“Ai mafiosi il permesso di passeggiare tra inchini e baciamano”

La Consulta sancito il diritto di rimanere ideologicamente fieramente mafioso.

Colonnello Savino Paternò

Con la sentenza della corte costituzionale, che dichiara illegittima la negazione dei benefici agli irriducibili condannati all’ergastolo per mafia e terrorismo, crolla miseramente uno degli ultimi baluardi di legalità di questo paese.

Spalleggiati dal proclama della corte europea dei diritti dell’uomo, che ha ritenuto l’ergastolo ostativo un “trattamento inumano e degradante”, i nostri giudici costituzionali non hanno perso tempo a cancellare, con un rapido colpo di spugna, il famigerato articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario; quello stesso articolo che impedisce la concessione di permessi premio agli spietati assassini mafiosi… orgogliosi di essere tali.
I beneficiari di tale pronuncia saranno, infatti, coloro che, non essendosi fatti piegare dalle restrizioni carcerarie e, rimanendo fedeli alla loro violenta subcultura di morte, sopraffazione e intimidazione, si sono sempre sdegnosamente rifiutati di “aiutare concretamente gli inquirenti nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti di sangue di cui erano protagonisti”.

Se da un lato è pietosamente comprensibile la decisione dei giudici europei trovatisi a legiferare su argomenti criminologici a loro sconosciuti, assolutamente incomprensibile è la decisione dei giudici italiani che, invece, ben conoscono il nostrano fenomeno mafioso; quel terrificante evento storico che è dilagato per decenni nelle strade insanguinate, fino ad infiltrarsi nel dna dei cittadini i quali, a fronte della lunga inerzia dello stato, delle collusioni politiche e dell’ignavia di quei magistrati che per anni hanno sentenziato l’inesistenza delle organizzazioni criminali, erano sul punto di alzare la bandiera bianca della rassegnazione.
E se ciò non è avvenuto, lo si deve ai tanti, troppi, eroi trucidati per essersi opposti, disarmati, ad un nemico tracotante, reso invincibile da colpevoli lacune legislative che ne impedivano qualunque contrasto.
Ed è proprio sul quel sangue versato che è finalmente nata la legislazione antimafia, è lì che hanno preso forma le armi che hanno debellato l’occupazione militare dei nostri territori, e, prima fra tutte, la più temuta e odiata dai boss: il carcere duro e l’ergastolo ostativo.

E malgrado i proiettili continuino a schizzare tra le strade, fiumi di droga inondino le città e l’antistato banditesco prosegua ad imporre la sua spavalda presenza, illuminati giudici ci ricordano che la pena ha una funzione rieducativa, anche per chi non dia dimostrazione di volersi rieducare, relegando così all’oblio la finalità di deterrenza e difesa della comunità.
Per cui, sarà bandita ogni forma di automatismo nella concessione dei benefici. Non sarà più necessario che l’assassino plurimo mafioso per ottenere un beneficio collabori con la giustizia, non è neanche essenziale che si dissoci dai crimini commessi e sconfessi l’intento di soggiogare lo stato, figurarsi, poi, se sia imprescindibile che almeno abbia chiesto perdono alle vittime dei suoi delitti. Non serve, non è essenziale.

Tutto finirà tra le mani di quell’organo monocratico, dotato di forte autonomia, che è il magistrato di sorveglianza.
Costui, precedentemente, alla luce dell’inumana e degradante procedura dell’art 4 bis, dinanzi al boss mafioso che chiedeva un permesso premio, doveva solo porsi una domanda: «ha dimostrato la sua redenzione collaborando con la giustizia?». Se la risposta era negativa le porte del carcere rimanevano chiuse.

Oggi, invece, alla luce delle nuove disposizioni, misericordiose e decorose, per permettere al mafioso di passeggiare per il paese tra inchini e baciamani, gli basterà sostenere che ci siano “elementi tali da escludere l’attualità della partecipazione all’associazione criminale e l’assenza del pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata”.
Non essendo per nulla chiaro come si acquisiranno tali elementi, la figura di siffatto giudice di sorveglianza, finora in posizione defilata rispetto ai riflettori di cui godono i magistrati inquirenti e giudicanti, sarà infine valorizzata. Finalmente anche lui non sarà più costretto ad applicare la legge, ma, al pari dei suoi colleghi, potrà interpretarla, tradurla, codificarla, inventarla e sovvertirla.

Insomma, l’emerita consulta nel dichiarare illegittima l’imprescindibile collaborazione con la giustizia per l’ergastolano mafioso che intende ottenere un permesso premio, ha di fatto sancito un nuovo diritto assurto a rilevanza costituzionale: il diritto all’omertà, la facoltà di rimanere ideologicamente fieramente mafioso.

Io, a questo punto, sommessamente, avanzo una sola richiesta semantica: nel concedere tali permessi, si può almeno evitare l’ipocrisia di chiamarli “premio”?

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