersi dov’erano queste folle quando i bersagli non erano dei vignettisti che disegnavano il Papa in atteggiamenti omosessuali o Maometto gay. E dov’erano i cartelli con scritto “Io sono Oriana Fallaci”, quando la giornalista fu mitragliata dai kalashnikov delle parole dai quotidiani come La repubblica, che l’accusava di islamofobia solo perché profetizzava quanto sta avvenendo oggi?

E dov’erano i cartelli con scritto “Io sono Magdi Allam”, vice-direttore del Corriere della Sera, quando anche lui, come la Fallaci, ricevette con una fatwa la sua sentenza di condanna a morte, e si ridusse a girare sotto scorta armata per anni? Questo perché aveva denunciato, non con la satira, ma con l’esperienza vissuta, quella violenza che ora si è armata contro i suoi colleghi.

Per giunta, ieri Allam è stato condannato per un articolo in cui attacca il volto più importante dell’Islam italiano. In primo grado Allam era stato assolto: i giudici del tribunale civile di Milano gli avevano fatto scudo dietro il principio della libertà di critica. Oggi quella protezione viene tolta dalla corte d’appello che capovolge il verdetto e condanna Allam a risarcire l’Ucoii. Un dietrofront clamoroso, proprio nelle ore in cui la Francia e l’Occidente vivono una delle pagine più buie della loro storia e il mondo intero si interroga sulle ambiguità dell’Islam e si chiede dove passi il confine fra l’Islam cosiddetto moderato e quello più radicale.

Quando andai a intervistarlo dovetti essere perquisito da tre filtri di agenti nel suo albergo; e dov’era tutta la difesa alla libertà di stampa quando Allam era costretto a vivere in quel modo? O quando fu chiamato a processo dallo stesso Ordine dei Giornalisti?

E dov’erano i cartelli con scritto “Io sono Ratzinger”, quando il Pontefice fu minacciato a seguito del suo mitissimo discorso di Ratisbona? A quel tempo Michele Serra non invitò tutti a portare un crocifisso nel taschino così come ora invita a portare nel taschino una matita, a simbolo dei vignettisti uccisi.

E’ giusto gridare per le piazze “siamo tutti francesi” dopo che per anni siamo rimasti sordi alla strage dei cristiani in Medio Oriente? Perché quando questi venivano (e vengono tuttora) crocifissi e decapitati nessuno grida “siamo tutti cristiani”? Ci siamo disinteressati dell’espansione dell’Isis che ora occupa mezza Siria e mezzo Iraq con i relativi pozzi di petrolio che servono a finanziare il terrorismo, così come ci siamo disinteressati dell’espansione degli eserciti di Boko Haram (significato letterale: l’educazione occidentale è peccato), che in questi giorni ha incendiato altri 16 villaggi ed ucciso 2.000 (duemila) vittime innocenti, ed ora ci stupiamo se troviamo le milizie in tuta nera e col distintivo del Califfo già a combattere per le nostre strade.

Ci stupiamo se al grido di Allah Akbar si va in giro per l’Europa a mitragliare persone o a investire volontariamente una serie di passanti con l’auto. Il mondo non ha capito che siamo di fronte a una nuova forma di totalitarismo mondiale, ancora peggiore di quello che fu il nazismo od il comunismo sovietico. O forse lo sta comprendendo adesso, ma solo perché stavolta l’obiettivo è stato un giornale laicista ed anticlericale, che amava offendere i simboli del cristianesimo fino a rappresentare lo Spirito Santo che sodomizza Gesù Crocifisso mentre questi a sua volta sodomizza il Padre Eterno.

No, mi dispiace, ma io non sono Charlie. O meglio lo sono perché sono morti degli uomini. Gli sono solidale come giornalista, come cristiano, come cittadino. Proprio perché in questo momento occorre essere tutti uniti. Tutti uniti appunto: chiedendo però che anche chi scende ora nelle piazze lo sia quando gli obiettivi colpiti non rientrano fra le sue simpatie.

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