Obama’s big sell-out! Il grande tradimento di Obama!

Dedicato agli amici di entrambi gli schieramenti che non si capacitano che Barack Obama possa non essere rieletto alla Casa Bianca nel 2012.
In allegato trovate un articolo di fine 2009, che illustra i suoi rapporti con Wall Street, che emersero chiaramente fin dal primo anno di presidenza.  Ne ho tradotto i brani principali, chi vuole
leggerselo tutto trova in calce il link all’originale inglese.
L’elenco delle promesse elettorali tradite da Barack Obama, fra cui soprattutto la promessa di pulizia, onestà e trasparenza, è lunghissimo e richiederebbe un libro intero per spiegare gli
inganni furbi e labirintici di cui si è reso autore.
Published on Sunday, December 13, 2009 by Rolling Stone [ Rolling Stone è una rivista popolare ma intellettualmente rispettata, e non certo di destra.]
OBAMA’S BIG SELL-OUT: IL GRANDE TRADIMENTO DI OBAMA
Il potere di Wall Street è almeno pari se non superiore a prima – Il contribuente paga l’assistenza sociale anche per gli operatori della finanza.
Il presidente ha messo nel suo team i consulenti di Wall Street interessati a fare del salvataggio delle banche una pura e semplice donazione. Di Matt Taibbi
Il primo grande gesto della sua presidenza fu il salvataggio di Citigroup costato $306 milioni.
Alcune settimane prima, il 5 novembre 2008, il giorno dopo la sua elezione, aveva sorpreso tutti quando fra i nomi dell’équipe che si sarebbe occupata della transizione dalla presidenza precedente non comparvero i suoi consulenti economici del periodo elettorale. Non ce l’ha fatta Austan Goolsbee, economista dell’Università di Chicago che era stato uno dei principali consulenti di Obama in campagna elettorale, ed era fuori anche Karen Kornbluh, che aveva diretto le linee politiche di Obama in campagna elettorale ed era stata determinante nel redigere il programma del Partito Democratico. Entrambi avevano insistito su temi populisti: la Kornbluh premeva perchè i Democratici si concentrassero sulla situazione dei poveri e del ceto medio, mentre Goolsbee era un acceso critico di Wall Street, che dichiarava che i funzionari dell’AIG non dovevano ricevere “un Premio Nobel – per il male.”
Ma il 5 novembre entrambi furono radiati dalla cerchia interna di Obama – e rimpiazzati da un gruppo di bancari di Wall Street.
A scegliere i componenti della nuova équipe economica del presidente fu il suo caro amico e compagno di classe a Harvard Michael Froman, un alto funzionario a alla Citigroup. Durante la campagna elettorale, Froman si era distinto per la capacità di raccogliere fondi, ammassando contributi per un totale di $200.000 e presentando il candidato Obama a una serie di pezzi da novanta – principale fra i quali era il suo mentore Bob Rubin, ex-co-amministratore della Goldman Sachs ed ex- Ministro del Tesoro di Bill Clinton.
Froman era stato il capo di gabinetto di Rubin al Tesoro, e aveva seguito il suo capo quando Rubin lasciò il governo Clinton per diventare capo consulente a Citigroup (un mega-conglomerato finanziario nuovo, creato dalle misure di de-regulation promosse da Bob Rubin stesso ).
Incredibilmente, quando Froman andò a lavorare per Obama non dette le dimissioni dalla banca: rimase alle dipendenze di Citigroup per altri due mesi, proprio il tempo in cui assisteva nella nomina delle persone che avrebbero inciso sul il futuro della sua stessa banca.
Ad aiutarlo a scegliere l’équipe di Obama, Froman chiamò nientemeno che Jamie Rubin che si dà il caso fosse il figlio di Bob Rubin. All’epoca, il papà di Jamie percepiva ancora circa $15 milioni l’anno da Citigroup, che si trovava nel bel mezzo di un tracollo causato in parte dal fatto che papà Rubin aveva spinto la banca a investire pesantemente in derivati basati sui mutui e altri simili strumenti a rischio.
Ed qui la cosa diventa davvero interessante. Tre settimane dopo l’elezione di Obama, George W. Bush era ancora formalmente al potere, ma nei fatti era già fuori e contento di esserlo. A occuparsi per lui di un’economia ancora in stato confusionale erano il suo Ministro del Tesoro Henry Paulson, ex-funzionario di Goldman Sachs, e il capo della Federal Reserve dello Stato di New York Timothy Geithner, che nel governo Clinton era stato al Tesoro quando Ministro era Bob Rubin.
Ma gli stessi Paulson e Geithner erano anche a capo dell’équipe economica del presidente-eletto Obama. Così un dirigente della Citigroup, ancora in servizio, e il figlio di un altro dirigente della Citigroup (che quello stesso mese entrò lui stesso nell’equipe di transizione di Obama) agivano sia in nome dell’uscente Bush sia in nome del presidente-eletto Obama.
Ed è così che il 23 novembre 2008 venne annunciato un patto secondo cui lo Stato avrebbe saldato i conti disastrosi di Rubin a Citigroup con un’iniezione massiccia di contanti e garanzie, finanziati dai contribuenti. È un pessimo affare per lo Stato, criticato quasi universalmente da tutti gli economisti più seri, un oltraggio per chiunque paghi le tasse. Con questo accordo, alla banca Citigroup vanno $20 miliardi in contanti, oltre ai $25 miliardi che aveva già ricevuto poche settimane prima con il Programma TARP [Troubled Asset Relief Program].
Ma questo è solo l’antipasto. Il governo ha accettò anche di accollare ai contribuenti fino a $277 miliardi di perdite su cespiti della Citigroup, molti dei quali costituiti dai titoli tossici che la Citi aveva comprato su insistenza di Rubin. Nessun dirigente di Citigroup viene licenziato e i loro compensi subiscono poche limitazioni.
Si tratta del paracadute d’oro del secolo, che accolla al lavoro di intere generazioni di contribuenti l’onere di saldare i debiti creati da Bob Rubin alla Citigroup.
Quando l’affare viene annunciato, l’ex-Ministro del Lavoro Robert Reich dichiara “Chi avesse mai avuto dei dubbi sul primato di Wall Street sull’uomo della strada, dovrebbe ormai aver raggiunto delle certezze.”
Ma non basta. Non solo al centro delle trattative c’era Timothy Geithner, l’ex pupillo di Bob Rubin dagli anni del governo Clinton, e presidente della Federal Reserve Bank di New York (e non stupisce che l’accordo stipulato abbia lasciato tale Federal Reserve massicciamente a rischio in caso di altre perdite future della Citi!). Il colpo grosso doeva arrivare qualche ora dopo la firma di questo patto di salvataggio, quando l’équipe di transizione di Obama rendeva allegramente noto che proprio Timothy Geithner era destinato a essere il Ministro del Tesoro di Obama!
In altre parole, Geithner viene assunto a capo del Tesoro USA da un dirigente della Citigroup – Michael Froman – prima ancora che sia asciutto l’inchiostro su un massiccio regalo dello Stato alla Citigroup stessa, che Geithner ha contribuito a redigere. Negli annali dei Raggiri universali, il premio Tromp-l’Oueil spetta sicuramente alla faccia tosta esibita in questo caso.
Ma a Wall Street il salvataggio di Citi e la nomina di Geithner è piaciuto talmente che l’indice Dow ha immediatamente segnato il più forte balzo di due giorni dal 1987, schizzando in alto del 11,8 per cento. Le azioni della Citi sono aumentate del 58 per cento in un giorno, e la JP Morgan Chase, la Merrill Lynch e la Morgan Stanley sono aumentate di oltre il 20 per cento alla notizia che la generosità dello Stato con Wall Street non sarebbe morta con Bush e Paulson. “Geithner assicura una transizione liscia fra il governo Bush e quello di Obama,” osservò infatti Stephen Leeb, presidente della Leeb Capital Management, “ perché Geithner sta già co-gestendo quello che sta avvenendo adesso.”
Nessuno commentò il fatto che Geithner era stato assunto da un dirigente in carica della Citigroup, Froman, il quale doveva ancora avere un grosso bonus nonostante la sua prossimità a Obama. Nel gennaio 2009, infatti, un mesetto dopo il salvataggio, Citigroup pagò a Froman un bonus di fine-anno di $2,25 milioni. Una cifra scandalosa, ma ancora spiccioli rispetto a quello che la gang dei banchieri avrebbero presto ottenuto dal nuovo presidente.
Paradossalmente, Bob Rubin è un demagogo arci-capitalista la cui stessa carriera è la riprova che la meritocrazia del libero mercato è una leggenda. Similmente ad Alan Greenspan, un incompetente che ha sempre sbagliato le previsioni ed è stato adorato dai politici per quattro decenni perché una volta era stato il boy friend della telecronista Barbara Walters, Rubin è venerato dall’élite politica americana nonostante abbia fatto fallire praticamente tutti i progetti che abbia mai toccato. Andò da amministratore della Goldman Sachs (1990-1992) alla Casa Bianca di Clinton (1993-1999) alla Citigroup (1999-2009), lasciandosi dietro una pista di storiche gaffe che non si sa come abbiano potuto aumentare il suo prestigio a ogni passo.
Da Ministro del Tesoro di Clinton, Rubin fu il motore di due mostruose azioni di de-regulation destinate a diventare la cause primarie della crisi finanziaria del 2008: l’abrogazione della legge Glass-Steagall Act (allo scopo specifico di rendere legale la mega-fusione di Citigroup ) e la deregulation del mercato dei derivati. Una volta innescata quella bomba a tempo, Rubin lasciò il governo per la Citigroup, che prontamente espresse la sua gratitudine dandogli $126 milioni in otto anni (negli USA non la chiamano tangente se i soldi te li danno post factum). Dopo aver premuto perché la dirigenza della Citi aumentasse i suoi investimenti in veicoli tossici, una strategia che doveva quasi distruggere la banca, Rubin dette al Consiglio di amministrazione della Citi la colpa dei suoi errori e si lamentò pure di aver ricevuto un compenso magro. “Sono sicuro che in qualunque anno avrei potuto andare da un’altra parte e guadagnare di più,” disse.
Nonostante si trattasse dell’individuo a cui era da ascrivere più che a ogni altro la responsabilità della crisi del 2008 – stante la colossale stupidità delle sue decisioni sia ai livelli più alti di governo sia nell’amministrazione di una potenza finanziaria privata – è Rubin l’uomo che Barack Obama scelse di mettere al centro della sua Casa Bianca.
Ci sono quattro modi principali per essere collegati a Bob Rubin: attraverso la Goldman Sachs, attraverso il governo Clinton, attraverso Citigroup e, infine, attraverso il Progetto Hamilton, un think tank amministrato da Rubin sotto gli auspici del Brookings Institute per promuovere la sua filosofia del pareggio dei bilanci, i liberi mercati, e la deregulation finanziaria. Ecco: l’équipe formata da Obama per gestire la sua politica economica dopo l’inaugurazione fu dominata da persone che potevano vantare un collegamento a Rubin attraverso almeno una di queste quattro istituzioni – al punto che alla Casa Bianca oggi sembra di essere dietro le quinte di una puntata di un serial tv sulla vita di Bob Rubin.
Al Tesoro c’è Geithner, il suo “consigliere” – un posto inventato per non dover passare dalla ratifica del Senato. Poi c’è Lewis Alexander, ex- capo economista di Citigroup, che aveva detto a Citi nel 2007 che non c’era niente da preoccuparsi per i mutui e derivati. Altri due “consiglieri” capi di Geithner – Gene Sperling and Lael Brainard – lavorarono per Rubin al National Economic Council, il gruppo chiave che coordina tutte le politiche economiche della Casa Bianca.
Intanto come direttore della NEC, Obama installò lo zar economico Larry Summers, il protégé di Rubin al Tesoro. Subito sotto Summers c’è Jason Furman, che aveva lavorato per Rubin nel governo Clinton ed era uno dei primi direttori del Hamilton Project di Rubin. La nomina di Furman – un sostenitore incallito degli accordi di libero mercato come NAFTA e autore di rapporti pro-globalizzazione con titoli tipo “Walmart: Storia di un successo progressista” . Furono i primi segni che Obama stava solo recitando quando aveva promesso a platee del MidWest che avrebbe ri-negoziato NAFTA, che aveva facilitato la fuga di posti di lavoro verso altri paesi [……………….]
Le scelte politiche hanno risuscitato Wall Street, non l’hanno riformata
Mentre gli accoliti di Rubin si prendevano tutti i posti importanti nel governo Obama, gli accademici e i progressisti sono stati esiliati in ruoli semi- insignificanti, perfino comici. Kornbluh è stata premiata per aver architettato le politiche vincenti dell’ascesa mercuriale di Obama con un posto a Parigi, ambasciatrice all’OSCE: una garanzia che in Tv non la rivedremo mai. Goolsbee è stato fatto direttore del personale del Consiglio per la Ripresa economica del Presidente, una specie di discarica per i critici di Wall Street che avevano assistito Obama durante la campagna: un Democratico chiama questa commissione la “Siberia.”
Insieme a Goolsbee come presidente del gulag PERAB è l’ex capo della Fed Paul Volcker, che nel lontano marzo 2008 aveva aiutato il candidato Obama a scrivere un discorso che dichiarava che gli sforzi di deregulation degli anni Ottanta e Novanta avevano “fornito la scusa e perfino abbracciato l’etica dell’avidità, del taglio degli angoli, dell’insider trading, cose che sono sempre state delle minacce per la stabilità a lungo termine del nostro sistema economico.” Il discorso fu calorosamente applaudito, ma la commissione che Obama ha poi dato da presiedere a Volcker è talmente insignificante che non si è mai nemmeno riunita fino al maggio scorso. L’unico progressista della Casa Bianca, l’economista Jared Bernstein, ha il titolo altisonante di capo economista e consigliere per le politiche nazionali – ma è consigliere di Joe Biden, che pare più interessato alla politica estera che non alla riforma finanziaria.
L’importanza di tutte queste nomine non è che i tipi di Wall Street adesso sono in grado di fornire piaceri diretti ai loro ex datori di lavoro. E’ che, con una o due eccezioni, essi offrono collettivamente un microcosmo di quello che è diventato il Partito Democratico del 21mo secolo. Praticamente tutti i Rubinisti messi a capo dell’economia da Obama condividono la stessa filosofia politica di base, espressa attentamente per anni dal Progetto Hamilton (cioè da Rubin): allargare la rete di protezione per proteggere i poveri, ma lasciare Wall Street libera di fare quello che le pare.
Liberisti in limousine
Dice David Sirota, ex stratega democratico: Fondamentalmente questa è gente che ha guadagnato montagne di soldi nell’economia speculativa, ma vogliono essere chiamati dei buoni Democratici perche sono disposti a dare un po’ di più ai poveri. E’ questo il modello di questo Partito Democratico: lascia che i ricchi facciano come vogliono, ma abbi cura di dare una briciola in più a tutti gli altri.”
Perfino quelli del team di Obama che sono stati per la maggior parte della vita dei dipendenti statali sono riusciti a mettere insieme dei patrimoni a Wall Stret. Lo zar economico del presidente, Larry Summers, ebbe oltre $5,2 milioni nel solo 2008 come direttore del hedge fund D.E. Shaw, e intascò altri $2,7 milioni in onorari da conferenziere da una gamma di futuri beneficiari dei salvataggi, fra cui Goldman Sachs e Citigroup. Al Tesoro, l’aiuto di Geithner, Gene Sperling, ebbe un monumentale $887.727 dalla Goldman Sachs nel 20008 per il servizio di “consigliere per il dono caritatevole”, un titolo che sembra una battuta. Il co-nominato al Tesoro con Sperling, Mark Patterson, ha ricevuto $637.492 come lobbista a tempo pieno per la Goldman Sachs, e un altro alto assistente di Geithner, Lee Sachs, ha guadagnato oltre $3 milioni lavorando per un hedge fund di New York denominato Mariner Investment Group. La lista è infinita. Perfino il capo di gabinetto di Obama, Rahm Emanuel, che in tutta la sua vita adulta è stato lontano dagli incarichi statali per soli 30 mesi, è riuscito a raccogliere $18 milioni per una breve fase nel settore privato con un’azienda di Wall Street chiamata Wasserstein-Perella.
Il fatto è che un’équipe economica fatta esclusivamente di miliardari cinici e cretini non ha nessun interesse a riformare il sistema che li ha resi ricchi. “Da questa gente non ci si può aspettare altro che proteggano Wall Street,” dice Cliff Stearns, deputato repubblicano alla Camera, dallo stati della Florida.
Il pensiero fu chiarito da Obama al suo primo discorso al Congresso, dove sottolineò l’importanza di riportare gli americani a indebitarsi nuovamente. “Il credito – disse – è la linfa vitale dell’economia.” E assicurò che il governo si sarebbe impegnato “ad assicurare che le principali banche da cui dipendono gli americani hanno abbastanza fiducia e abbastanza denaro.” Un presidente che era stato eletto promettendo di cambiare tutto annunciava così, papale papale, che non intendeva cambiare un bel niente di fondamentale per quando riguardava l’economia. Piuttosto che fare quello che aveva fatto FDR durante la prima Grande Depressione, istituendo nuove regole stringenti per mettere fine agli abusi finanziari, Obama fa progetti per istituzionalizzare la politica, consolidata negli anni di Bush, di mantenere ricche alcune mega-aziende a spese di tutti gli altri.
Ma Obama non è sempre stato in linea con Rubin riguardo alle politiche economiche. Pur essendo circondato da un team che è duramente contrario alle spese – infatti i pareggi di bilancio e la riduzione del deficit sono sempre stati al centro della filosofia di Rubin- Obama se ne è uscito con un enorme piano di incentivi per spronare l’economia e combattere la disoccupazione causata dalla crisi del 2008. “ Bisogna dargliene atto,” dice il Sen. Bernie Sanders, un sostenitore dell’uso delle risorse dello Stato per combattere la disoccupazione, “questa è una legge molto importante e $787 miliardi sono un mucchio di soldi.”
Ma qualunque sia il numero di impieghi creati dall’incentivo finora – secondo un calcolo assurdamente preciso e già screditato emesso dalla Casa Bianca sarebbero 640,329 i posti di lavoro creati -– gli aiuti forniti da Obama alla gente comune sono microscopici rispetto al denaro dei contribuenti che è stato consegnato ai giganti finanziari d’America. “Hanno speso $75 miliardi per assistere la gente nel pagamento dei mutui ma, suvvia – guardate quanto hanno dato a Wall Street,” dice uno stratega del Partito Democratico.
Neil Barofsky, l’Ispettore generale incaricato di gestire la TARP, calcola che il costo totale dei salvataggi di Wall Street potrebbe arrivare a $23,7 trilioni. E mentre il governo continua a elargire denaro alle grandi banche, Obama e la sua squadra di Rubinisti non hanno fatto quasi niente per riformare il distorto sistema finanziario responsabile per l’implosione dell’economia globale .
All’inizio la spinta verso una riforma sembrava aver preso l’abbrivio. Alla Camera prese l’iniziativa Barney Frank, Democratico, capo della House Financial Services Committee, emerso durante i salvataggi di Bush come aspro critico di Wall Street. Quando Obama era ancora senatore, lavorò con Frank per presentare un disegno di legge populista che prendeva di mira i mega compensi dei dirigenti. Nella primavera del 2009, con l’economia a pezzi, Frank cominciò una serie di udienze su una miriade di riforme suggerite dalla Casa Bianca, che inizialmente contenevano degli ottimi elementi. C’erano misure per limitare l’abuso dei prestiti su carta di credito, impedire alle banche di far pagare tariffe eccessive, costringere le aziende quotate in borsa a fare un calcolo realistico dei rischi e permettere agli azionisti di votare i compensi dei dirigenti. C’erano perfino provvedimenti che avrebbero preso di mira I derivati e impedito ad aziende come AIG di scegliere da chi farsi regolamentare.
Poi le commissioni si misero al lavoro e cominciarono a comparire le esenzioni. [….] In agosto Geithner emise una direttiva di 115-pagine intitolata “Miglioramenti alla Regolamentazione del mercato dei derivati ” che elencava una serie di esenzioni per utilizzatori finali ” – ovvero quasi tutti i clienti che comprano i derivati da banche come la Goldman Sachs e la Morgan Stanley. Ancora più stupefacente, il disegno di legge di Frank’ conteneva un’eccezione generale alle regole per lo scambio di valuta su mercati esteri – proprio gli strumenti che avevano scatenato il meltdown della Long-Term Capital Management a fine anni Novanta.
La Sen. Maria Cantwell di Washington non solo stimò che con le nuove regole fino a 90 per cento di tutti I derivati rimarrebbe senza regolamentazione, ma arrivò a dire che le nuove leggi peggiorerebbero le cose. “La legge attuale con le proprie esenzioni potrebbe perfino essere meglio tenere la legge attuale, con le proprie esenzioni, piuttosto che adottare queste esenzioni nuove”.
Con il disegno di legge originario, la SEC e la Commissione sui Futures dovevano avere il potere di vietare scambi che minassero la stabilità di un mercato finanziario o dei partecipanti in un mercato finanziario”. Ma dopo l’intervento della commissione Frank, alla SEC e alla CFTC non rimaneva altro potere, riguardo agli abusi sui derivati, che quello di inviare un rapporto al Congresso. Questa mossa lascerebbe intatto il tipo di scambio credit-default che fecero crollare l’AIG.
Perché mai i parlamentari democratici più potenti, stretti collaboratori del governo Obama, erano d’accordo di non regolamentare uno degli strumenti finanziari più rischiosi, ancor prima che la questione fosse dibattuta alla Camera? “Si era preoccupati che un’ampia concessione al divieto di scambi impropri potesse diventare destabilizzante,” fu la spiegazione offerta da Frank.
Destabilizzante per chi? Certamente non per noi altri – ma la gente del mondo reale non entra nei conteggi della riforma finanziaria. Secondo chi si trovava vicino alle stanze dei bottoni in quella procedura, la commissione di Frank inserì le varie scappatoie su pressioni degli “elettori” – il che significa che chiunque “può permettersi di pagare un lobbista” dice Michael Greenberger, l’ex-capo del trading al CFTC con il governo Clinton.
Questo modello si è ripetuto continuamente per tutto l’autunno. Anche il pezzo forte della proposta di riforma di Obama: la tanto strombazzata creazione di un’Agenzia per la Protezione Finanziaria dei Consumatori, per proteggere i piccoli risparmiatori dalle pratiche bancarie scorrette. Come il disegno di legge sui derivati, il dibattito sull’APFC finì per essere dominato dal mercanteggiare sulle scappatoie. Alla fine, non solo Frank accettò di esentare circa 8mila delle 8.200 banche dal controllo dell’agenzia, già peraltro castrata, lasciando la maggior parte dei consumatori senza protezione, ma permise anche che la commissione votasse per alzata di mano, il che significa che i vari parlamentari hanno potuto stare dalla parte delle banche senza legare per iscritto il proprio nome al loro “sì”.
[……….]
La versione del Senato concede al Presidente il potere illimitato di decidere dei salvataggi senza contropartita, e la legge emendata alla Camera stabilisce un sistema di sostegno pubblico per le 20 -25 banche più grandi del Paese. Ciò significa concedere l’immortalità economica a quelle poche mega-aziende che continueranno a mangiarsi fette sempre più grandi del mercato mentre il denaro diventa sempre più a buon mercato (e chi è che non presterebbe denaro a un’azienda con la garanzia permanente del governo americano?) Formalizzerebbe anche il ruolo dello Stato nella economia globale e trasformerebbe la procedura di nomina da parte del presidente in
Il rifiuto della Casa Bianca di premere per una vera riforma è l’esatto contrario di quello che si era impegnata a fare. Sono stati invece Paul Kanjorski alla Camera e Bernie Sanders al Senato a proporre dei disegni di legge che avrebbero smantellato le banche “troppo grandi per fallire”. Entrambe le loro proposte avrebbero dato al Congresso iI potere di smantellare i monopoli di fatto che controllano quasi l’intero mercato dei derivati (Goldman, Citi, Chase, Morgan Stanley e Bank of America controllano il 95 per cento del mercato da $290 trilioni ) e il mercato al consumo (Citi, Chase, Bank of America e Wells Fargo). Essi emettono un mutuo su due, e due carte di credito su due. Il 18 novembre, con una mossa che dimostra quanto siano nervosi I democratici per l’ira crescente di fronte ai regali di denaro dei contribuenti, la commissione di Barney Frank aveva perfino ratificato la proposta di Kanjorski. “E’ un inizio,” dice Kanjorski speranzoso. “Siamo in cammino.”
[………]
Mentre la riforma della finanza veniva annacquata dal Congresso su richiesta del suo Ministro del Tesoro, Obama faceva una fermata velocissima “pit stop” per farsi dare dei contributi da Wall Street.
Il 20 ottobre, il presidente è andato al Mandarin Oriental Hotel a New York e ha parlato davanti a 200 finanzieri e uomini d’affari, ognuno dei quali ha sborsato la cifra massima consentita come contributo a un partito (il Partito Democratico): $30.400. Ma uno degli organizzatori dell’evento, Daniel Fass, aveva già messo le mani avanti dicendo che l’appoggio al presidente avrebbe potuto essere più leggero di quanto atteso. Da aziende oggetto del salvataggio come la JP Morgan Chase e la Goldman Sachs ci si aspettava che contribuissero un magro $91.000 – perché I banchieri erano stufi sentirsi dare delle lezioni.
“La comunità investitrice è indignata,” spiega Fass. “Secondo loro non c’è motivo per cui non dovrebbero guadagnare da $1 milione a $200 milioni l’anno, e non vogliono sentirsi dire che sono responsabili per il crollo finanziario mondiale.”
Logico. Chi può essere tanto st— da dare alla comunità di investitori la colpa della crisi?
[……….]
© 2009 Rolling Stone
traduzione di: Alenu
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