Liberalizzazioni, sogno o realtà?

di Claudio Romiti

Pressato dai mercati internazionali, che hanno fatto nuovamente lievitare lo spread dei nostri titoli di Stato sopra i 500 punti, dalle forze politiche in grande fibrillazione e dai sindacati sempre più scontenti, il governo ha annunciato l’avvio a breve della cosiddetta fase due della sua azione. Ossia, la tanto auspicata politica di rilancio dell’economia, con la quale convincere gli investitori interni ed esterni circa il miglioramento delle prospettive di crescita, per ora ridotte al lumicino da una prevista recessione che dovrebbe portare nel 2012 il Pil dell’Italia a retrocedere di un buon 2%, decimale più decimale meno.

Al centro della citata fase due, tra le altre cose, ci sarà il capitolo delle liberalizzazioni; oggetto sempre più misterioso e dai contorni politicamente assai ambigui. Ma nella vulgata popolare oramai sembra che per liberalizzazioni sia passata l’idea, invero molto restrittiva, che occorra eliminare il vincolo delle licenze nel settore dei taxi e consentire a parafarmacie e supermercati di vendere al banco i farmaci di cosiddetta fascia C.

Francamente un po’ poco per rimettere in corsa la terza economia della zona euro, sempre più somigliante ad un gigante d’argilla. Proprio sul piano delle liberalizzazioni, data la sua estrema complessità, mi limiterò per adesso ad esprimere un breve ragionamento che, ne sono assolutamente convinto, dovrebbe rappresentare la premessa generale per ogni tipo di intervento politico.

In primis, il punto di vista che sostiene l’esigenza di eliminare le tante sacche di monopolio e di protezionismo presenti nel nostro sistema è un punto di vista sano. Esso presuppone, fino a prova contraria, che far entrare in molti settori l’aria fresca della concorrenza non può che giovare all’intera economia, migliorando la qualità dei servizi e delle merci offerte, aumentando il valore aggiunto complessivo e, di conseguenza, il livello dell’occupazione. Questo almeno sulla carta dei ponderosi testi e manuali sui quali sicuramente il professor Monti e i suoi ministri studiano e si perfezionano da una vita.

Però, perchè purtroppo in un Paese dominato dalle lobby e dalle corporazioni c’è sempre un però, un conto è la teoria delle asettiche accademia, un altro è la prassi di una politica da troppo tempo abituata a scendere a patti con la più piccola categoria, purchè in qualche modo organizzata. Sotto questo profilo le medesime categorie organizzate hanno sempre avuto buon gioco a far prevalere i propri interessi su quelli generali in virtù di una micidiale caratteristica delle moderne democrazie.

Molto in breve, qualunque partito si trovi al governo in un dato momento storico ha molta facilità a concedere un privilegio e/o una guarentigia ad una delle succitate categorie, ma esso si trova di fronte ad uno scoglio quasi insormontabile nel momento in cui tutto ciò dovesse essere eliminato. Ed il motivo è semplice.

Il politico di turno sa bene che annullare un indebito vantaggio in settore circoscritto determina un piccolo ritorno economico sul piano generale, tale comunque da non influire sull’orientamento dell’intera collettività, mentre nell’ambito della categoria interessata un simile provvedimento provocherebbe una immediata e verticale perdita di consensi, tanto a vantaggio dell’opposizione che del non voto.

Per questo motivo anche quando un partito di governo si trovi ad affrontare un settore economico tradizionalmente sbilanciato in favore dei suoi avversari, nondimeno il solo pensiero di perdere in un colpo la sua quota minoritaria di consensi ne paralizza di fatto l’azione. Da qui deriva anche la preferenza che hanno gli esecutivi di tutti i colori a spalmare il più possibile tasse e sacrifici su una platea il più possibile ampia, onde per l’appunto diluire al massimo ogni eventuale perdita di popolarità.

Il problema, tuttavia, è che alla fine dei giochi il risultato di ciò è dato dal marasma in cui sta sprofondando il Paese, in cui si cerca sempre di salvare capra e cavoli scaricando sulle spalle di tutti il peso delle categorie che hanno una maggior capacità  di far sentire la propria voce. E sotto tale profilo, vista anche la grande attenzione che il premier continua a riservare alla concertazione, la possibilità che quest’ultimo si trasformi  in un novello Adam Smith della concorrenza e del libero mercato mi sembra francamente remota.

E’ più facile che anche la fase due si riveli una ulteriore spremitura fiscale operata da un sistema politico, tecnici o meno, sempre più incapace di affrontare i veri nodi che bloccano il Paese. Chi vivrà vedrà.

Claudio Romiti

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