La guerra “nascosta” dei Monuments Men

Particolare della Resurrezione di Piero della Francesca
Particolare della Resurrezione di Piero della Francesca

Salvatore Giannella
Operazione salvataggio
Casa editrice Chiarelettere

Un’altra guerra, quella di eroi sconosciuti che rischiando la vita hanno salvato migliaia di opere d’arte. Le loro storie incredibili, che riguardano la Seconda guerra mondiale, la guerra civile spagnola ma anche conflitti più recenti, dall’ex Iugoslavia all’Afghanistan, sono ricostruite da Giannella in un affresco emozionante e inatteso, che va ben oltre il racconto del lodevole film di George Clooney, Monuments Men. Ci vorrebbe un altro film per raccontare le gesta dei tanti eroi sconosciuti -italiani, svizzeri, inglesi, spagnoli, tedeschi- che con pochi mezzi e spesso in condizioni disperate sono riusciti a salvare un patrimonio che altrimenti non avremmo mai più rivisto (ancora oggi 1653 pezzi sottratti all’Italia dai nazisti si trovano all’estero). Tante storie che arrivano fino ai giorni nostri, nuove testimonianze che, anche attraverso le opere degli artisti dell’Olocausto qui proposte per la prima volta in un inserto a colori, raccontano una realtà da non dimenticare.
Salvatore Giannella è stato direttore de L’Europeo, di Genius e di Airone. Ha curato le pagine di cultura e scienze del settimanale Oggi e ha una rubrica su Sette e Corriere.it. Nel 2008 ha pubblicato con Chiarelettere Voglia di cambiare, sulle eccellenze in Europa, di cui si occupa anche il suo blog “Giannella Channel”.


INTERVISTA A SALVATORE GIANNELLA, DOMENICA 19 OTTOBRE 2014 (a cura di Luca Balduzzi)

Al film Monuments Men di George Clooney va sicuramente riconosciuto il merito di avere contribuito a raccontare ad un pubblico internazionale una vicenda meno nota della storia della Seconda Guerra Mondiale. I due personaggi di Cate Blanchett e di Jean Dujardin, però, non sono minimamente sufficienti per sintetizzare il contributo che anche l’Europa ha dato a questa operazione…
Esatto. Ai tanti e sconosciuti Monuments men delle forze alleate operanti in Italia durante la Seconda guerra mondiale, militari e anche artisti che operarono in difesa dell’arte italiana dedico un intero capitolo del mio libro. Prima ancora che al film di George Clooney (il più costoso che l’attore americano abbia mai realizzato, 50 milioni di dollari), devo a Ilaria Dagnini Brey, una giornalista e traduttrice padovana residente da 25 anni a New York (autrice di Salvate Venere!, Mondadori, 2010) i particolari della speciale task force dell’esercito statunitense ai cui componenti era stato fatta una raccomandazione dal comandante in campo dell’esercito americano, generale Dwight D. Eisenhower in una lettera del 29 dicembre 1943 che merita di essere riprodotta: «Oggi stiamo combattendo in un paese, l’Italia, che ha dato un grande contributo al nostro patrimonio culturale, un paese ricco di monumenti che hanno ispirato la nascita e il progresso della nostra stessa civiltà. E’ nostro dovere rispettare questi monumenti per quanto la guerra lo consente. Se dobbiamo scegliere tra la distruzione di un edificio famoso e il sacrificio dei nostri uomini, allora le vite dei nostri uomini contano infinitamente di più e il monumento deve cadere. Ma la scelta non è sempre così netta. In molti casi si possono risparmiare i monumenti senza detrimento per le operazioni militari. Nulla deve ostacolare la necessità militare. Questo è un principio accettato. Ma l’espressione “necessità militare” è talvolta utilizzata dove sarebbe più onesto parlare di “comodità” militare, quando non addirittura di comodità personale. Non voglio che la si usi per camuffare negligenza o indifferenza. E’ dovere dei comandanti determinare, con l’aiuto degli ufficiali del governo militare, l’ubicazione di edifici storici e artistici, sia che si trovino sulla linea del fronte o in territorio già occupato dalle nostre truppe».

Di tutte le storie di questi Monuments Men, qual è quella che più l’ha colpita?
Quella di un libraio: Anthony Clarke, capitano nell’esercito alleato, inglese poi emigrato in Sudafrica, operativo in Toscana, al quale gli italiani devono il loro grazie per essersi rifiutato di bombardare Sansepolcro (Arezzo), e di aver salvato così quello che lui ricordava come «il più bell’affresco del mondo»: la Resurrezione di Piero della Francesca.
La sua storia è una favola a lieto fine nello scenario oscuro della guerra. Quando mio nipote Vanni Cuoghi, giovane artista invitato alla Biennale di Venezia del 2012, me la evocò telegraficamente, accese in me una curiosità inarrestabile. Era ancora vivo Clarke? E dove? Avrei voluto incontrare questo angelo protettore della cultura e dell’arte. Un uomo che, sfidando la corte marziale e gli agguati nazifascisti, aveva deciso di non obbedire agli ordini di cannoneggiamento del borgo toscano, raccontando via radio al quartier generale e al suo comandante di non vedere né truppe tedesche né obiettivi sensibili da annientare, quando in realtà i nazifascisti si annidavano ancora a Sansepolcro, terra natale di Piero della Francesca, e si stavano ritirando armati fino ai denti pronti a stragi ed eccidi. Un uomo colto (nel dopoguerra avrebbe fondato la libreria più importante del Sudafrica, a Cape Town) e innamorato del Bello in tutte le sue manifestazioni, che si fermò nell’azione bellica in quanto ricordò di aver letto in un libro di Aldous Huxley che proprio in questa cittadina, Sansepolcro appunto, si trovava la Resurrezione.
Questo affresco non è solo un capolavoro, conservato nell’antico edificio comunale oggi museo, ma uno dei simboli dei viaggiatori inglesi che nell’Ottocento riscoprirono i tesori di Piero. E soprattutto quel Cristo «dotato di una terrificante e non terrena maestà nei grandi occhi fissi nel vuoto e nei tratti del viso malgrado ciò distesi», come scrisse Austin Henry Layard in un articolo che spinse molti artisti anglosassoni a fare pellegrinaggio in quel tratto di Toscana allora sconosciuto e oscurato dai capolavori di Firenze e Siena.
Arrivai a Sansepolcro in una gelida giornata invernale, comprai dei libri di storia locale e incontrai il sindaco, Daniela Frullani. Mi raccontò che la storia era conosciuta da tempo in paese, che Clarke era tornato nel 1965 nella terra di Piero questa volta in veste ufficiale, ospite dell’amministrazione comunale che gli consegnò le chiavi della città e la cittadinanza onoraria. Dopo la sua morte avvenuta in Sudafrica nel 1980, al capitano Clarke Sansepolcro ha dedicato una strada. Grazie all’aiuto del suo assistente, il sindaco mi procurò la copia della delibera comunale con cui veniva intestata la via. Successivamente ho trovato il testo delle parole da lui pronunciate per ricostruire la vicenda, una storia che non mi stanco di raccontare perché è una di quelle che dà speranza, perché un piccolo gesto compiuto da uno sconosciuto e schivo ufficiale, sensibile all’Arte che è proprietà di tutti, ci fa sperare in un futuro migliore.
Il cuore di Anthony Clarke, insignito della Croce militare per “valore e coraggio in combattimento” si è fermato nel 1981, a Cape Town, dove si era ritirato aprendo l’amata libreria.

Già una volta lei aveva cercato di raccontare la storia di Pasquale Rotondi. Ma non era stato altrettanto semplice trovare una casa editrice che fosse interessato a pubblicarla…
Effettivamente fui costretto, per raccontare la storia del Soprintendente di Urbino che diede ricovero e salvezza a 6.509 capolavori dell’arte italiana (praticamente l’anima del nostro Paese, a cominciare dalla Tempesta del Giorgione e dal Tesoro di San Marco, provenienti da Venezia), a stamparlo a mie spese: ma sono stato felice del risultato, perché da qual libro è stato generato un docu-film per la Rai (programma La storia siamo noi, titolo “La lista di Pasquale Rotondi”, lo si può vedere su Internet) che ha ricevuto numerosi riconoscimenti in tutti i festival di mezzo mondo.

Mi colpisce che il lavoro di Rotondi sia stato commissionato dal Ministro dell’Istruzione del Governo fascista Giuseppe Bottai, ma che allo stesso tempo Benito Mussolini non si sia mai pronunciato sull’operazione che Adolf Hitler e Joseph Goebbles stavano portando avanti…
La documentazione da me rintracciata porta a salvare la reputazione dei ministri dell’Educazione popolare, Bottai prima e Biggini dopo, giustamente allarmati dalla fuga (legale e non) dei capolavori d’arte dall’Italia alla Germania, mentre illumina il sostanziale disinteresse del duce nei confronti del patrimonio culturale.

Anche la Chiesa ha dato il suo contributo per il salvataggio di molte opere d’arte. In particolare, grazie all’impegno di Giovanni Battista Montini, all’epoca Segretario di Stato e futuro Papa Paolo VI…
Il contributo della Chiesa è stato decisivo per l’Operazione salvataggio. Fu esemplare la relazione stretta per l’occasione dall’allora dirigente del ministero dell’Educazione popolare Argan e da Montini con il pontefice Pio XII, che accettarono di mettere al sicuro nei Musei Vaticani le opere minacciate dalla barbarie della guerra e dalle bramosie dei vertici nazisti.

Purtroppo continuano a mancare all’appello numerose opere, ed è lecito immaginare che alcune di queste possano essere state distrutte nel tentativo di impedirne il recupero…
Sono 1.652 le opere ancora prigioniere di guerra, razziate dai nazisti e mai più tornate in sede. Tra di esse ce ne sono una dozzina provenienti dalla Romagna: da Forlì (dalla Pinacoteca comunale erano state ricoverate nella parrocchia di Villa San Giorgio, e di Palazzo Paolucci de Calboli), da Villa Cardella, Collezione Oriani, a Casola Valsenio; da Villa Strozzi a Cotignola; dalla collezione del conte Urbano Chiaramonti a Cesena, da Villa Ugolina a Brisighella). Il loro recupero dovrebbe essere un impegno forte per il futuro. Tanto quanto per noi italiani è una necessità prioritaria investire nella cultura. Perché, come disse il capo della Stato Carlo Azeglio Ciampi consegnando la medaglia d’oro al valor culturale alle due figlie di Pasquale Rotondi, «se funzionano i nostri musei, se funziona il nostro cinema, il nostro teatro, la nostra musica, allora funziona meglio tutta la società italiana, e con essa l’economia».

Guerre più recenti, come quelle nella ex Jugoslavia e in Afghanistan, ci dimostrano che l’impegno di chi mira a preservare le opere d’arte è più che mai attuale e necessario…
Nelle prime righe del libro ricordo che la guerra per l’arte continua. È una guerra che vede affrontarsi due eserciti: il primo, desideroso di impadronirsi della bellezza (e dell’anima) dell’avversario con il denaro o con la forza, per cancellarne l’identità; il secondo formato da truppe sparute e spesso isolate che combattono per farsela restituire. È una dinamica consolidata, che si ripete uguale a ogni conflitto. Per fortuna negli scenari di guerra ci sono tanti eroi sconosciuti, quelli ai quali ho dedicato i miei anni di ricerca per questo libro: eroi che, come lo svizzero che ha custodito i tesori di Kabul o come l’italiano Roberto Malini che ha recuperato 170 di artisti vittime nei lager nazisti, sarebbero passati ingiustamente inosservati senza questa faticosa ricerca.

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