“Dentro o fuori dall’euro? Ipotesi di una terza via….”

Due settimane fa la Confindustria tedesca, preoccupata delle pressioni euroscettiche di certi banchieri sulla Merkel, le ha ricordato come con l’euro si fossero congelati i cambi  fra il marco e monete come la lira, indebolendo sul lungo termine la concorrenza di paesi come l’Italia, che erano diventati avversari temibili proprio giocando sulla svalutazione della propria moneta. Ed anche come circa l’80%  delle esportazioni della Germania fosse nell’area UE: da allora la  Merkel ha cambiato registro.

L’Italia invece a questo punto vivrebbe assai meglio senza euro, salvo il fatto che un nostro ripudio dell’euro ci esporrebbe ad un formidabile attacco speculativo (e non solo), che porterebbe alle stelle i tassi di interesse sui nostri titoli pubblici, ed
affonderebbe completamente i nostri conti, portando il nostro paese alla bancarotta.  Che fare? Come sempre detto a chi ha dialogato con me dal dicembre scorso, credo che uscire “ex abrupto” dall’euro non sia possibile (salvo che il nostro ripudio non sia contemporaneo a quello di diversi altri stati) e che per sganciarci si debba percorrere una strada intermedia, che contempli l’affiancamento all’euro di una moneta ad uso prettamente interno, emessa dal nostro ministero del tesoro. A conclusioni
analoghe è giunto Maurizio d’Orlando, un brillante economista, mio compagno di scuola e di università, col quale ancora mi confronto.

Scrive infatti Maurizio in una  sua “Proposta per evitare una situazione d’insolvenza per il debito pubblico italiano”, pubblicata su “Asia News” : “L’Italia è un paese del G7 e non si vede perciò perché non potrebbe fare quello che già fanno Usa, Giappone e Gran Bretagna: emettere propria valuta avente corso legale per saldare con essa i titoli del debito pubblico che vengono a scadenza e per i quali non sia possibile reperire liquidità in euro sui mercati finanziari. Come ha chiarito Greenspan relativamente al dollaro e come ha minacciato di fare la Banca Nazionale Svizzera, l’Italia potrebbe emetterne a propria discrezione. Poiché la Banca d’Italia per i trattati istitutivi della Banca centrale europea non può emettere euro che nella misura determinata dalla Bce, l’emissione della nuova lira italiana sarebbe sottoforma di “Biglietti di Stato”, emessi dal Tesoro. Il rapporto potrebbe essere di parità, uno a uno con l’euro, con cui potrebbe convivere, nel senso che in Italia verrebbero ad esserci due monete aventi corso legale. Potrebbe essere opportuno restringere la circolazione della nuova lira al solo territorio nazionale. In tal caso si avrebbe quell’effetto espansivo sull’economia del paese che era alla base del concetto di spesa in deficit utilizzato quando il debito pubblico, a partire dagli anni ‘60 è andato accumulandosi. Chi ha comprato titoli in euro sapeva dell’ammontare del debito pubblico italiano e delle finalità di stimolo economico sul territorio nazionale per i quali era stato contratto. Gli viene dunque restituito il suo alle condizioni originarie, la spesa sul territorio o per il pagamento delle
imposte. Non sarebbe perciò né un’insolvenza sul debito sovrano, né un abbandono dell’euro che verrebbe mantenuto nelle transazioni correnti. Mediantela proposta di emissione di una nuova lira l’Italia avrebbe maggiore flessibilità sociale per conseguire i propri impegni (di pareggio di bilancio e riduzione del debito pubblico), evitando così il rischio di uno scontro
sociale. La soluzione adottata per l’Italia potrebbe essere estesa ad altri Paesi secondo le modalità e le esigenze del caso. Il principio dovrebbe essere quello del pareggio di bilancio e la conversione del debito eccessivo pregresso
in valuta spendibile sul territorio del Paese” . FINE

Se sono d’accordo su una “moneta parallela” emessa dal nostro Ministero del Tesoro, personalmente però non condivido quanto conclamato da tutti (soprattutto dai maggiori creditori) che qualunque soluzione che ci ponga (anche minimamente) a rischio di insolvenza vada evitata ad ogni costo: a differenza di quanto ci viene raccontato, l’insolvenza rappresenterebbe il fallimento del nostro  stato solo se affrontata con spirito fatalistico, passivo e rassegnazione: ben diverso se invece di subire un eventuale default, fossimo noi stessi a ripudiare e rinegoziare il debito pubblico per classi di creditori, ovviamente tagliando nel contempo la spesa pubblica, a partire da quella per la politica ….

Se le aziende non vanno più da tempo automaticamente in fallimento quando non fanno fronte ai loro impegni ed in genere a quel punto ristrutturano negoziando riduzioni del debito e diverse scadenze), non si vede perché questo dovrebbe avvenire per gli stati: abbiamo seguito tutti il default dell’Argentina dieci anni fa, e le enormi difficoltà affrontate nei tre anni successivi al ripudio e negoziazione del suo debito: nessuno ha però pubblicizzato la ripresa di quella economia negli anni successivi, fino alla situazione attuale, di stabile crescita.

Il problema della moneta va però comunque affrontato a breve, con coesione, spirito di unità nazionale, e quella determinazione e quel coraggio che mostrano spesso tanti imprenditori che proprio in questi giorni affrontano le situazioni debitorie delle loro aziende: non immagino purtroppo come possa farlo il nostro governo, e tanto meno la nostra intera classe politica in senso lato.

Pier Luigi Priori

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