Su IL GIORNALE di oggi, 28/01/2012, a pag.12, con il titolo “L’amara veritĂ Â sulla Libia”, Livio Caputo descrive la situazione in Libia, il paese è nel caos, le milizie non disarmano, il governo è inetto.
Quando, il 3 gennaio scorso, il presidente del Comitato nazionaÂle di Transizione (Cnt) Mustafa Abdel Jalil avvertì che se le varie milizie che avevano contribuito alÂla cacciata di GhedÂdafi non accetÂtavano di sciogliersi la Libia sarebÂbe
precipitata nella guerra civile, sapeva quello che diceva.
Tre settimane dopo, in seguito anche alla contemporanea deÂnuncia di tre organizzazioni umaÂnitarie sul sistematico uso della tortura da parte dei nuovi padroÂni, la possibilitĂ che la Libia liberaÂta dal tiranno stia in realtĂ cadenÂdo dalla padella nella brace si fa sempre piĂą concreta.
L’autoritĂ del governo provvisoÂrio, presieduto dal tecnocrate AbÂdel Rahim El Kib, che dovrebbe reggere le sorti del Paese fino alle elezioni per una assemblea costiÂtuente previste per il giugno 2012, si fa ogni giorno piĂą evanescente, e ci sono seri dubbi che possa porÂtare a termine la sua missione di stabilizzazione.
Due ultimatum rivolti alle miliÂzie che tuttora imperversano a TriÂpoli sono stati ignorati, e chi si riÂvolge alla polizia per denunciare i loro soprusi si sente rispondere: «Sono molto meglio armati di noi, non possiamo fare nulla».
IntanÂto, da ogni parte si levano contro il Cnt accuse di malversazioni, rubeÂrie e perfino oscuri collegamenti con il vecchio establishment gheddafiano.
L’ultima settimana è stata di fuoco. Sabato scorso, una folla inÂferocita ha attaccato e saccheggiaÂto la sede del governo provvisorio a Bengasi, che era stata la culla delÂla rivoluzione, ma adesso si sente di nuovo trascurata a favore della capitale. Lunedì la tribĂą Warfalla, giĂ legata a fil doppio al Raìs, ha preso d’assalto la cittĂ di Bani WaÂlid, una delle ultime roccheforti del vecchio regime, vi ha instauraÂto una propria amministrazione e ha costretto il governo centrale a riconoscerla. Giovedì, Amnesty International, i Medici senza fronÂtiere e l’Onu se ne sono usciti con tre distinti quanto devastanti rapÂporti sulla situazione dei diritti umani nel Paese, che fanno toccaÂre con mano quanto la riconciliaÂzione sia ancora lontana.
Il quadro che ne esce è davvero allucinante. Amnesty riferisce nei particolari di una serie di casi acÂcertati di tortura contro ex sosteniÂtori di Gheddafi e immigrati dalÂl’Africa subsahariana, sospettati di essersi schierati con il dittatore. Le vittime hanno riferito di essere state «appese in posizioni contorÂte, picchiate per ore con fruste, caÂvi, tubi di plastica, catene, sbarre di metallo e bastoni di legno, torÂmentate con scariche elettriche», al punto che molti hanno finito con il confessare reati mai comÂmessi e alcuni sono stati messi a morte. L’organizzazione fa nomi e cognomi, e cita in particolare il caso del colonnello Ezzedine Al Ghool, 43 anni, padre di sette figli, seviziato a morte senza l’ombra di un processo.
Buona parte di questi «interroÂgatori » si svolgono in carceri illeÂgali, fuori dal controllo del goverÂno, dove
sedicenti comitati giudiÂziari, emanazione delle varie miliÂzie tribali, la fanno da padroni. I piĂą feroci sono i membri della briÂgata Sumond di Misurata, che hanno avuto la faccia tosta di manÂdare nella clinica di Medici senza frontiere prigionieri tramortiti da un primo round di torture, non per curarli, ma solo per rimetterli in condizione di sopportarne un secondo. Per reazione, Msf ha chiuso l’ambulatorio.
Spesso, anche le truppe teoricaÂmente leali al Cnt partecipano a queste forme di rappresaglia: semÂbra che nella sola Tripoli ci siano attualmente 8.000 detenuti, cui viene negato ogni contatto con le
famiglie o con un legale.Il paradosso è che, per ottenere questo bel risultato, i bombardaÂmenti della Nato a sostegno dei riÂbelli avrebbero fatto da 40 a 70 morti civili, donne e bambini comÂpresi. L’unica buona notizia è che la produzione petrolifera dell’Eni ha quasi raggiunto il livello prebelÂlico di 270mila barili e potrebbe presto arrivare a 300mila.
Ma l’esito complessivo della missione di Monti a Tripoli, per «rafforzare l’amicizia e la cooperaÂzione nella cornice di una nuova visione dei rapporti bilaterali» è avvolto nell’incertezza.Il comuniÂcato finale ha vari passaggi ambiÂgui, e alla fine dell’incontro il preÂmier libico ha specificato che del trattato di amicizia concluso a suo tempo da Gheddafi e Berlusconi «la Libia manterrĂ la parte relatiÂva al risarcimento dell’Italia per il periodo coloniale» ma non ha detÂto nulla sulle clausole favorevoli al nostro Paese. Inshallah!
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