La Presidenza della Repubblica che va oltre l’art.87 della Costituzione

napolitano

2 genn – Di Rino Sica* – “Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Indica le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione. Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere. Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere grazia e commutare le pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica.”: così testualmente recita l’art. 87 della nostra Costituzione e visto che ovunque e spesso a sproposito si invocano i valori ed il dettato costituzionale anche in questo caso sarà utile partire dalla disposizione della Carta. Ovvio che non si ignora che esiste una Costituzione formale ed una materiale e che sulla concreta applicazione del testo incidono le prassi, la giurisprudenza della Corte costituzionale, e, di recente, non ultimo, il contesto socio-economico in cui si cala il “vissuto” della Carta.

Eppure a nessuno sfugge che in questo momento la Presidenza della Repubblica, nel suo porsi, nei suoi atti, nel suo “stile” è tutt’altra cosa rispetto al disegno dell’art.87, che, sostanzialmente, rimetteva al presidente, come è noto, una funzione rappresentativa dell’unità nazionale e, quel che più conta, di garante super partes; attento ma non per questo invadente spettatore delle dinamiche parlamentari, vero e proprio motore del meccanismo democratico.

Sia chiaro, nulla è eterno; anche il tema della Costituzione forse andrebbe affrontato con maggiore realismo e senza enfasi retorica: soltanto la rinuncia ai valori e principi contenuti negli articoli da 1 ad 11 della Carta consentirebbe di affermare che siamo in un altro “mondo” rispetto a quello delineato dai padri costituenti. Tutto il resto, sottoposto alla corrosione della storia, è suscettibile di riflessione, ripensamento, modifica ed anche l’architettura fondata sul pilastro di un parlamentarismo spinto mostra crepe e cedimenti, del resto accentuate da almeno due decenni di legislazione delegata e d’urgenza.

Ma questo tema fa parte del mai compiuto progetto di riforma di questo Paese, il grande “sogno” berlusconiano non portato a termine e che oggi lo stesso Berlusconi tenta di riproporre in maniera non dissimile – mi riferisco agli enunciati – da quanto fa “immaginare” Renzi: l’Italia in cui il Presidente del Consiglio, emanazione del voto popolare, possa compiere scelte, darvi attuazione, assumendosene la responsabilità, innanzitutto politica, senza le mediazioni infinite e gli ostacoli dei capi dipartimento, degli uffici legislativi, della stessa Presidenza della Repubblica e con una magistratura autonoma ma non prevaricante.

Non sappiamo se e chi potrà ascriversi il merito di aver condotto il Paese fuori dalla palude in cui si trova non da oggi; sì perché questo sfugge o è dolosamente occultato all’opinione pubblica: l’Italia attuale è il risultato di anni di “consorterie” e ristrette cerchie che la controllano e la asfissiano e che guardano con preoccupazione al cambiamento, lobbies spesso “filiazione”di interessi stranieri, in grado di incidere su politica, stampa e sulla stessa magistratura.

Fin qui nulla di nuovo, allora, se non fosse che con l’alibi della crisi – la cui genesi finanziaria e speculativa, oltre che di fallimento di un modello impostoci, viene taciuta! – questo ristretto gruppo di potere ha “preso il controllo” delle operazioni e si ammanta della veste di “risorsa”della Repubblica, con ciò sentendosi legittimato ad intervenire sulle leggi, sulle decisioni giudiziarie, e perfino sulla vita della gente, visti i riflessi terribili che la crisi sta spiegando sui singoli, sulle famiglie, sui costumi sociali, prima ancora che sull’economia.

La sfida è difficile e richiede coraggio, innanzitutto quello di porre un argine a chi, vera e propria incarnazione di oltre cinquant’anni di “compromessi”, di controlli, istituzionali, sociali e politici, oggi pretende di accompagnare e “ avallare” la novità!

Ma la sfida si vince soltanto con la progettualità ed il rinnovamento della classe dirigente: è perfino secondario sapere chi riceverà la legittimazione popolare, l’unica che rileva, rispetto alla speranza che chi sarà premiato dalle urne riesca a strappare dall’Italia la vecchia coltre, che la avvolge e ne condiziona i movimenti, di chi oggi assume perfino di avere funzione “salvifica. Anche se non c’è dubbio sul fatto che una simile speranza è meglio riposta nei soggetti non suscettibili di condizionamenti del passato; Berlusconi stesso, apparso “uomo nuovo”, ha sin qui perso la scommessa quando l’“imprenditore milanese” è diventato ostaggio – consapevole o meno, interessato o meno – della “melassa romana”, dei suoi rituali, dei suoi circoli, dei suoi capi-gabinetto, della sua “istituzionalità”, espressione che il più delle volte nasconde pericolosi intrecci.

Il tema del progetto e delle possibilità di attuarlo è quello centrale: ma questo è un altro capitolo, urgente ma non tanto quanto quello di “levare” il tappo che impedisce all’effervescenza di questo Paese di avere uno sbocco proficuo, con ogni mezzo di legge, innanzitutto con gli istituti che la Costituzione prevede.

Rino Sica* – Professore ordinario di Diritto Privato Comparato presso l’Università degli Studi di Salerno

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